“Non pensiamo assolutamente che i nostri amici a quattro zampe possano sostituire le metodologie di screening attuali – precisa Holger Volk dell'Università di medicina veterinaria di Hannover in Germania durante il workshop online International K9 Team, dedicato proprio ai cani e alla loro capacità di fiutare Covid-19 – ma il loro ruolo potrebbe essere significativo in luoghi trafficati che necessitano indagini rapide e massive, come gli aeroporti, gli stadi o i grandi eventi”
Non solo scienziati e politici, medici e infermieri. A dare un contributo contro questa pandemia potrebbero essere anche i cani. Il loro proverbiale fiuto è già stato messo alla prova in numerosi esperimenti con risultati davvero straordinari: in alcuni casi i cani possono rilevare Sars-CoV.2 con una precisione sorprendente, anche prima che si manifestino i sintomi dell’infezione Covid-19. A dedicare un’ampia rassegna sull’argomento è stata la rivista Nature. Asher, Storm, Maple sono i nomi di alcuni esemplari già attivi sul fronte Covid-19. Ma ce ne sono molti altri che vengono addestrati a riconoscere l’odore delle infezioni causate da Sars-Cov-2. I risultati sono così promettenti che si sta prendendo seriamente in considerazione l’ipotesi di utilizzare gli amici a quattro zampe come un ulteriore strumento di screening, magari in luoghi trafficati come aeroporti o stadi sportivi. Oltre a essere potenzialmente più efficienti, i cani sono anche più economici se li paragoniamo agli attuali test di rilevamento delle infezioni. Tuttavia, al momento trasfomare Fido in un diagnosta è ancora solo un’ipotesi. Non ci sono infatti studi pubblicati o revisionati sull’argomento, e sono quindi necessarie ulteriori ricerche per ampliare il set di dati.
“Non pensiamo assolutamente che i nostri amici a quattro zampe possano sostituire le metodologie di screening attuali – precisa Holger Volk dell’Università di medicina veterinaria di Hannover in Germania durante il workshop online International K9 Team, dedicato proprio ai cani e alla loro capacità di fiutare Covid-19 – ma il loro ruolo potrebbe essere significativo in luoghi trafficati che necessitano indagini rapide e massive, come gli aeroporti, gli stadi o i grandi eventi”. Il team di Volk è impegnato in uno studio che ha proprio lo scopo di addestrare i cani a riconoscere Covid-19. In particolare, i ricercatori hanno addestrato il fiuto di otto cani con campioni prelevati da bocca e trachea di sette persone ricoverate in ospedale per Covid-19 e sette persone sane. Secondo i risultati del lavoro, i cani hanno identificato l’83 per cento dei casi positivi e il 96 per cento di quelli negativi. Come Fido riesca in questa impresa è presto detto. “I nasi dei cani – spiega Volk – hanno 300 milioni di recettori degli odori, contro i 5-6 milioni di cui dispongono gli esseri umani”. Non a caso questi animali sono già presenti in aeroporto: il loro fiuto viene utilizzato per rilevare armi da fuoco, esplosivi e sostanze stupefacenti. Ci sono anche interessanti esperienze in clinica: gli scienziati hanno addestrato i cani a rilevare alcuni tipi di cancro o alcuni casi di malaria. I ricercatori non sanno con certezza cosa stiano annusando i cani, ma molti sospettano che queste malattie inducano il corpo umano a rilasciare un modello distinto di composti organici volatili (COV). Queste molecole evaporano rapidamente per creare un preciso odore che i cani riescono a percepire. Precedenti lavori con altri virus hanno suggerito che anche le infezioni virali potrebbero causare il rilascio di odori percepibili dagli animali.
Da qui la scelta di mettere Fido alla prova con Covid-19. Gli scienziati hanno quindi iniziato ad addestrare i cani ad annusare campioni, il più delle volte di sudore, in contenitori sterili, e a sedersi o zampettare sul pavimento quando rilevano segni dell’infezione. Una serie di prove sono state già raccolte in aeroporto negli Emirati Arabi Uniti, Finlandia e Libano, dove i cani sono stati addestrati ad annusare campioni di sudore dei passeggeri, successivamente controllati con i test convenzionali. Secondo i dati presentati all’incontro K9, i cani coinvolti negli esperimenti in Finlandia e Libano sono stati in grado di identificare i soggetti positivi addirittura prima che i test convenzionali rilevassero il virus. Uno studio non ancora pubblicato condotto dagli esperti dell’Università Saint Joseph di Beirut, che ha coinvolto 18 cani, ha mostrato che gli animali sono riusciti a individuare ben 158 casi positivi su un totale di 1.680 persone. “I nostri amici a quattro zampe – commenta Riad Sarkis, chirurgo e ricercatore presso l’Università Saint Joseph di Beirut – hanno identificato correttamente i risultati negativi con un’accuratezza del 100 per cento e rintracciato correttamente il 92 per cento dei casi positivi. Affidarsi all’accurato olfatto canino potrebbe rappresentare una strategia di approccio accurata, fattibile, economica e riproducibile”.
Cynthia Otto, scienziata dell’Università della Pennsylvania, sta guidando una ricerca, non ancora pubblicata, volta a valutare la capacità dei cani di distinguere tra campioni di urina o sudore di pazienti Covid-19 e persone sane. Il suo team sta raccogliendo campioni di sudore da mille magliette indossate durante la notte da soggetti positivi e negativi al nuovo coronavirus. “I cani sono in grado di rilevare odori che noi non possiamo neanche immaginare – commenta – dobbiamo approfondire gli studi per comprendere questi aspetti”. Un gruppo di ricerca in Francia, presso la Scuola nazionale di veterinaria di Alfort, vicino Parigi, ha condotto uno studio, pubblicato sul server di prestampa BioRxiv, nell’ambito del quale 8 cani sono stati addestrati con 198 campioni di sudore, metà dei quali appartenenti a pazienti Covid-19. “Gli animali hanno identificato i positivi con una precisione dell’83-100 per cento – riporta Dominique Grandjean della Scuola nazionale di veterinaria di Alfort – e credo che questi siano risultati significativi, ma è difficile pubblicare articoli sulla capacità di rilevamento dei cani, perché la maggior parte dei revisori non ha modo di approfondire le ricerche”. Da qui la necessità di avere più dati a sostegno dell’ipotesi. “I dati sembrano promettenti – commenta Fyodor Urnov, dell’Università della California a Berkeley – ma sarà opportuno lavorare con set di dati più ampi e valutare anche la capacità dei singoli cani, che reagiscono in modo diverso”.
Nel frattempo, a breve anche il nostro paese potrebbe portare all’attenzione mondiale dati interessanti sull’argoment. “Entro un mese l’Italia potrebbe avere a disposizione i cani addestrati per ‘fiutare’ Sars-CoV-2“, annuncia l’organizzazione Onlus Mddi (Medical Detection Dogs Italy). “I tempi per arrivare ad avere cani addestrati per il riconoscimento dei casi di infezione da Covid-19 potrebbero essere anche molto brevi”, spiega il direttore tecnico di Mddi, Aldo La Spina. “Ad Hannover – continua – hanno addestrato i cani in 5-6 settimane, non è detto che anche noi non possiamo avere i cani pronti nel giro di un mese”, La Spina rassicura anche sul modo in cui vengono trattati gli animali. “La loro tutela è una priorità. I nostri sono cani ‘da divano’: i proprietari li portano in laboratorio, fanno il loro lavoro, si divertono perché vengono compensati con coccole e bocconcini o con un gioco, e dopo 20 minuti, mezz’ora, tornano a casa. Facciamo grande attenzione al loro benessere”, conclude.