“Le avventure di Pinocchio è un libro scritto apparentemente per inculcare nei ragazzi il senso dell’ubbidienza e della sottomissione agli adulti, padri, fate, maestri e carabinieri. Ma la bellezza del racconto sta nelle ribellioni di Pinocchio, nella sua inestinguibile smania di vivere in prima persona. Solo un bambino, e un bambino che sia Pinocchio, può dare questo senso vitale al racconto. Deve essere ciarliero e impertinente, agile e instancabile, magro e sempre affamato, rapido nell’addormentarsi, svelto nel risveglio, con una istintiva diffidenza verso ciò che gli viene insegnato e molta voglia di apprendere a proprie spese, pronto a commuoversi, e pronto a dimenticare la commozione”. Il regista Luigi Comencini, racconta come immaginava il suo Pinocchio. Quello che, partendo dal libro di Collodi, sarebbe stato sceneggiato per la Rai.
Un capolavoro della tv in bianco e nero, anche grazie alla bravura di un cast perfettamente azzeccato. Che accanto ai giovani Andrea Balestri e Domenico Santoro nei ruoli di Pinocchio e Lucignolo, poteva contare su attori straordinari come Nino Manfredi, Vittorio De Sica, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Gina Lollobrigida e Lionel Stander. Prima e dopo sono state diverse le trasposizioni cinematografiche di Pinocchio. Film anche di animazione.
Senza contare le riduzione per il teatro. Con l’aggiunta di un balletto. Quello de il Pinocchio-The Ballet, un’opera composta per la West Australian Symphony Orchestra e per il West Australian Ballet, andata in scena nel settembre del 2012 al His Majesty’s Theatre di Perth, e successivamente ripresa con successo all’Opera di Strasburgo. Non si contano quanti cantanti lo hanno variamente citato.
Insomma “Pinocchio” è un successo intramontabile. Come indizia la circostanza che abbia ispirato centinaia di edizioni e ne siano state realizzate traduzioni in oltre 260 lingue. Solo de Il piccolo principe ne esistono di più. Dati inequivocabile per l’opera più importante di Carlo Collodi, pseudonimo di Carlo Lorenzini, del quale il 24 novembre ricorre la data di nascita. Motivo per ricordarlo, insieme al suo capolavoro. La cui gestazione è stata travagliata e tutt’altro che breve.
All’iniziò si è trattato quasi di un esperimento da parte dell’autore. Una prima parte de La storia di un burattino è stata pubblicata a puntate sul Giornale dei bambini, un periodico settimanale supplemento del quotidiano Il Fanfulla, tra il luglio e l’ottobre 1881. Un esperimento riuscito, considerato l’apprezzamento del pubblico. Al punto da rivedere il finale, inizialmente tragico. Ma è soltanto nel 1883 che Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, vengono pubblicate integralmente, per la prima volta.
“C’era una volta… Un re! diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno. Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze. Non so come andasse, ma il fatto gli è che un bel giorno questo pezzo di legno capitò nella bottega di un vecchio falegname, maestro Ciliegia”. L’incipit, un evidente riferimento, ironico, alle fiabe. Alla tipica espressione utilizzata come introduzione in numerosi casi.
Come nelle fiabe mancano espliciti riferimenti al tempo e allo spazio. Ma la magia è assicurata. Da Pinocchio, innanzitutto. Che entra in scena subito. Con “una vocina sottile”, che, una volta che Maestro Ciligia ha iniziato a lavorare il legno per farne una gamba di tavolino, “disse raccomandandosi: Non mi picchiar tanto forte!”.
Pinocchio all’inizio non ha un corpo. E’ solo una vocina. Che alla fine, nell’ultima battuta del racconto, si trasforma. In un suono, sordo. Perchè pronunciato “dentro di sé”. “Com’ero buffo, quand’ero un burattino! E come ora son contento di esser diventato un ragazzino perbene! […], si dice il burattino, finalmente diventato “un ragazzo come tutti gli altri”. In mezzo ai due estremi si dipanano le avventure del burattino e le storie di Geppetto, del Grillo parlante, di Mangiafuoco, del Gatto e la Volpe, della Bambina dai capelli turchini e di Lucignolo. Tra consigli inascoltati e l’irrefrenabile attrazione per il pericolo, Pinocchio compie il suo viaggio terreno. Attraverso successive fughe, che non sono altro che sogni di libertà. Tutti, irrimediabilmente, delusi. Sconfitti alla prova della realtà.
Insomma Pinocchio è molto più di una semplice storia per ragazzi. Qualcosa di molto più complesso di una fiaba. Come ha sostenuto Benedetto Croce, inserendola tra le grandi opere della letteratura italiana. Peccato che questa grandezza in seguito non abbia granché brillato. E continui ancora a (non) farlo. Soprattutto nel mondo che gli dovrebbe essere più congeniale. Naturalmente. Quello della scuola, media. Le letterature che ne ricordano l’esistenza non ce ne sono.
Lo spazio è tutto per Foscolo e Leopardi, Manzoni e Carducci, Verga e Pascoli, a parte qualche riga per Pellico e Mazzini, Porta e Belli, Capuana e De Roberto, Deledda e Serao. Stessa cosa per le antologie. Collodi e il suo Pinocchio non esistono. Banditi! Senza appello. Al punto che i ragazzi se non hanno avuto la fortuna di leggerlo per proprio conto oppure di ascoltarne delle parti da qualche parente premuroso, non sanno neppure chi sia.
“Nessuno dei due è Lucignolo e nessuno di voi è, soprattutto, Pinocchio. Penso piuttosto che voi siate il Gatto e la Volpe. Avete presente? Chi sono?”, chiede il Preside a due allievi, entrambi sedicenni, in una delle puntate de Il Collegio 5, la trasmissione in onda su Rai 2. La risposta? “Due animali”, ovviamente.
Certo, si può pensare che nella finzione televisiva si sia ecceduto. Ma non è così. La verità è che Pinocchio si è trasformato in uno sconosciuto. In un signor Nessuno. In un fantasma che vaga nell’aria in attesa di tornare tra noi. Per questo motivo il genetliaco di Collodi risulta un po’ mesto. Una celebrazione a metà. Il suo burattino è stato inghiottito dal tempo che scorre. Dimenticando i suoi eroi, immortali.