I quasi 300mila lavoratori a termine lasciati a casa durante l’emergenza Covid. Le centinaia di migliaia di famiglie che hanno perso reddito e sono finite in povertà. Le piccole imprese e i 5 milioni di lavoratori autonomi indennizzati solo in piccola parte per le perdite subite con il primo lockdown e con le nuove restrizioni. È la lista minima delle categorie più danneggiate dalla pandemia e meno “ristorate”, per usare il termine che tiene banco nel dibattito politico sulla necessità di risarcire le fasce non garantite. Da mesi i leader del centrodestra insistono su questo punto. Matteo Salvini ripete spesso che bisogna mettere “soldi veri” nelle tasche degli italiani. “Ci vuole un bonus da mille euro per i precari, per chi non ha ottenuto nulla, per chi è rimasto dimenticato“, è l’ultima richiesta del segretario della Lega. Che rilancia una proposta dell’alleata Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d’Italia non parla di tasche ma direttamente di conti correnti: “Servono mille euro sul conto di chi ne faccia richiesta con semplice autocertificazione, perché non possiamo permetterci di perdere settimane per dare agli italiani soldi che servono a sopravvivere”, dice dall’inizio dell’emergenza. Domenica è poi arrivata la lettera di Silvio Berlusconi al Corriere della Sera in favore dei lavoratori autonomi, maggiormente colpiti dall’emergenza rispetto a quelli “già garantiti“, e cioè – secondo Arcore – i dipendenti e gli statali. “Quello che chiediamo al governo e alla maggioranza è di sanare questa disparità: è una delle condizioni per votare insieme i prossimi scostamenti di bilancio”, scrive il capo di Forza Italia.
La parola tabù – Per aiutare “chi è rimasto dimenticato” – per usare le parole di Salvini – sarà infatti inevitabile aumentare ancora un deficit già gonfiato di 100 miliardi. Ma non solo. All’apice di una crisi che accentua le disuguaglianze sociali, che colpisce maggiormente chi aveva meno anche prima del Covid, potrebbe essere arrivato il momento di fare un passetto in più. Quale? Chiedere ai super ricchi un mini contributo. Attenzione: non stiamo parlando di facoltosi e benestanti della fascia medio-alta, ma dei circa tremila italiani con patrimoni superiori ai 50 milioni di euro, e dei quaranta che invece sfondano il muro del miliardo. A loro andrebbe chiesto un versamento tra il 2 e il 3%, come quello ipotizzato dal fattoquotidiano.it sulla falsariga della proposta degli economisti americani Gabriel Zucman ed Emmanuel Saez. Mettiamo subito le mani avanti: non si tratta di una patrimoniale, parola tabù capace di mettere in imbarazzo politici di ogni colore, costretti a scusarsi ogni volta che pronunciano per sbaglio quel termine. L’ultimo è stato Pier Paolo Baretta, sottosegretario all’Economia. “Patrimoniale? Va evitata assolutamente ma siamo in grado di evitarla nella misura in cui siamo in condizione di favorire il risparmio ed evitare che resti bloccato ma diventi un pezzo importante degli investimenti”,ha detto presentando il rapporto Censis-Associazione italiana private banking. Qualcuno si è chiesto: vuol dire che se il risparmio dovesse rimanere bloccato, ci vorrà una patrimoniale? “Lo escludo categoricamente“, ha dovuto puntualizzare subito l’esponente del Pd. Infortuni simili sono capitati, negli ultimi mesi, al ministro del Sud, Giuseppe Provenzano, al segretario dei dem, Nicola Zingaretti, persino a Matteo Salvini, che pur di evitare il Mes si era detto pronto a “chiedere i soldi direttamente ai risparmiatori italiani”.
Il contributo dei super ricchi – Per questo motivo è il caso di mettere al bando la parola “patrimoniale”. E specificare che qui si parla di uno strumento redistributivo pensato per sanare una disparità sempre maggiore, accentuata dalla pandemia e che diventa intollerabile in un periodo emergenziale come questo. Quale? Non quella tra autonomi e dipendenti citata da Berlusconi, ma la più evidente delle disuguaglianze: quella tra super ricchi e persone normali. Con il Covid i patrimoni dei primi sono cresciuti, quelli dei secondi sono scomparsi. A questo giro, insomma, non si tratta di mettere “le mani in tasca agli italiani“, ma solo di chiedere un contributo ai conti miliardari dei circa tremila Paperoni nostrani, per aiutare alcuni milioni di Paperini meno fortunati. Un’operazione di giustizia e solidarietà in tempi eccezionali, forse irripetibili, che produrrebbe dieci miliardi di gettito senza “perdere settimane”, come dice la Meloni, creando un tesoretto di “soldi veri”, come invece auspica Salvini.
Interventi anti povertà con meno paletti – Ovviamente questi dieci miliardi non risolvono tutti i problemi, ma aiuterebbero ad affrontarne alcuni. L’intervento più immediato e più efficace, con quella cifra, potrebbe essere mirato alle situazioni di vecchia e nuova povertà: una vera emergenza, come hanno avvertito le associazioni che aiutano chi non ce la fa. E la conferma arriva dai dati sui beneficiari del reddito di cittadinanza che (al netto della sospensione di un mese iniziata a ottobre per chi lo riceveva già da 18 mesi) sono saliti a 3 milioni, il 25% in più rispetto a prima del Covid. Perché il blocco dei licenziamenti non ha “salvato” i precari con contratti in scadenza e chi lavorava in nero. L’anno prossimo il sussidio costerà 7,5 miliardi, ma i paletti troppo stretti lasciano fuori oltre 1 milione di cittadini stranieri e penalizzano le famiglie numerose e i residenti al Nord. Idem per il reddito di emergenza: pensato per raggiungere chi non ha altri aiuti, ha raggiunto solo 700mila persone a fronte dei 3 milioni che secondo la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo ne avrebbero avuto bisogno. Con 10 miliardi si potrebbe potenziare il primo, allargare il secondo – per garantire 800 euro a 3 milioni di persone servono 2,4 miliardi – e rafforzare i servizi sociali dei Comuni, come chiede da mesi l‘Alleanza contro la povertà.
Due mensilità di bonus 1000 euro – Quanto agli autonomi a partita Iva, le tornate di bonus 600 euro erogate a quasi tutti per marzo e aprile – quello da 1000 euro di maggio prevedeva requisiti stringenti e moltissimi sono rimasti esclusi – hanno richiesto stanziamenti totali di 6 miliardi. Con 10 miliardi si possono finanziare altre due mensilità di indennità da 1000 euro ciascuna per 5 milioni di beneficiari o un contributo più corposo per una platea più ristretta, da individuare sulla base della riduzione del reddito nell’intero primo semestre. O ancora: raccogliendo la proposta Acta, l’associazione che riunisce i freelance, si potrebbe concedere il bonus a tutti salvo obbligando alla restituzione chi a fine anno non registri una perdita di fatturato di almeno un terzo rispetto a quello del 2019.
Ristoro del 60% dei ricavi persi a novembre – La stessa cifra potrebbe in alternativa essere messa sul piatto per finanziare nuovi contributi a fondo perduto per chi ha registrato cali di fatturato in seguito alle misure anti contagio. Il decreto Rilancio aveva previsto per quella partita poco più 6 miliardi, con cui è stato compensato tra il 10 e il 20% delle perdite subite in aprile da 2,3 milioni di attività con fatturato sotto i 5 milioni. I tre decreti Ristori approvati finora ne stanziano altrettanti, aumentando la percentuale di compensazione ed eliminando il tetto di fatturato ma restringendo il campo agli esercizi chiusi e a quelli maggiormente danneggiati dagli ultimi Dpcm, individuati sulla base dei codici Ateco. Scelte che scontentano chi è rimasto fuori e non soddisfano chi è dentro, perché la cifra arriva al massimo al 40% dei mancati ricavi di un mese. In Germania, per fare un confronto, l’indennizzo è pari al 75% del fatturato mensile ante pandemia. Stando a stime dell’ex ministro dell’Economia Giovanni Tria e del suo ex consigliere Pasquale Lucio Scandizzo, riportate sul Sole 24 Ore, la perdita di valore aggiunto nell’ultimo trimestre dell’anno varierà tra un minimo di 40 e un massimo di 68 miliardi: 10 miliardi potrebbero quindi bastare per rimborsare a imprese e autonomi quasi il 60% del reddito perso a novembre. In questo modo, dunque, del contributo chiesto ai super ricchi potrebbero giovare anche i lavoratori meno garantiti per i quali ha deciso di impegnarsi Berlusconi. Bisogna capire se il leader di Forza Italia ha davvero a cuore i milioni di Paperini meno fortunati, come sostiene nella sua lettera al Corriere. O se invece preferisce la categoria dei tremila Paperoni, alla quale del resto appartiene.
Lobby
Famiglie senza reddito, autonomi, precari: a chi “mettere in tasca” i 10 miliardi ottenuti chiedendo un contributo a 3mila Paperoni
Da mesi i leader del centrodestra chiedono al governo di "mettere soldi veri in tasca agli italiani", aiutare "chi è rimasto dimenticato", eliminare la disparità tra autonomi e dipendenti. Come? Di sicuro si dovrà aumentare ancora un deficit già gonfiato di 100 miliardi. Ma all'apice di una crisi che accentua le disuguaglianze sociali, che colpisce maggiormente chi aveva meno anche prima del Covid, potrebbe essere arrivato il momento di fare un passetto in più. Quale? Chiedere ai 3mila super ricchi italiani (che hanno più di 50 milioni di euro) un mini contributo per aiutare alcuni milioni di cittadini maggiormente colpiti dalla crisi
I quasi 300mila lavoratori a termine lasciati a casa durante l’emergenza Covid. Le centinaia di migliaia di famiglie che hanno perso reddito e sono finite in povertà. Le piccole imprese e i 5 milioni di lavoratori autonomi indennizzati solo in piccola parte per le perdite subite con il primo lockdown e con le nuove restrizioni. È la lista minima delle categorie più danneggiate dalla pandemia e meno “ristorate”, per usare il termine che tiene banco nel dibattito politico sulla necessità di risarcire le fasce non garantite. Da mesi i leader del centrodestra insistono su questo punto. Matteo Salvini ripete spesso che bisogna mettere “soldi veri” nelle tasche degli italiani. “Ci vuole un bonus da mille euro per i precari, per chi non ha ottenuto nulla, per chi è rimasto dimenticato“, è l’ultima richiesta del segretario della Lega. Che rilancia una proposta dell’alleata Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d’Italia non parla di tasche ma direttamente di conti correnti: “Servono mille euro sul conto di chi ne faccia richiesta con semplice autocertificazione, perché non possiamo permetterci di perdere settimane per dare agli italiani soldi che servono a sopravvivere”, dice dall’inizio dell’emergenza. Domenica è poi arrivata la lettera di Silvio Berlusconi al Corriere della Sera in favore dei lavoratori autonomi, maggiormente colpiti dall’emergenza rispetto a quelli “già garantiti“, e cioè – secondo Arcore – i dipendenti e gli statali. “Quello che chiediamo al governo e alla maggioranza è di sanare questa disparità: è una delle condizioni per votare insieme i prossimi scostamenti di bilancio”, scrive il capo di Forza Italia.
La parola tabù – Per aiutare “chi è rimasto dimenticato” – per usare le parole di Salvini – sarà infatti inevitabile aumentare ancora un deficit già gonfiato di 100 miliardi. Ma non solo. All’apice di una crisi che accentua le disuguaglianze sociali, che colpisce maggiormente chi aveva meno anche prima del Covid, potrebbe essere arrivato il momento di fare un passetto in più. Quale? Chiedere ai super ricchi un mini contributo. Attenzione: non stiamo parlando di facoltosi e benestanti della fascia medio-alta, ma dei circa tremila italiani con patrimoni superiori ai 50 milioni di euro, e dei quaranta che invece sfondano il muro del miliardo. A loro andrebbe chiesto un versamento tra il 2 e il 3%, come quello ipotizzato dal fattoquotidiano.it sulla falsariga della proposta degli economisti americani Gabriel Zucman ed Emmanuel Saez. Mettiamo subito le mani avanti: non si tratta di una patrimoniale, parola tabù capace di mettere in imbarazzo politici di ogni colore, costretti a scusarsi ogni volta che pronunciano per sbaglio quel termine. L’ultimo è stato Pier Paolo Baretta, sottosegretario all’Economia. “Patrimoniale? Va evitata assolutamente ma siamo in grado di evitarla nella misura in cui siamo in condizione di favorire il risparmio ed evitare che resti bloccato ma diventi un pezzo importante degli investimenti”,ha detto presentando il rapporto Censis-Associazione italiana private banking. Qualcuno si è chiesto: vuol dire che se il risparmio dovesse rimanere bloccato, ci vorrà una patrimoniale? “Lo escludo categoricamente“, ha dovuto puntualizzare subito l’esponente del Pd. Infortuni simili sono capitati, negli ultimi mesi, al ministro del Sud, Giuseppe Provenzano, al segretario dei dem, Nicola Zingaretti, persino a Matteo Salvini, che pur di evitare il Mes si era detto pronto a “chiedere i soldi direttamente ai risparmiatori italiani”.
Il contributo dei super ricchi – Per questo motivo è il caso di mettere al bando la parola “patrimoniale”. E specificare che qui si parla di uno strumento redistributivo pensato per sanare una disparità sempre maggiore, accentuata dalla pandemia e che diventa intollerabile in un periodo emergenziale come questo. Quale? Non quella tra autonomi e dipendenti citata da Berlusconi, ma la più evidente delle disuguaglianze: quella tra super ricchi e persone normali. Con il Covid i patrimoni dei primi sono cresciuti, quelli dei secondi sono scomparsi. A questo giro, insomma, non si tratta di mettere “le mani in tasca agli italiani“, ma solo di chiedere un contributo ai conti miliardari dei circa tremila Paperoni nostrani, per aiutare alcuni milioni di Paperini meno fortunati. Un’operazione di giustizia e solidarietà in tempi eccezionali, forse irripetibili, che produrrebbe dieci miliardi di gettito senza “perdere settimane”, come dice la Meloni, creando un tesoretto di “soldi veri”, come invece auspica Salvini.
Interventi anti povertà con meno paletti – Ovviamente questi dieci miliardi non risolvono tutti i problemi, ma aiuterebbero ad affrontarne alcuni. L’intervento più immediato e più efficace, con quella cifra, potrebbe essere mirato alle situazioni di vecchia e nuova povertà: una vera emergenza, come hanno avvertito le associazioni che aiutano chi non ce la fa. E la conferma arriva dai dati sui beneficiari del reddito di cittadinanza che (al netto della sospensione di un mese iniziata a ottobre per chi lo riceveva già da 18 mesi) sono saliti a 3 milioni, il 25% in più rispetto a prima del Covid. Perché il blocco dei licenziamenti non ha “salvato” i precari con contratti in scadenza e chi lavorava in nero. L’anno prossimo il sussidio costerà 7,5 miliardi, ma i paletti troppo stretti lasciano fuori oltre 1 milione di cittadini stranieri e penalizzano le famiglie numerose e i residenti al Nord. Idem per il reddito di emergenza: pensato per raggiungere chi non ha altri aiuti, ha raggiunto solo 700mila persone a fronte dei 3 milioni che secondo la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo ne avrebbero avuto bisogno. Con 10 miliardi si potrebbe potenziare il primo, allargare il secondo – per garantire 800 euro a 3 milioni di persone servono 2,4 miliardi – e rafforzare i servizi sociali dei Comuni, come chiede da mesi l‘Alleanza contro la povertà.
Due mensilità di bonus 1000 euro – Quanto agli autonomi a partita Iva, le tornate di bonus 600 euro erogate a quasi tutti per marzo e aprile – quello da 1000 euro di maggio prevedeva requisiti stringenti e moltissimi sono rimasti esclusi – hanno richiesto stanziamenti totali di 6 miliardi. Con 10 miliardi si possono finanziare altre due mensilità di indennità da 1000 euro ciascuna per 5 milioni di beneficiari o un contributo più corposo per una platea più ristretta, da individuare sulla base della riduzione del reddito nell’intero primo semestre. O ancora: raccogliendo la proposta Acta, l’associazione che riunisce i freelance, si potrebbe concedere il bonus a tutti salvo obbligando alla restituzione chi a fine anno non registri una perdita di fatturato di almeno un terzo rispetto a quello del 2019.
Ristoro del 60% dei ricavi persi a novembre – La stessa cifra potrebbe in alternativa essere messa sul piatto per finanziare nuovi contributi a fondo perduto per chi ha registrato cali di fatturato in seguito alle misure anti contagio. Il decreto Rilancio aveva previsto per quella partita poco più 6 miliardi, con cui è stato compensato tra il 10 e il 20% delle perdite subite in aprile da 2,3 milioni di attività con fatturato sotto i 5 milioni. I tre decreti Ristori approvati finora ne stanziano altrettanti, aumentando la percentuale di compensazione ed eliminando il tetto di fatturato ma restringendo il campo agli esercizi chiusi e a quelli maggiormente danneggiati dagli ultimi Dpcm, individuati sulla base dei codici Ateco. Scelte che scontentano chi è rimasto fuori e non soddisfano chi è dentro, perché la cifra arriva al massimo al 40% dei mancati ricavi di un mese. In Germania, per fare un confronto, l’indennizzo è pari al 75% del fatturato mensile ante pandemia. Stando a stime dell’ex ministro dell’Economia Giovanni Tria e del suo ex consigliere Pasquale Lucio Scandizzo, riportate sul Sole 24 Ore, la perdita di valore aggiunto nell’ultimo trimestre dell’anno varierà tra un minimo di 40 e un massimo di 68 miliardi: 10 miliardi potrebbero quindi bastare per rimborsare a imprese e autonomi quasi il 60% del reddito perso a novembre. In questo modo, dunque, del contributo chiesto ai super ricchi potrebbero giovare anche i lavoratori meno garantiti per i quali ha deciso di impegnarsi Berlusconi. Bisogna capire se il leader di Forza Italia ha davvero a cuore i milioni di Paperini meno fortunati, come sostiene nella sua lettera al Corriere. O se invece preferisce la categoria dei tremila Paperoni, alla quale del resto appartiene.
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Economia & Lobby
Caro bollette, a due settimane dagli annunci di Giorgetti il decreto slitta ancora: cdm rinviato a venerdì
Milano, 24 feb.(Adnkronos) - “La presentazione di Fondazione Bicocca è un momento importante perché Bicocca ha già dimostrato, spostandosi in quest'area geografica della città, di fare tanto per il territorio in cui è immersa, con una trasformazione ambientale e strutturale". Lo afferma Alessia Cappello, assessora allo Sviluppo economico e politiche del lavoro del Comune di Milano, in occasione della presentazione della Fondazione Bicocca, svoltasi presso l’Aula magna dell’Ateneo milanese.
"Basti pensare - dice - a tutti gli investimenti sul verde che ha fatto e che circondano quest'area, ma soprattutto culturale, sulla parte che riguarda la proprietà intellettuale, il trasferimento tecnologico, la possibilità di avvicinare e orientare ancora di più tante ragazze e ragazzi alle materie che l’Università Bicocca rappresenta in questo territorio. Ora attraverso la Fondazione, si cerca di creare quel ponte ancora più esplicito, ancora più forte con il mercato del lavoro”.
"L’obiettivo della Fondazione è trasformare da un lato il mercato del lavoro, avvicinandolo sempre di più alle aspettative di tante ragazze e ragazzi, dall'altro lato avvicinare questo patrimonio di giovani alle proposte che ci sono nel mercato del lavoro, orientandoli e formandoli nel modo corretto a fronte delle tante vacancies che ci sono in diversi settori. Un obiettivo molto utile non solo a Milano, ma al nostro Paese”, conclude.
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "Il costo delle bollette in Italia ha raggiunto picchi insostenibili per famiglie e imprese. Oggi la segretaria Schlein ha dimostrato che sono possibili interventi urgenti e immediati per abbassare il costo dell’energia. Nello stesso giorno in cui il governo Meloni fa slittare il cdm per affrontare la questione: sono nel caos. Seguano le proposte del Pd, perché gli italiani non possono rimetterci di tasca propria per l’incompetenza di questa destra". Lo scrive sui social Alessandro Zan del Pd.
Milano, 24 feb.(Adnkronos) - “Il valore di Fondazione Bicocca è un atto di coraggio, ma anche di eredità, perché questo è il mio ultimo anno di mandato. Pertanto, l'ottica è mettere a disposizione le competenze, ma anche il coraggio, di un grande ateneo pubblico multidisciplinare, come Bicocca, a disposizione della società civile a 360 gradi”. Così Giovanna Iannantuoni, rettrice dell’università degli studi di Milano-Bicocca, in occasione della presentazione della Fondazione Bicocca, svoltasi presso l’Aula magna dell’Ateneo milanese.
“Tutti noi sappiamo dell'incertezza economica, dei problemi relativi al mancato sviluppo delle competenze e dell'inverno demografico. Queste sfide non sono solo italiane, ma anche europee, rispetto a colossi come Stati Uniti e Cina e fanno riflettere sul gap di innovazione tecnologica che caratterizza tutta l'Europa e in particolare il nostro Paese. Pertanto - spiega la rettrice Iannantuoni - è motivo di orgoglio avere da un lato lo sviluppo delle competenze e dall’altro mettere a disposizione i nostri laboratori e le nostre migliori menti insieme alle imprese per fare sviluppo e crescita. Non c'è innovazione tecnologica se non c’è giustizia sociale, cioè se l’innovazione non è a favore di tutti. Un esempio sono le polemiche legate alle auto elettriche”.
“Quindi, il nostro approccio è multidisciplinare, innovativo e diverso, com’è diversa Bicocca, e si propone come una piattaforma di connessioni per il futuro, come abbiamo voluto chiamare la giornata di oggi e aspettiamo tutte le imprese del terzo settore, gli Irccs, gli istituti di cura, le scienze della vita, Tutti insieme per dare una speranza diversa al nostro Paese”, conclude.
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "Il governo Meloni, in quasi due anni, non ha adottato alcuna misura efficace per contrastare l’aumento delle bollette, preferendo smantellare il mercato tutelato e aggravando così la situazione di famiglie e imprese". Lo afferma Ubaldo Pagano, capogruppo del Partito Democratico in Commissione Bilancio alla Camera, sottolineando la necessità di un cambio di rotta immediato. Il Partito Democratico torna a chiedere interventi concreti, proponendo due soluzioni centrali: separare il costo dell’energia da quello del gas e istituire un ente pubblico che possa garantire prezzi più accessibili.
"Non possiamo accettare – aggiunge Pagano – che il nostro sistema energetico rimanga vincolato a un meccanismo che pesa enormemente sulle tasche di cittadini e aziende. Il gas è la fonte più costosa e instabile, e continuare a legare il prezzo dell’elettricità a questa risorsa è un errore che il governo deve correggere subito. Le bollette stanno raggiungendo livelli insostenibili proprio nei mesi di maggiore consumo: Meloni e la sua maggioranza si decidano ad agire, perché gli italiani non possono più aspettare", conclude Pagano.
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "Non è più procrastinabile un intervento del Governo per contenere i costi delle bollette, oramai insostenibili per milioni di italiani. Governo e maggioranza facciano proprie le proposte del Pd avanzate da Elly Schlein e tutte a costo zero. Proposte semplici, chiare ed efficaci. Approviamole con spirito bipartisan per il bene del Paese". Così in una nota il senatore del Pd Michele Fina.
"Dopo che il taglio delle accise, promesso dalla presidente Meloni, era rimasto intrappolato nella distanza che c'è tra il dire e il fare e nulla è stato fatto è ora che maggioranza e governo prendano atto della gravità della situazione. Come si fa a non rendersi conto che questa emergenza bollette si aggiunge all’aumento di carburante, RC Auto e pedaggi, beni alimentari, materiale scolastico e affitti? Una situazione sconfortante che si va ad aggiungere ad una economia che arretra da 750 giorni, proprio mentre attendiamo gli effetti nefasti dei dazi di Trump".
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - Si riunirà domani pomeriggio il gruppo Pd della Camera e all'ordine del giorno c'è anche la questione della pdl Cisl sulla partecipazione dei lavoratori. Dopodomani infatti si riunirà in mattinata il Comitato dei 9 e quindi è atteso il provvedimento in aula. Provvedimento sul quale si sono registrate sensibilità diverse tra i dem. Con il disagio dell'area riformista, in particolare, a dire no all'iniziativa promossa dalla Cisl. Per un altro pezzo dei dem invece, come Arturo Scotto e Maria Cecilia Guerra, il testo base è stato stravolto dalla maggioranza ed è quindi insostenibile. Testo su cui, per altro, ha messo il cappello la stessa premier Giorgia Meloni parlando all'ultima assemblea Cisl.
I dem, per trovare una quadra, si erano già confrontati nelle settimane scorse in una riunione del gruppo a Montecitorio. Si era deciso di rinviare la decisione sul voto, in attesa di vedere se la maggioranza si fosse resa disponibile ad accogliere alcune modifiche, in aula, proposte dal Pd. "Attendiamo un segnale", si era detto. A quasi un mese di distanza però il 'segnale' non sembra arrivato. Dice Scotto, capogruppo Pd in commissione Lavoro: "Noi abbiamo tenuto sempre come bussola il merito. E votare no al mandato al relatore, è stata un scelta di merito perchè il testo base Cisl è stato completamente stravolto e peggiorato. Tanto che viene da chiedersi come sia possibile che un grande sindacato come la Cisl possa riconoscere come proprio il provvedimento che arriva in aula...".
"Ma -aggiunge- abbiamo detto che eravamo disponibili a modificare il nostro no in commissione, se in aula la maggioranza avesse dato l'ok ad alcune significative modifiche. Al momento, però non abbiamo avuto alcun segnale in questa direzione". E quindi, va a finire che il Pd si divide? "Non credo proprio". Magari si va verso un'astensione? "Domani abbiamo il gruppo, discuteremo domani".
Roma, 24 feb. (Adnkronos Salute) - L'intervento e le cure per il tumore al seno possono avere un forte impatto sulla sfera emotiva e sessuale della donna; il bisogno di recuperare femminilità e intimità, così come il desiderio di maternità, sono molto sentiti dalle pazienti, che però non ne parlano. Lo confermano i dati di un'indagine condotta da Iqvia e promossa da Europa Donna Italia per comprendere l'impatto della malattia sull'identità femminile e la relazione di coppia. I risultati sono stati presentati nel corso del convegno scientifico 'Rəvolution in medicine', che si è tenuto sabato 22 febbraio all'università degli Studi di Milano.
Oltre il 90% delle donne riscontra problemi legati alla sfera sessuale in seguito a interventi e trattamenti per il tumore al seno, ma il 66% non ne parla con nessuno e il 42% rinuncia a gestirli, evidenzia la ricerca coordinata da Isabella Cecchini, responsabile del Centro studi Iqvia Italia, che ha coinvolto 382 donne con diagnosi di tumore al seno di diverse fasce di età e a diverso stadio di malattia. I risultati indicano che le tematiche relative a emozioni e sessualità sono percepite importanti per il 72% del campione, ma restano taciute non solo dalle donne stesse - principalmente per timore, vergogna, idea che siano aspetti secondari rispetto alle priorità dettate dalla malattia - ma anche dai medici.
"Rispetto agli esordi del mio essere oncologa - dichiara Manuelita Mazza, oncologa della Senologia medica dell'Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano e responsabile scientifica di 'Rəvolution in medicine' - la vita delle pazienti è cambiata. In poco più di vent'anni ho assistito a grandi passi avanti nella capacità di curare il tumore al seno, anche nelle forme metastatiche; tuttavia, se si guarisce sempre di più e l'aspettativa di vita è più lunga, non sono certa sia anche più larga, più piena, più densa di vita stessa. La salute sessuale è un aspetto puntualmente trascurato del benessere di chi ha una diagnosi impegnativa come il tumore al seno, specie se metastatico, ma è parte integrante del benessere di ciascuna donna e non può essere un argomento omesso a fronte di una diagnosi di tumore al seno".
"Fornire alla paziente informazioni chiare sugli effetti collaterali sessuali dei trattamenti e, se desiderato, includere il partner nelle discussioni cliniche può fare una grande differenza - prosegue Mazza - Questa apertura non solo supporta meglio la paziente, ma le permette di sentirsi compresa in una delle sfere più intime e vulnerabili della sua vita".
I dati presentati confermano quanto un cambio di passo sia necessario: appena il 22% delle donne intervistate ha un alto livello di consapevolezza dell'impatto delle terapie sulla propria sessualità, l'11% ha interrotto la relazione con il proprio partner dopo la diagnosi di tumore al seno e 2 coppie su 3 hanno interrotto i rapporti sessuali. Anche sul fronte della maternità emergono dati significativi: solo 3 pazienti su 4 parlano del desiderio di diventare madri con il proprio medico di riferimento, e la comunicazione risulta chiara e rassicurante appena per la metà di esse, con il risultato che troppo spesso si rinuncia al proprio progetto di vita perché non si sono ricevute informazioni adeguate.
"E' il momento di promuovere un cambiamento - commenta Rosanna D'Antona, presidente di Europa Donna Italia - e far sì che i problemi riscontrati dalle pazienti nella sfera emotiva e sessuale escano dal cono d’ombra del tabù. Le donne chiedono un supporto specifico da parte dei medici e vorrebbero essere affiancate anche dagli psiconcologi. L'impegno di Europa Donna in queste direzioni non mancherà. Già dal 2022 abbiamo avviato il progetto 'Come Prima', dedicato al recupero della femminilità e al desiderio di maternità delle donne con tumore del seno, coinvolgendo le pazienti, i loro partner e i medici con materiale informativo e appuntamenti dedicati, e proseguono i nostri sforzi per promuovere e normalizzare il dialogo tra pazienti e professionisti sanitari, medici in primis, anche su questi aspetti. Non dimentichiamo che la presa in carico delle pazienti deve prendere in considerazione non solo la malattia di per sé, ma la donna nella sua interezza, con i suoi bisogni fisici e psicologici".