Sono parole dure quelle usate dal procuratore aggiunto Alessio Coccioli e dal sostituto Grazia Errede per motivare la richiesta di sequestro dei padiglioni Chini e Asclepios del Policlinico del capoluogo pugliese. La procura aveva chiesto il sequestro senza facoltà d’uso, ma il gip ha spiegato che - pur dando ragione all’accusa - la chiusura dei reparti potrebbe determinare la paralisi del funzionamento della sanità barese
A distanza di due anni dal primo decesso per legionella all’interno del Policlinico di Bari si continua a morire per infezioni contratte durante il ricovero. Sono parole dure con le quali il procuratore aggiunto Alessio Coccioli e il sostituto Grazia Errede hanno motivato la richiesta di sequestro dei padiglioni Chini e Asclepios del Policlinico di Bari, all’interno del quale – secondo l’accusa – sono decedute ben quattro persone colpite dal virus della legionella. I magistrati inquirenti che hanno coordinato la indagini dei carabinieri del Nas, hanno ripercorso tutte le fasi della vicenda e acquisito i documenti che provano – sempre secondo l’ipotesi accusatoria – come i vertici della sanità barese fossero a conoscenza del pericolo che esisteva nei reparti del principale presidio ospedaliero della Puglia, ma nulla è stato fatto per trovare una soluzione e salvaguardare la salute dei pazienti.
I pubblici ministeri hanno spiegato che agli indagati contestano l’omissione sotto molteplici aspetti. Sulla prima, quella riguardante la prevenzione attraverso analisi di rischio, registro delle manutenzioni e piano di sicurezza delle acque, la procura ritiene che non rientrasse “minimamente” nelle priorità dei problemi da affrontare. La seconda e “più inquietante” omissione era legata alle notizie ricevute nel giugno 2018 dal dipartimenti di prevenzione che informò i vertici sanitari non solo della morte di un paziente per legionella, ma anche dei valori elevati riscontrati nelle acque del reparto del Policlinico: in quel caso, invece di intervenire immediatamente con una bonifica straordinaria come prevede la legge, l’unica risposta della direzione sanitaria fu quella di inoltrare la missiva all’area tecnica per chiedere un calendario di interventi. In quella lettera, infatti, il dipartimento di prevenzione chiarì che c’erano “elevatissimi valori del batterio nelle analisi effettuate presso l’impianto idrico del reparto” e invitò la direzione sanitaria a intraprendere “ogni iniziativa provvisionale ed urgente volta alla bonifica della struttura idrica del reparto”, ma ciò che seguì, secondo l’accusa, fu solo “l’impressionante inerzia della direzione”.
E così i pazienti hanno continuato a infettarsi e in alcuni casi a morire. Un rischio ancora non scoingiurato che per la procura è troppo alto soprattutto in un periodo caratterizzato da un’emergenza santaria collegata alla pandemia da Covid-19, in cui sono numerosi pazienti che giungono nelle strutture con problemi all’apparato respiratorio. Ed è anche per questo che la procura aveva chiesto il sequestro senza facoltà d’uso, ma il gip ha spiegato che – pur dando ragione all’accusa e riconoscendo il rischio che il reato possa reiterarsi – la chiusura dei reparti potrebbe determinare la paralisi del funzionamento della sanità barese. Secondo il magistrato il numero di decessi causati dai mancati ricoveri potrebbe addirittura essere più alto di quelli che provocati dall’infezione per leginella. Pur essendo la richiesta dei pubblici ministeri “fondata e giuridicamente ineccepibile”, ha spiegato il giudice Giuseppe De Benedictis, l’accoglimento potrebbe determinare una situazione di grave disfunzionamento della sanità “già di per sé in non floride condizioni”.