Tempo scaduto. La riforma dello sport resta a metà. C’è finalmente un nuovo contratto per i lavoratori, il professionismo femminile, le regole per diventare agenti, la legge sugli stadi, la semplificazione degli adempimenti, la sicurezza sulle piste da sci. All’ultima riunione utile, il Consiglio dei ministri ha approvato 5 dei 6 decreti in cui era stata spacchettata la delega che scade il 30 novembre. Manca però il primo provvedimento, il più importante: quello sulla governance dello sport italiano e sul Coni. In due parole, perché alla fine tutto si è ridotto a quello, sulla poltrona di Malagò. Intoccabile. Tanto che per non toccarla alla fine è saltata mezza riforma.
E dire che comunque il Coni ci avrebbe guadagnato. Uno degli obiettivi della grande riforma, se così ancora si può chiamare, era diventato restituire al Comitato Olimpico la preziosa autonomia violata della Lega e dall’ex sottosegretario Giorgetti, che aveva affidato quasi tutto (soldi, potere, perfino il personale) alla società governativa Sport e Salute. Dopo pianti e moniti del Cio (il Comitato internazionale ha minacciato addirittura di sospendere l’Italia), il Coni aveva strappato a Vincenzo Spadafora la promessa di un intervento riparatore. E il ministro l’aveva tutto sommato mantenuta, considerato che al Coni sarebbero tornati ben 115 dipendenti e asset fondamentali come il Foro Italico e il centro dell’Acqua Acetosa. Infatti, con la presenza anche del nuovo mega-dipartimento per lo Sport di Palazzo Chigi voluto da Spadafora (un vero e proprio “Dicastero a sé” anche secondo il Dagl, il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi di Palazzo Chigi), ad uscirne ridimensionato sarebbe stata soprattutto la società Sport e Salute diretta da Vito Cozzoli.
Solo che nel testo si parlava pure di limite dei mandati, tema spinoso se ce n’è uno. E lì si è bloccato tutto. Per mesi il ministro Spadafora ha cercato di rinnovare i vertici di tutto il sistema, con un nuovo limite di mandati che mandasse a casa tutti i presidenti che stanno lì da decenni. Tentativo fallito, perché mentre la riforma arrancava i padri padroni delle Federazioni si sono fatti tutti rieleggere e sono sfuggiti alla tagliola. A quel punto il Movimento 5 stelle ha preteso almeno una testa, quella più famosa, quella di Malagò: ha chiesto di negargli il terzo mandato consecutivo o, in alternativa, di mettere un’incompatibilità con la Fondazione di Milano-Cortina, di cui pure è presidente. La stessa norma di cui si era già parlato in estate e che, come rivelato dal Fatto, era stata cancellata dal testo da una “manina” su suggerimento proprio del Coni.
Pare che il Pd per un paio di giorni si fosse mostrato anche possibilista, provando a capire quale sarebbe stata la reazione. Pessima: come chiedergli di scegliere fra il suo Coni e le sue Olimpiadi? Così anche il Pd si è arroccato sulla sua posizione (o su quella di Malagò, che dir si voglia): niente cambio al limite ai mandati (perché non si tocca la Legge Lotti), niente incompatibilità con Milano-Cortina, perché secondo i dem sarebbe stata una norma “contra personam”. E da questo stallo fra i due alleati di governo c’è andata di mezzo la riforma. “Peccato non aver trovato un accordo sul decreto uno, che metteva ordine nei ruoli e nelle funzioni degli organismi sportivi”, commenta piccato il ministro. Sono stati salvati giusto un paio di articoli su atlete donne e disabili, accorpati agli altri provvedimenti. Salta quindi pure l’incompatibilità con le cariche politiche: le porte girevoli fra parlamento e sport restano aperte.
Spadafora almeno ha portato a casa gli altri 5 decreti, che può intestarsi. In particolare quello molto atteso sul lavoro sportivo, anche se le premesse sembravano più rivoluzionarie e la riforma deve ancora passare dal vaglio delle Regioni (in maggioranza in mano al centrodestra). C’è pure l’incognita dei rilievi posti dal Dagl e chissà quanto davvero superati, con lo spauracchio di dover sottoporsi al giudizio del Consiglio di Stato. Sulla governance invece si apre un nuovo fronte, che poi è il solito dell’ultimo anno e mezzo: la paralisi tra Sport e Salute e il Coni, dove non si capisce chi fa cosa. La prima in cerca d’identità, il secondo che ora tornerà a strepitare a giorni alterni e a far leva sulle improbabili minacce del Cio per riavere potere. Escludendo un decreto ad hoc, che dovrebbe essere votato in parlamento, la soluzione più probabile resta infilare un emendamento nel primo provvedimento utile, su cui però ci sarà comunque il veto del M5S (e adesso forse anche del ministro, che certo non ha gradito l’ostruzionismo del Coni). Tutto perché Malagò non ha lasciato andare la riforma. O forse era la riforma che doveva lasciar andare Malagò.