Secondo la direttiva comunitaria del 2004, gli Stati devono corrispondere un indennizzo alle vittime di reati violenti e intenzionali che non siano stati risarciti dagli autori degli abusi. L'Italia non aveva recepito la direttiva, ma ora la presidenza del Consiglio dovrà risarcire la donna
Una sentenza inedita, “molto tecnica ma importante“, dicono i giudici. Si tratta del verdetto che la Terza Sezione civile della Cassazione ha emesso lunedì 23 novembre, applicando per la prima volta l’orientamento tracciato lo scorso luglio dalla Corte di giustizia europea. Gli ermellini, infatti, hanno riconosciuto il dovere dello Stato italiano a risarcire una donna che nel 2005 aveva subito una violenza sessuale. Dopo la condanna penale degli imputati, la donna, una cittadina italiana, non era riuscita a ottenere da loro nessun risarcimento nel processo civile, visto che i due si erano resi latitanti.
Per questo la questione è finita davanti ai giudici della Corte Ue. L’Italia infatti non ha recepito la direttiva comunitaria del 2004 che impone agli Stati di corrispondere un indennizzo alle vittime di reati violenti e intenzionali che non siano stati risarciti dagli autori degli abusi. Era stata la stessa Cassazione a chiedere un orientamento alla Corte sulla possibilità di ottenere un risarcimento dallo Stato per le vittime. A seguito della pronuncia della Corte Ue, la Terza sezione civile della Cassazione ha condannato oggi la presidenza del Consiglio a risarcire la vittima, in maniera equa e adeguata rispetto alla sofferenza patita, per aver dato attuazione con ritardo alla direttiva comunitaria 2004/80.
I due imputati si sono resi latitanti mentre si trovavano agli arresti domiciliari ed erano stati condannati in primo e in secondo grado di giudizio, con una pena definitiva di dieci anni e mezzo di reclusione ciascuno. La vittima, non potendo ricevere alcun risarcimento dai condannati, aveva così intentato una causa civile nei confronti dello Stato. La sentenza emessa in primo grado nel 2010 è stata la prima a riconoscere la mancata attuazione da parte dell’Italia della direttiva Ue del 2004. In seguito, la Corte d’appello di Torino, applicando la direttiva, aveva già condannato la presidenza del Consiglio dei ministri a pagare 50mila euro alla donna.
“Il verdetto di Lussemburgo al quale ora si è adeguata la Cassazione è molto importante“, ha spiegato l’avvocatessa Maria Franca Mina del Forum delle giuriste, consigliera delle Pari opportunità dell’Ordine degli avvocati di Torino. Proprio su questa vicenda l’Ordine aveva sollecitato, con memorie difensive, la Corte Ue. “Ha indicato anche che la misura del risarcimento non può essere solo di importo simbolico, come inizialmente fissato dalle tabelle italiane di ‘liquidazione’ dei reati non ristorati, ma deve essere soddisfacente rispetto ai patimenti subiti“.