Campione olimpico da dilettante e campione del mondo in due categorie diverse da professionista. Giovanni Parisi è stato uno dei pugili italiani più forti e amati di tutti i tempi. Infanzia complicata, carriera strepitosa e fine tragica. Giovanni è morto il 25 marzo 2009, a soli 41 anni, in seguito ad un incidente stradale sulla tangenziale di Voghera, la sua città natale. Oggi la storia del pugile, i cui successi sono il risultato di una costanza assoluta e un talento purissimo, viene raccontata in un bel documentario, al momento inedito (è in programma al Matera Sport Film Festival 26-28 novembre) dal titolo “Flash“, il soprannome del boxeur. “Flash – La storia di Giovanni Parisi”, scritto da Federico Riccardo Rossi (attore e produttore) e Marco Rosson (regista), non ha scopo di lucro ed è stato realizzato con il sostegno dell’Associazione Italiana Cultura e Sport. Tra i protagonisti del documentario anche Giacobbe Fragomeni, campione del mondo e amico di Parisi.

Fragomeni, con Parisi eravate quasi coetanei.
Lui era più grande di me di due anni, ma ha iniziato fare la boxe da piccolo, mentre io sono entrato in palestra per la prima volta a 20 anni. Per me è sempre stato un idolo.

Tanto che si trasferì da lui.
Ho iniziato ad allenarmi a Voghera nel 2004 e mi sono fermato lì per qualche anno. Tramite un amico comune, sono andato a parlargli. Giovanni era ancora in attività e lavorava con pugili che di mattina non avevano voglia di svegliarsi per l’allenamento. Mi disse subito: a te non lo permetterò, se sgarri una volta, chiudiamo. Ma io sono sempre stato serio. Mi allenavo tutti i giorni, mai tirato indietro una volta né col caldo né con la neve. Siamo diventati amici.

E vicini di casa.
Vivevo in una casa di sua proprietà, mi faceva pagare solo le spese condominiali senza volere l’affitto. Sul documentario c’è una scena in cui Giovanni corre con il suo cane su un viale alberato. Non so quante volte ho fatto di corsa quella strada con lui…

Cosa le ha insegnato Parisi?
Lui era un metodico, faceva sempre le stesse cose. Perché così durante il match sarebbero arrivate automatiche. Era proprio così, aveva ragione! Mi ha insegnato come allenarsi nel professionismo, ancora oggi da allenatore io uso i suoi metodi.

Parisi era Flash.
Io facevo i guanti con lui, a me serviva la velocità. Nella mia categoria, i massimi leggeri, sono tutti pesanti. Quando riuscivo a schivare i suoi colpi, voleva dire che ero pronto per l’incontro. Che avevo la concentrazione e la forma giusta. Io ero un incassatore e i suoi pugni non mi facevano male, ma quando partiva con una serie sentivo come il suo suono di una batteria…

Ci fu intesa anche a livello umano?
Correvamo insieme dodici chilometri al giorno e alla domenica ne facevamo venti. Parlavamo molto, ci capivamo, venendo entrambi da un’infanzia simile. Tutti e due di origine calabrese e col papà assente. Avevo il campione accanto che raccontava la sua vita e la sua carriera, io ascoltavo come un fan.

Nel frattempo Parisi continuava a combattere.
Vidi a bordo ring il suo ultimo match, nel quale perse l’Europeo dei Welter. Lì combatte solo con l’orgoglio, ma non era più il Parisi di un tempo. Anni prima quell’avversario se lo sarebbe preso al massimo come sparring partner.

Sul documentario il manager Cherchi dice che Parisi è stato il pugile più forte italiano degli ultimi 40 anni.
Vero, vero. Benvenuti, Oliva, Stecca e lui. Campioni olimpici da dilettanti e poi campioni mondiali da professionisti.

C’è oggi qualche pugile che le ricorda Parisi?
Per alcuni movimenti, con le dovute proporzioni, direi Emiliano Marsili.

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