I tre accusati di associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento di lavoratori sono un cittadino marocchino proprietario di un'azienda agricola che si occupava del reclutamento di manodopera, un suo collaboratore di origine albanese e una donna italiana che lavorava nello studio di un commercialista e si occupava di far evadere gli oneri contributivi per i dipendenti
Lavoravano anche 12 ore al giorno nelle campagne con paghe irrisorie, spesso al di sotto dei 5 euro all’ora, meno della metà di quello previsto dalla legge. Si tratta di decine di cittadini marocchini che versavano in stato di bisogno e venivano sfruttati in aziende agricole delle province di Vicenza, Verona e Padova. Nelle prime ore di questa mattina, i Carabinieri del Gruppo Tutela del Lavoro di Venezia hanno eseguito tre misure di custodia cautelare in carcere nei confronti di un cittadino marocchino, un albanese e una donna italiana. I tre sono accusati per il reato di associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento di lavoratori.
L’indagine è stata condotta dai militari tra maggio 2019 e luglio 2020, dopo una serie di controlli in aziende agricole delle tre province. Con il coordinamento della pm veronese Maria Beatrice Zanotti, i Carabinieri hanno individuato una cooperativa agricola con sede a Cologna Veneta (Verona), che reclutava cittadini marocchini come manodopera in aziende del territorio, in regime di sfruttamento e anche ‘in nero’.
Attraverso pedinamenti, ispezioni e testimonianze di numerosi lavoratori, sono stati individuati i tre indagati. Si tratta del titolare dell’azienda fornitrice di manodopera, un marocchino che si occupava del reclutamento dei lavoratori, un suo stretto collaboratore di cittadinanza albanese, con le funzioni di intermediario di manodopera, e la donna italiana, collaboratrice di uno studio commercialista che come consulente del lavoro consentiva alla cooperativa di evadere gli oneri contributivi per i dipendenti.
Ai lavoratori sfruttati veniva versata una retribuzione nettamente inferiore a quella dei contratti regionali e nazionali, spesso un compenso orario di meno della metà di quello previsto dalla norma. Per evitare i controlli di polizia, gli operai erano alloggiati con sistemazioni di fortuna, senza riscaldamento né energia elettrica, per poi essere svegliati alle prime luci dell’alba e accompagnati in auto nelle aziende agricole, dove lavoravano sotto stretta sorveglianza fino a tarda sera. Le indagini hanno inoltre accertato che nelle aziende non veniva rispettata alcuna norma di sicurezza, comprese quelle contro il rischio di contagio Covid: i lavoratori erano privati anche delle mascherine.
La cooperativa sociale si proponeva sul mercato agricolo a un prezzo molto basso per le ditte committenti che utilizzavano la manodopera soprattutto in quelle attività usuranti e faticose come la raccolta dei prodotti agricoli e l’allevamento di bestiame. La società continuava a operare indisturbata sul mercato del lavoro, mutando nel tempo la propria ragione sociale.