Arriverà una delibera di Giunta che modifica il regolamento sulle sepolture e inserisce sulle “tombe” un codice numerico di registro al posto del nome delle donne che hanno subito un aborto dalla 20esima settimana. Il caso era stato sollevato da una donna, Marta Loi, che aveva trovato, per caso, il suo nome scritto su una delle croci posizionate nel cimitero Flaminio, dove era stato seppellito il feto che aveva abortito anni prima
Il cimitero dei feti a Roma resterà al suo posto, ma le tombe saranno anonime. Il Campidoglio ha annunciato una delibera di Giunta che modifica il regolamento sulle sepolture e inserisce sulle “tombe” un codice numerico di registro al posto del nome delle donne che hanno subito un aborto dalla 20esima settimana. Il caso aveva creato molto scalpore nelle scorse settimane quando una donna, Marta Loi, denunciò su Facebook di aver trovato, per caso, il suo nome scritto su una delle croci posizionate in uno dei quadranti del cimitero Flaminio, laddove era stato seppellito il feto che aveva abortito anni prima.
Nelle ore seguenti si era scoperto che l’Ama spa, la società comunale che gestisce i cimiteri romani, agiva in maniera “burocratica” basandosi su un regolamento di Polizia cimiteriale ispirato a sua volta a un Regio decreto del 1939, unica e ultima fonte di diritto a normare la fattispecie. Ora, durante una riunione congiunta delle commissioni Pari opportunità e Ambiente di Roma Capitale, è stato Alessandro Aurigi, il capo staff dell’assessora comunale al Verde, Laura Fiorini, a illustrare il nuovo provvedimento “pronto a essere approvato”. “Se la richiesta sarà ben precisa – ha spiegato Aurigi – si opererà in un certo modo, altrimenti verrà semplicemente associato un codice identificativo al prodotto abortivo che verrà inumato, ma garantendo la privacy”.
Ci vorrà ancora un po’ di tempo prima dell’approvazione della delibera, che dovrà essere prima discussa in commissione e poi in Assemblea capitolina. Durante la riunione della commissione, che avviene in streaming, è intervenuta anche Marta Loi, la donna che per prima ha denunciato i fatti del cimitero Flaminio e che si era chiusa nel silenzio dopo il clamore mediatico suscitato dal suo post. “In quei cimiteri – ha detto – non ci sono solo i prodotti delle interruzioni spontanee, ma anche come nel mio caso di quelle terapeutiche consentite dalla legge 194 per la tutela della salute e dell’anonimato della donna che è stato palesemente violato”. E ancora: “Assimilare a un defunto il materiale abortivo tra le 20 e le 28 settimane vuol dire mettere in discussione l’essenza stessa della legge 194”.
L’incontro ha anche sollevato un caso nel caso. A un certo punto Loi, per far capire la gravità della presenza di un cimitero dei feti, ha provato ad azzardare: “Chiedo quindi ad Ama come vengono seppelliti gli arti imputati, a cui i materiali abortivi sono equiparati e che non vanno inumati in fosse singole ma in campi comuni senza alcun segno di riconoscimento”. Abbastanza sorprendente la risposta di Fabrizio Ippolito, il responsabile per Ama dei servizi cimiteriali: “Anche le parti anatomiche vengono inumate con nome e cognome della persona, e anche su questo abbiamo chiesto la stessa secretazione del dato proponendo la registrazione con il solo codice alfanumerico”. Stando alle sue parole, dunque, si dovrebbe supporre che da qualche parte, nel cimitero più grande d’Europa, ci sia anche una specie di “cimitero degli arti amputati” con il nome e cognome delle persone che hanno subito l’operazione. Interpretazione tuttavia non confermata da Ama.
L’annuncio, arrivato nel giorno della celebrazione della Giornata internazionale contro la violenza sulla donna, ha dato l’occasione alla presidente della commissione Pari opportunità, Gemma Guerrini, di esprimere la sua soddisfazione per il provvedimento in corso di approvazione: “Ci troviamo di fronte evidentemente a qualche slabbratura normativa o di interpretazione – ha dichiarato – in evidente violazione della legge sulla privacy e con errori di prassi, non ultimo il fatto che i simboli funerari apposti siano croci, e questo ci lascia molto titubanti perché si tratta di un chiaro riferimento al simbolo di una religione quando noi siamo uno Stato laico, interculturale e interreligioso, oltretutto in dei campi che non sono nemmeno consacrati”.