“O core scuro scuro”. Forse non c’è bisogno di traduzione per dire come la notizia della morte di Diego Armando Maradona abbia sconvolto i napoletani. E non stupisce quindi che il sindaco di Napoli Luigi de Magistris abbia proclamato il lutto cittadino né che le luci dello stadio San Paolo, che tremava ad ogni suo gol, ora sia illuminato come a contrastare una tristezza buia. Uno stadio che potrebbe portare il suo nome. “Intitoliamo lo Stadio San Paolo a Diego Armando Maradona” twitta il primo cittadino. “Domani voglio trasmettere il volto di Maradona per tutta la partita. Potrebbe essere un’idea chiamarlo San Paolo-Maradona” ha detto il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis parlando all’emittente francese RMC. Il D10s dal sinistro d’oro che ha trascinato il Napoli e Napoli in vetta al calcio italiano merita questo riconoscimento secondo i tifosi della maglia azzurra. “Ha rappresentato il riscatto di un’intera città con mille problemi. Una città che Diego è riuscito a portare ai vertici con la sua immensa classe” dice l’ex numero uno del Milan, Adriano Galliani.

Cosa è stato Maradona per Napoli è storia altrettanto nota da tutti. Eppure non c’è casa a Partenope e dintorni che non senta questa scomparsa come un lutto privato, come la perdita di un parente, come la fine di un’epoca della propria vita. E così non sorprende neanche la scritta sui manifesti funebri che stanno comparendo per le strade dei Quartieri Spagnoli, nel centro di Napoli. Nello slargo dove è ospitato lo storico murales dedicato a Diego, in via Emanuele De Deo, sono stati posizionati in circolo decine di lumini rossi.

Perché all’ombra del Vesuvio nessuno ha dubbi sull’eterna disputa tra Maradona e Pelè e tutti quelli che negli anni Ottanta c’erano conoscono il giocatore argentino come si conosce un amico, uno zio, un cugino. Del resto, quella canzoncina “Maradona è megl’ ‘e Pelè” è entrata nella testa e non se ne andrà mai più. Nemmeno adesso che il Pibe a lasciato questa terra. Non c’è una persona a Napoli e dintorni che non ricordi a memoria quei gol, che non sappia di quel sinistro magico, di quel sorriso da scugnizzo, del trio della Magica (Maradona, Giordano, Careca), degli scudetti, degli schiaffi tolti da faccia. Dei festeggiamenti folli in una città che non aveva mai vinto niente e che soffriva tanto. Del modo in cui solo lui riusciva a incantare la palla come se ce l’avesse legata al piede con un filo. Dei palleggi con il sottofondo di Live is Life.

“Per noi è come un lutto di famiglia, questa piazza l’ha creata mio padre per omaggiare Maradona, ma non ora, ai tempi. L’affetto per Maradona non si cancellerà mai, perché lui è il re di Napoli” dice una ragazza insieme agli tifosi riuniti. “Un vuoto immenso, stasera è morto il calcio”, dice un tifoso mentre un altro aggiunge “è morto un padre”. “Ciao, Dio del Calcio“, c’è scritto sui manifesti funebri firmati da ‘La Napoli che piange?. Parole forti per chiunque non abbia vissuto quei tempi d’oro. Maradona arrivò a Napoli come un dio, il grande talento che arrivava dal Barcellona e che diventò napoletano, adottato dalla città che lui ha continuato ad amare.. Ed è anche per questo che nonostante gli errori, le cadute, la sregolatezza le suore di clausura di Napoli celebreranno la messa in onore del loro beniamino, il Pibe de Oro come fa sapere suor Rosa Lupoli, clarissa cappuccina da sempre tifosa del Napoli e con un particolare affetto per Maradona “per avere portato Napoli sul tetto d’Italia e d’Europa”. “Ti accolga il Padre delle misericordie, tu che hai fatto sognare, piangere milioni di tifosi che qui a Napoli, dopo 30 anni dalla tua partenza, ti amano per aver portato Napoli sul tetto d’Italia e d’Europa. Domani celebreremo la messa per te“.

Un calciatore che, corteggiato dalla Juventus, rispose “che non avrei mai potuto fare questo affronto ai napoletani perché io mi sentivo uno di loro, che non avrei mai potuto indossare in Italia altra maglia se non quella del Napoli”. Quello che, con la maglia dell’Argentina, lo stadio San Paolo ha applaudito perché era uno di lì, un napoletano, con qualunque maglia. Quello che ogni volta che è tornato in città è stato salutato con bagni di folla e lacrime di commozione. Il Napoli è Maradona e Napoli è Maradona, in un’identificazione che va oltre di sport tra il talento e la sregolatezza, il genio e l’insofferenza, la furbizia e le debolezze, il sorriso e le lacrime. C’è uno striscione famosissimo di quella notte storica del primo scudetto, il 10 maggio 1987: “Che vi siete persi“, appeso sul muro del cimitero di Fuorigrotta, a una manciata di passi dallo stadio. Ora glielo può raccontare lui.

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