Nel 2019, esattamente vent’anni dopo la scandalosa sentenza della Cassazione sul non-stupro della ragazza con i jeans, l’Istat ha fotografato l’abisso culturale in cui mette radici il fenomeno della violenza di genere. Quattro persone su dieci (tra cui anche donne) ha risposto con affermazioni da Medioevo ad una intervista per tracciare l’immagine sociale della violenza all’interno della coppia. “Colpa delle donne”, la violenza, specie quella sessuale che “potrebbe essere evitata”, che dipende “da come ci si veste” e che non succede “alle ragazze serie”. Se poi hai bevuto qualche cocktail di troppo o hai assunto droghe è proprio colpa tua.
Risposte che rappresentano una galleria dell’orrore che fa male, ancor di più, considerando questi numeri: in Italia una donna subisce violenza ogni 15 minuti e viene commesso un femminicidio ogni 72 ore. L’ambiente familiare è il luogo della maggior parte degli abusi. In Italia l’83,4 % delle 130 donne uccise nel 2018 ha trovato la morte per mano di un familiare, di un partner o di un ex-partner.
Le difficoltà che le donne incontrano nella fuoriuscita dalla violenza sono spesso legate a scarsi strumenti di sostegno dei loro percorsi di libertà e autonomia. Cioè se una donna è economicamente dipendente dal partner farà molta fatica a denunciare. Questa violenza, cosiddetta economica, fa sì che spesso le vittime tornino dal partner violento per le difficoltà economiche che si trovano ad affrontare.
In questo senso, è dovere delle istituzioni introdurre strumenti di welfare volti a sostenere economicamente le donne nel loro percorso di fuoriuscita dalla violenza, al fine di favorirne l’inserimento nel mondo del lavoro e l’autonomia abitativa, promuovendo progetti di autoimprenditorialità femminile e misure di sostegno all’occupazione come il bonus baby sitter. Così come per le imprese prevedere assunzioni riservate e sgravi fiscali per favorire il lavoro delle donne. E’ fondamentale implementare politiche sociali che consentano a tutti e tutte di conciliare il lavoro con la famiglia senza dover scegliere l’uno o l’altro e di poter contare su strutture pubbliche come consultori o centri anti-violenza in caso di necessità.
La violenza sulle donne nel 2020 è ancora e soprattutto un problema culturale, frutto dell’ignoranza, della discriminazione, dell’omertà, dell’incapacità di amare e spesso del poco amore che noi donne abbiamo di noi stesse. Per questo, il lavoro più importante che si possa fare è prevenire. Formare i giovani già a partire dai primi banchi di scuola al rispetto della parità di genere e della persona in generale, includendo nei programmi scolastici ed universitari i temi dell’educazione alla legalità e al contrasto alla violenza di genere.
Accanto all’educazione scolastica è indispensabile la formazione di medici, infermieri, psicologi, avvocati, magistrati, assistenti sociali, forze dell’ordine e di tutti i soggetti che parlano con donne che hanno subito violenza. Purtroppo ancora oggi, nei mondi che vengono a contatto con la violenza sulle donne sono presenti molti pregiudizi. Per questo la specializzazione e la formazione sono cruciali.
Sul fronte della prevenzione è necessario anche il trattamento degli uomini violenti per evitare che, espiata la pena, commettano altri reati della stessa natura. Questo comporta l’attivazione di una rete territoriale antiviolenza, che predisponga protocolli operativi tra aziende sanitarie, forze dell’ordine, procure, enti locali, centri anti-violenza.
Un’attenzione particolare va rivolta ai media affinché non trasmettano una visione sessista e stereotipata dei ruoli tra uomo e donna e affinché siano sanzionati, qualora incorrano in questi stereotipi, avendo una cura particolare per il contesto dei social network, canale comunicativo privilegiato da parte delle fasce più giovani della popolazione. Nell’era del web, la violenza corre anche in rete e le donne sono le principali vittime del discorso d’odio online, il cosiddetto hate speech. Normare il web non è cosa semplice, tuttavia, si deve porre l’attenzione su come arginare questi discorsi violenti.
Per fare tutto questo, serve, soprattutto, la costruzione di una reale cultura della parità tra i sessi che favorisca la partecipazione delle donne al lavoro e alla vita politica e sociale, eliminando le disparità nelle retribuzioni, nelle pensioni, nelle carriere, nei processi decisionali e nei ruoli apicali. Un cambiamento totale del paradigma sociale che metta al centro la donna per ridurre così il gap oggi esistente.
Ciò significa investire realmente sul futuro del Paese, per costruire una cultura del rispetto e della valorizzazione della donna con la consapevolezza che la battaglia decisiva si combatterà sul terreno culturale prima che su quello normativo.