Tra boccate d’ansia e corbellerie della famigerata zona rossa
Capisco l’urgenza di doversi cambiare le mutande perché me la sono fatta sotto e non ho quella di ricambio e devo correre al negozio di biancheria intima che, malgrado il lockdown, trovo aperto. Se invece ho la scarpe sfondate e urge un paio nuovo, il negozio di calzature lo trovo sbarrato. Poveri ristoratori hanno apparecchiato bellissime tavole davanti al Duomo e a Piazza Plebiscito di Napoli per protesta. E hanno tutte le sacrosante ragioni. Si erano adeguati a tutte le norme di sicurezze, hanno allontanato i tavoli, hanno messo tra un tavolo e l’altro il plexiglass, niente tavolate, avevano il termoscanner all’ingresso e prendevano il nominativo di chi si attovagliava per il tracciamento dei commensali in caso di contagio. Niente di tutto questo se invece vado a comprarmi “urgentissimamente” un paio di mutande.
Da Napoli sono passata a Milano (per motivi di lavoro), da zona rossa a zona rossa. Ho lasciato a Pizzofalcone un vicolame da Commedie Humaine, dove la vita scorre chiassosa come sempre, con e senza confinement ( come dicono i francesi, gli unici al mondo a non usare il termine stra/abusato di lockdown).
Al teatro e al cinema almeno mi misurano la temperatura, invece neanche un termoscanner si può permettere la pubblic company di Treni Italia? Potrei avere 39 di febbre mi lascerebbero lo stesso salire sul treno. Intanto un biglietto solo-andata Napoli-Milano, seconda classe, è un salasso di 103 euro. Vergogna. (Vai al https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/11/18/cara-trenitalia-dopo-il-mio-ultimo-viaggio-ho-solo-una-cosa-da-dirti-vergogna/6006407/ via @fattoquotidiano ).
A Milano una domenica bestiale al Parco di via Palestro, sotto un foliage che ci rimanda a Ungaretti: Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie. Giostre, assembramenti, picnic e concertine sull’erba. Passano un paio di pattuglie della polizia, li lasciano fare, si sono scocciati pure loro di fare i controlli. Tanto a che servono!
Perfino i supermercati, che a marzo, molto ligi, misuravano la temperatura e distanziavano gli ingressi, si sono scocciati ed entriamo a battaglioni.
Alzi la mano chi di voi si sente un concerto in streaming?
Il Teatro San Carlo e La Scala fanno quello che possono per non lasciarci a digiuno di cultura. Perché l’arte non ferma le guerre, non ferma il maledetto Virus Cinese, ma ci nutre dal profondo. Eppure il San Carlo aveva preso tutti i provvedimenti comme il faut, schermo in plexiglass e posti contingentati e per non farci avvertire il vuoto della platea avevano appoltronato i cartonati di celebrità del mondo dello spettacolo.
“Il teatro è arte, è una fede” – interviene nella discussione virtuale il drammaturgo ed ex assessore alla Cultura Massimiliano Finnazer Flory – Quando in Francia nel 1943 in una Parigi occupata dai nazisti chiusero i teatri l’iconico Louis Jouvet isolato nel suo camerino si interrogava sulla ferita lacerante inferta alla cultura. Siamo di nuovo soli, ognuno nel buio del proprio camerino”. “Ma l’umanità è più fragile rispetto a quella uscita dalla seconda guerra mondiale. Siamo una società debole, non abituata alla fatica, alla solidarietà”, analizza Umberto Galimberti, il grande psicologo. Il lockdown può dare una spinta alla creatività? Andiamoglielo a dire a quelli che hanno perso il lavoro. Serve a indagare su noi stessi, se ne siamo capaci. Belle parole, ma questa clausura imposta ci sembra meno utile della prima, non capiamo cosa fare, cosa ci viene chiesto. E vivere a propria insaputa è la cosa peggiore che ci possa capitare.
pagina Facebook di Januaria Piromallo