Un danno causato dall'errore, un danno causato anche da chi ha usato questo caso per fini politici. Detto Fatto chiuderà ma lo scivolone noto a tutti è stata solo l'occasione d'oro, il pretesto perfetto. In queste ore un tutorial ha funzionato: come chiudere un programma non assumendosi responsabilità e aspettando incidenti di percorso
Detto Fatto chiuderà ma il tutorial sulla spesa sexy al supermercato c’entra poco o nulla. I fatti sono ormai noti, il caso esploso sui social ha suscitato a cascata le reazioni politiche e non. La trasmissione in onda nel pomeriggio di Rai2 è stata al momento sospesa dopo le scuse della conduttrice Bianca Guaccero, del direttore di Rai2 Ludovico Di Meo e dopo le parole dell’amministratore delegato Fabrizio Salini. La verità, dicevamo, è che il futuro del programma, segnato da tempo, è per assurdo slegato dal singolo episodio.
C’è chi descrive l’amministratore delegato come furente, per il tempismo soprattutto. Perché la Rai scivola su una brutta pagina televisiva nel giorno dedicato alla lotta alla violenza contro le donne (la puntata in discussione, scomparsa da RaiPlay, è stata trasmessa il 24 novembre). Il tempismo, dicevamo, perché l’ennesimo caso esplode pochi giorni dopo l’assist del premier Conte: “Non confermo le dimissioni di Salini, credo stia facendo bene“, ha detto lunedì scorso a Otto e mezzo. Ed è qui la chiave di tutto. Quando dalle parti del Pd arrivano i primi lanci di agenzia le reazioni sono bollenti, chi è vicino a Zingaretti e Franceschini, che le dinamiche Rai le conosce bene, fa sapere che la partita Salini era chiusa dopo lo “sfratto” dato da Gualtieri qualche giorno prima. Fine della corsa annunciata per evitare ogni possibilità di proroga della governance, una gestione che il Pd non ha mai apprezzato e sostenuto.
Le parole pronunciate da Conte, secondo fonti interne, sono servite per placare gli animi, per evitare ulteriori scossoni essendo Salini in scadenza ma soprattutto per difendere la poltrona più importante in quota M5S. I nomi che circolano, anche quelli coperti, sono considerati neutri o vicini ai democratici: i pentastellati vogliono blindare il Tg1 con il traballante Carboni ma soprattutto serve un nome vicino ai grillini per il ruolo più di potere del servizio pubblico. La furia del Pd ma anche di Italia Viva e Forza Italia, l’insoddisfazione della Lega per una Rai2 troppo meloniana. Quando è in corso un cambio ai vertici di Viale Mazzini le polemiche piccole diventato casi mediatici, le reazioni diventano rumorose. Ogni giorno ce n’è una, poi due, si sale a tre. Si spinge a tutta forza, il gioco al massacro sulla Rai da rifondare. I commenti si spostano sui partiti fuori dalla tv pubblica che per un politico significa tutti i partiti tranne il mio fuori dalla tv pubblica. E così sono giorni intensi: il caso Morra, le polemiche su Franca Leosini, le nomine dei troppi vicedirettori, il canale inglese e quello istituzionale, il caso Di Mare-Corona. Tutto ha un senso diverso, tutto ha una seconda lettura.
Detto Fatto diventa un caso, un caso che esplode nel momento migliore per chi ha bisogno di scossoni, in quello peggiore per chi predicava calma. Lo scivolone è chiaro e visibile, inutile fingere che non sia così. Contenuti simili si sono già visti nel programma anche negli anni scorsi senza far notizia, una recita riuscita male, ironia non compresa, problema di scrittura. Da settimane nei corridoi sempre vivaci di Viale Mazzini, pure in smartworking, molti assicuravano: vogliono affondare Detto Fatto. E ad essere sinceri questa volta non servivano nemmeno i retroscena: l’ex direttore Freccero avrebbe voluto chiuderlo, lo aveva portato in un nuovo orario su richiesta del Coordinamento Rai (lo aveva detto proprio al sito del Fatto) salvo poi tornare nella sua collocazione originale. La trasmissione era data in bilico già quest’estate ma la società di produzione Banijay l’aveva spuntata, dopo aver già perso due titoli nel daytime di Rai1. Partenza ritardata a fine ottobre, una nuova collocazione in palinsesto, il pessimo traino al 2% di Infante (in quota Lega), una riduzione della durata nei giorni scorsi, i continui spazi ceduti al Question Time. Perché se un programma non puoi farlo morire puoi sempre ucciderlo pian piano.
Detto Fatto chiuderà perché doveva già essere chiuso. La polemica forse faciliterà le cose, magari la spunteranno per qualche mese ma la sostanza cambierà di poco. Salini, solitamente pilatesco nel suo approccio, vorrebbe mostrare i muscoli e dare un taglio netto alla trasmissione, lanciare segnali chiari alla politica nei suoi giorni più caldi. Ma è una questione di responsabilità che va oltre gli autori e vicedirettori, Ludovico Di Meo è il direttore più saliniano. In quota Fratelli d’Italia, stimato dal membro del cda Giampaolo Rossi ma sostenuto con forza anche dall’ad, dopo la sua uscita da Rai1 lo aveva portato nella sua squadra.
Di Meo, questo il punto, non poteva non sapere. Perché in Rai la singola presenza di un ospite in un programma ha bisogno della firma del responsabile di rete, figuriamoci una rubrica fissa in uno spazio pomeridiano. Paga il programma ma non Di Meo? E Salini? “Se intervisti il figlio di Riina non succede nulla, se mandi uno sketch ridicolo e sbagliato ti chiudono?“, si chiedono dalle parti di Detto Fatto. E Bianca Guaccero ha dalla sua il curriculum, non poteri, non raccomandazioni. Bersaglio differente, sicuramente più facile.
“Chi ha girato il video a Trash Italiano dopo ore?“, “Ma la Merlino e la Tortora non lo vedono Corona da Giletti, lo stesso Corona he vuole fracassare la testa alla Moric?”, “Chiudono così ci mettono un meloniano”: si ragiona a voce alta a Rai2 dove il clima è incandescente. E ha ragione il consigliere del cda Laganà quando parla del danno d’immagine per l’azienda. Un danno causato dall’errore, un danno causato anche da chi ha usato questo caso per fini politici. Detto Fatto chiuderà ma lo scivolone noto a tutti è stata solo l’occasione d’oro, il pretesto perfetto. In queste ore un tutorial ha funzionato: come chiudere un programma non assumendosi responsabilità e aspettando incidenti di percorso. La questione non è sexy, è politica. Detto, fatto.