Così com’è oggi il Meccanismo europeo di stabilità (Mes o Esm in inglese) non serve più a niente, o quasi. E’ una verità che l’emergenza Covid-19 ha reso evidente. Il problema è che la riforma che gli stati europei si apprestano a varare e che sta generando aspre tensioni politiche all’interno della maggioranza di governo, cambia poco le cose, anzi forse persino le peggiora. E’ una riforma che è stata pensata, ed era già pronta, prima dello scoppio della pandemia e che oggi risulta quindi vecchia ancora prima di vedere la luce. Il mondo è cambiato e lo ha fatto persino la farraginosa Unione europea. Ha creato il Recovery fund, strumento che, per la prima volta, prevede una parziale condivisione dell’onere del debito tra gli stati membri. Bruxelles ha testato, con successo, strumenti come il Sure (Support to mitigate unemployment risks in an emergency), per reperire sul mercato il denaro per finanziare misure a sostegno del lavoro, come la cassa integrazione, nei paesi membri. Un successo.

In entrambi i casi tutto passa attraverso la Commissione Ue e quindi, in qualche misura, sotto lo scrutinio del parlamento Europeo. Una differenza fondamentale rispetto al Mes che è un’entità giuridicamente esterna alla struttura dell’Unione, giustificando così la percezione dei paesi membri di avere a che fare un soggetto “terzo”. E’ questo assetto, più che i termini contrattuali con cui vengono erogati i prestiti, che implicitamente rimanda all’idea di condizionalità. Chi riceve i finanziamenti si trova, in ogni caso, debitore di un creditore che ha regole diverse e fuori da qualsiasi possibilità di scrutinio. Paradossale visto che a garantire la capacità del Mes di ripagare i prestiti che contrae sui mercati sono, alla fine, gli stessi stati europei.

Il piccolo Fmi all’europea – Non è un caso che sia così. Quando è stato creato nel 2012, per evitare il ripetersi di un crisi dei debiti sovrani, il Mes è stato concepito e voluto esattamente in questo modo. Se c’è da prestare soldi a qualcuno Germania e satelliti non si fidano né degli altri stati né della Commissione Ue. Meglio che ad aiutare chi è in crisi sia un piccolo “Fondo monetario internazionale all’europea” che non faccia sconti e che non li possa fare. Di fatto però il Mes non ha mai svolto questa funzione. E’ stato coinvolto nel sostegno finanziario a Spagna e soprattutto Grecia. A Madrid sono stati prestati 40 miliardi di euro, in cambio sono state pretese riforme, compresa quella del mercato del lavoro con licenziamenti più facili e maggiore flessibilità. Quello che è successo ad Atene è tristemente noto. Nessuno, naturalmente, ha un buon ricordo di questi interventi, nessuno ha mai più suonato al campanello del Mes. I suoi soldi sono diventati politicamente “tossici”. Il famigerato stigma riguarda al fine più il fondo in sé che gli stati che vi ricorrono. Durante la pandemia l’idea è stata quella di dirottare il denaro a disposizione del Mes per erogare prestiti destinati ad interventi tesi a migliorare i sistemi sanitari. Questi finanziamenti verrebbero erogati senza condizionalità, ossia non vengono chieste in cambio riforme o interventi di politica fiscale, e a tassi di interesse che, per alcuni paesi risultano vantaggiosi rispetto ai prestiti contratti direttamente sui mercati emettendo titoli di Stato. Per un paese come l’Italia il risparmio sarebbe tra i 200 e i 300 milioni di euro l’anno, su una spesa per interessi complessiva di circa 60 miliardi. Una convenienza troppo modesta per vincere i timori con cui, legittimamente, gli stati europei guardano al Mes.

Un fondo costruito sulla sfiducia – Così, le risorse di cui il Mes dispone rimangono lì, inutilizzate e quindi, fondamentalmente, sprecate. Nessuno ha fatto ricorso ai prestiti destinati all’emergenza sanitarie. Come nota il vicedirettore del Jacques Delors Centre, Lucas Guttenberg, il Mes si basa sulla sfiducia tra i paesi europei. Al contrario Recovery fund e Sure sull’approccio opposto. Così come è oggi il Mes, e come sarà dopo la riforma, può avere una qualche utilità solamente in situazioni davvero pessime. Quando il disastro finanziario è così vicino da indurre uno Stato a mettere da parte la sua legittima ritrosia a ricorrere all'”aiuto” del fondo. In pratica, scrive Guttenberg, il Mes verrebbe usato solo quando ormai è già troppo tardi. La soluzione? “Riportare a casa” il fondo, sotto il controllo della Commissione Ue e all’interno di una cornice giuridica Ue.

Una riforma priva di sostanza – Niente di tutto questo è previsto nella riforma che ci si avvia ad approvare. In sostanza le novità sono due. Il Mes potrà essere usato anche come fondo per le risoluzioni bancarie. In sostanza per salvare banche che stanno per fallire o, almeno, attutirne la caduta. E poi l’aspetto politicamente più delicato: il finanziamento agli Stati in difficoltà. L’erogazione dei soldi sarebbe preceduta da una analisi della sostenibilità del debito. In caso di esito negativo si potrebbe arrivare alla ristrutturazione del debito, in sostanza al default. Secondo i critici della riforma questa decisione finirebbe per essere attribuita al fondo, strappando il timone dalle mani dei singoli stati. Anche perché l’introduzione delle cosiddette Cac (clausole di azione collettive), che permettono un voto unico per tutti i creditori del paese e non più voti diversi per ogni tipo di titoli di Stato, agevolerebbe la procedura di ristrutturazione. Contestare la riforma adesso serve comunque a poco, gran parte delle novità erano già state votate, anche dall’Italia, ed entreranno in ogni caso in vigore. Il veto posto dall’Italia prima pandemia ha comportato solo un allungamento dei tempi.

@maurodelcorno

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