Studenti delle scuole superiori in didattica a distanza fino a gennaio e ristori per le attività chiuse, ad iniziare dagli impianti di sci. E anche la chiusura delle frontiere se le vacanze sulla neve dovessero essere vietate in Italia, ma permesse negli altri Paesi alpini. Sono le principali richieste giunte dalle Regioni nel corso dell’incontro con i ministri Francesco Boccia e Roberto Speranza, al quale hanno partecipato anche i rappresentanti di Anci e Unione delle Province. La richiesta di prolungare la chiusura delle aule, secondo quanto si apprende, sarebbe giunta in primis da Veneto, Marche, Sardegna e Piemonte.
“Le Regioni unanimemente hanno ritenuto di suggerire al governo di procrastinare al 7 gennaio ogni riapertura della didattica in presenza per chi è ancora oggi in didattica a distanza”, ha detto il presidente della Liguria Giovanni Toti, vicepresidente della Conferenza delle Regioni. Per i governatori, la riapertura nei prossimi giorni sarebbe “una mossa inopportuna in questo momento, soprattutto alla vigilia della pausa festiva delle scuole, in assenza di un programma di scaglionamento degli ingressi e in assenza di un servizio pubblico che oggi prevede capienza al 50% e andrebbe ritoccata”. Insomma il nodo principale, oltre al tracing e allo scaglionamento degli orari, resta il trasporto pubblico.
I presidenti delle Regioni hanno anche chiesto al governo, in vista del prossimo Dpcm, di valutare la chiusura delle frontiere in caso di divieto di riapertura degli impianti da sci. L’obiettivo dei governatori sarebbe evitare così la concorrenza degli Stati europei che invece dovessero dare il via libera. Ma, da quanto si apprende, più che un’intenzione, quella dell’esecutivo sulle vacanze in montagna è una decisione già presa. “Gli impianti da sci e il sistema vacanze invernali che sono fondamentali per la nostra economia riapriranno quando l’epidemia si sarà raffreddata, speriamo nel giro di un mese, un mese e mezzo”, ha spiegato Boccia ai rappresentanti degli enti locali. “La sicurezza delle persone e la salute vengono prima di tutto. Dobbiamo chiudere questa seconda ondata evitando la terza e mantenendo la convivenza con il virus con il massimo della sicurezza – ha aggiunto Boccia- Anche in Germania si è scelta la linea della massima prudenza, nella consapevolezza che, ha detto oggi il ministro Helge Braun, ‘davanti a noi ci sono mesi invernali difficili, e questo vale fino a marzo'”.
Di fronte alla decisione del governo, Zaia ha ribadito la necessità di ristori per tutte le attività chiuse, anche dalle ordinanze regionali anti-Covid. “I ristori saranno garantiti per tutte le attività che non potranno aprire”, ha risposto Boccia spiegando che si sta lavorando ad un fondo ad hoc da 250 milioni di euro, riferiscono fonti. Il ministro degli Affari Regionali si è soffermato anche sulle messe della notte di Natale, che in caso di coprifuoco non potranno tenersi a mezzanotte. “Seguire la messa e lo dico da cattolico due ore prima o far nascere Gesù bambino due ore prima non è eresia – ha detto – Eresia è non accorgersi dei malati, delle difficoltà dei medici, della gente che soffre. Il Natale non si fa con il cronometro ma è un atto di fede”.
Tutti sembrano concordare su un quadro epidemiologico in via di miglioramento. “Il sistema delle zone e dei criteri oggettivi sta funzionando. Ma bisogna tenere duro”, ha detto il presidente dell’Anci e sindaco di Bari, Antonio Decaro, al termine della riunione. “Puntiamo a un’Italia tutta in zona gialla, con misure meno restrittive che ci facciano passare un Natale più sereno. Non è ancora il momento di tornare alla normalità – ha aggiunto – Per questo i sindaci rivolgono un appello ai propri concittadini a continuare a comportarsi in modo responsabile per evitare gli assembramenti”.
Anche se alcune Regioni premono per ricevere restrizioni meno pesanti, ad iniziare la Lombardia. Attilio Fontana ha lamentato: “Nonostante la mia opposizione, il governo intende mantenere in vigore fino al 3 dicembre le attuali misure restrittive e, quindi, lasciare la Lombardia in zona rossa”, dice il presidente della Regione, secondo cui “restare in zona rossa significa non fotografare la realtà dei fatti e non considerare i grandi sacrifici dei lombardi”. “Nel Dpcm – ha aggiunto – sono presenti automatismi secondo i quali la Lombardia è da due settimane pienamente nei parametri previsti per il passaggio in zona arancione. Ho fatto presente al governo che, così come si applicano automatismi in senso negativo, gli stessi devono essere attuati quando la situazione migliora”. Poi in serata ha corretto il tiro, dopo un colloquio col ministro: “Entrambi condividiamo che la Lombardia abbia tutti i requisiti per passare da quella rossa a quella arancione. Ci siamo lasciati con l’impegno di riaggiornarci molto presto per verificare quella che realmente può essere la data giusta per allentare le misure restrittive nella nostra regione”.