Mahamad Fathe, 25enne di origine yemenita, aveva colpito con un paio di forbici il soldato alla gola, ferendolo lievemente, al grido di "Allah Akbar". A emettere la sentenza l’ottava penale del Tribunale milanese
Era il 17 settembre 2019 quando Mahamad Fathe, 25enne di origine yemenita, aggredì un militare alla Stazione centrale di Milano al grido di “Allah Akbar”. Oggi Fathe è stato condannato a 14 anni e 6 mesi di reclusione per tentato omicidio aggravato dalla finalità terroristica. La sentenza è stata emessa dall’ottava penale del Tribunale milanese. Fathe aveva colpito il militare alla gola con un paio di forbici, dopo averlo sorpreso alla schiena. Il soldato, in servizio per l’operazione ‘strade sicure’, aveva riportato lievi ferite.
Il pm Enrico Pavone, titolare delle indagini del pool antiterrorismo guidato da Alberto Nobili, aveva fatto riferimento nella requisitoria anche agli “attacchi di Vienna e Nizza“ parlando di “lupi solitari“, come Fathe, che hanno fini terroristici anche se non collegati a organizzazioni. “Qua – aveva spiegato il pm, che aveva chiesto 14 anni e 3 mesi – nessuno gli contesta di essere associato ad organizzazioni terroristiche, ma risponde dell’aggravante perché aveva finalità di terrorismo, ossia di creare panico, spaventare la popolazione”. Una persona, ha proseguito, “che prende una forbice e attacca un militare a caso, gridando più volte ‘Allah akbar’, vuole colpire lo Stato italiano”.
Una perizia psichiatrica ha accertato che il 25enne, malgrado fosse in quel momento in uno stato di disadattamento, esasperazione ed alienazione, era capace di intendere e di volere. L’uomo da giorni dormiva attorno alla stazione e disse di aver agito contro il caporale Matteo Toia in preda a delle “voci” per morire come un “martire”. Nell’ordinanza il giudice per le indagini preliminari aveva spiegato che quella di Fathe era stata un’azione pianificata a cui, come lui mise a verbale, stava pensando da tre giorni, dettata dal radicalismo religioso. Il legale Paola Patruno aveva puntato sulla derubricazione del tentato omicidio in lesioni, sostenendo che il giovane “non aveva intenzione di uccidere, era a digiuno da giorni, non ne aveva le forze”.
I giudici, come chiesto dal pm data la condizione di disagio, gli hanno riconosciuto le attenuanti generiche. E a pena espiata sarà espulso. Le motivazioni del verdetto tra 60 giorni. Gli inquirenti avevano anche approfondito un filone investigativo su eventuali contatti del giovane, già segnalato dalla Germania come simpatizzante dell’estremismo, con organizzazioni terroristiche, ma non erano emersi elementi.