Economia

Vincenzo Visco: “Il prelievo fiscale grava troppo sui redditi dei lavoratori. Una riforma per correggere lo squilibrio”

L'economista ed ex ministro del Tesoro tratteggia un piano per rendere più equo il sistema fiscale italiano. Oggi tutto il costo del Welfare grava ancora in larga parte sui lavoratori me nel frattempo la distribuzione della ricchezza è cambiata in modo significativo. Il sistema fiscale non è stato sinora al passo con queste evoluzioni, non servono più tasse ma devono essere distribuite meglio

Di fronte agli effetti della pandemia, che stanno esasperando una tendenza alla polarizzazione della ricchezza già in atto da decenni, si moltiplicano gli inviti a ripensare gli equilibri dei sistemi fiscali. Persino il Fondo monetario internazionale suggerisce ormai di aumentare il prelievo sui detentori di grandi ricchezze, anche perché diseguaglianze eccessive nuocciono alla crescita economica e generano squilibri all’interno dei singoli stati e nei loro rapporti commerciali. Negli Stati Uniti gli economisti Gabriel Zucman ed Emmaneal Saez hanno ipotizzato un prelievo del 2% sui patrimoni al di sopra dei 50 milioni di dollari (e del 3% sopra il miliardo). Nei giorni scorsi abbiamo provato a “calare” questa proposta nel contesto italiano. Il prelievo riguarderebbe meni di 3mila persone ma frutterebbe circa 10 miliardi di euro. Soldi che in questa fase emergenziale potrebbero servire ad esempio ad avvicinare l’entità degli aiuti italiani alle piccole imprese e agli autonomi a quelli che vengono corrisposti in Germania e Francia.

Vincenzo Visco è uno dei più grandi esperti del sistema fiscale italiano. Economista, è stato ministro delle Finanze e ministro del Tesoro, del bilancio e della programmazione economica. Tra il 1996 e il 1999 ha riformato profondamente il sistema fiscale italiano ma è convinto che oggi servirebbero nuovi interventi per migliorare la progressività del prelievo e per adattare la tassazione alle evoluzioni che si sono verificate nell’economia. Tra le ipotesi anche quella di una patrimoniale che si affianchi ad una riforma dell’Irpef che dovrebbe riguardare i soli redditi da lavoro.

Professor Visco, in Italia e non solo, si torna a parlare di imposta patrimoniale….

Mi lasci fare una premessa. Bisogna smetterla di usare la parola patrimoniale per evocare giustizialismi o intenti persecutori, come invece sinora è sempre accaduto in Italia. Da quando esistono i sistemi fiscali, le imposte riguardano i consumi, i redditi, i patrimoni o le transazioni. La patrimoniale è dunque qualcosa di assolutamente normale e, aggiungo, con caratteristiche redistributive più spiccate rispetto ad altri tipi di imposta. Il patrimonio, infatti, è più concentrato rispetto al reddito.

Siamo d’accordo ma perché a livello internazionale si moltiplicano le voci, comprese quelle di economisti molto autorevoli, che ripropongono una soluzione fiscale di questo tipo?

Perché i sistemi fiscali devono seguire l’evoluzione della base imponibile e negli ultimi decenni la quota del prodotto complessivo dei redditi da lavoro dipendente si è progressivamente ridotto a favore delle rendite da capitale. Eppure tutto il sistema di welfare, scuola, sanità etc ancora si regge quasi totalmente sul gettito che arriva dalla tassazione sui redditi. Nel 2017 in Italia, la quota del Prodotto interno lordo spettante ai lavoratori (dipendenti e indipendenti, ndr) era del 47%. Il rimanente 53% sono profitti, interessi, royalities, rendite. La situazione è capovolta se si guarda al carico fiscale e contributivo. Le imposte sui redditi da lavoro generano un gettito pari a circa il 18% del Pil mentre il gruppo di imposte sugli altri proventi si ferma al 6%. Insomma il sistema è sbilanciato, il prelievo è eccessivo sui redditi da lavoro e troppo basso su quelli da capitale e sui profitti aziendali. E rischia di diventarlo sempre di più, con l’aumento della robotizzazione e dell’intelligenza artificiale. In via teorica, se arrivassimo alla situazione estrema in cui una sola azienda produce tutto in maniera automatizzata, la ricchezza di questa azienda dovrebbe essere tassata per redistribuire ricchezza a tutti.

Recentemente, persino un sondaggio del Financial Times, condotto tra i suoi lettori, quindi un campione connotato da redditi e patrimoni superiore alla media, ha registrato una maggioranza favorevole a interventi redistributivi. Gli economisti Gabriel Zucman ed Emmanuel Saez hanno proposto, per gli Usa, un prelievo del 2% sulle ricchezze sopra i 50 milioni di dollari e del 3% sopra il miliardo. Applicata in Italia questa tassa riguarderebbe meno di 3mila persone ma potrebbe generare un gettito fino a 10 miliardi di euro l’anno. La considera un’ipotesi realizzabile?

Se la cifra che Lei indica è corretta si tratterebbe di un importo significativo. Il problema principale è che dato il potere economico e politica dei soggetti interessati, vi sarebbe una reazione molto dura e si arriverebbe anche all’accusa di incostituzionalità, peraltro infondata. Generalmente inoltre questi soggetti molto benestanti sono anche quelli che hanno più facilità nell’occultare e trasferire la loro ricchezza all’estero. L’imposta di successione venne fissata al 5% per una ragione molto semplice e cioè perché questa è, più o meno, la spesa che bisognerebbe sostenere per spostare in un altro paese le ricchezze che passano all’erede.

Lei però, a sua volta, ha proposto una patrimoniale che riguarda una platea di contribuenti molto più estesa, partirebbe da ricchezze di 300mila euro, inclusa la prima casa…

La mia proposta è più articolata e si inserisce in un più ampio ripensamento del sistema fiscale italiano che oggi e diventato una giungla di trattamenti particolari ed esenzioni, ottenute su pressioni delle varie lobby. Il primo punto è una trasformazione dell’Irpef in un’ imposta progressiva sui soli redditi da lavoro. Accanto all’Irpef così riformata, andrebbe introdotta un’imposta personale progressiva sul patrimonio complessivo, mobiliare e immobiliare, al netto dei mutui residui e dei costi di manutenzione, con aliquote comprese tra lo 0 e l’1,5 e fino al 2% per i patrimoni molto grandi. Una larga parte di contribuenti sarebbe esente da questa tassa, che non andrebbe intesa come un’imposta straordinaria ma come qualcosa di strutturale . Contemporaneamente dovrebbero essere soppresse tutte le altre imposte erariali che gravano su redditi di capitale e patrimonio, Imu compresa. Avremmo così un sistema basato su tre tipi di prelievo, di cui i primi due progressivi: Irpef, imposta patrimoniale e Iva sui consumi. La riforma andrebbe realizzata a parità di gettito ma quello che ne risulterebbe sarebbe un sistema fiscale più equo e armonico.

Professore, ma una riforma di questo tipo che possibilità concrete ha di vedere la luce?

Al momento nessuna. Ci sarebbe un’opposizione fortissima da parte dei ceti cosiddetti “affluenti” e tutti i media, salvo rarissime eccezioni, inizierebbero il loro fuoco di fila.