Francesco Mangiameli, ucciso il 9 settembre 1980 “pagò con la vita la dissociazione dal progetto della strage della stazione di Bologna, al quale, aderirono, invece, esponenti dei Nar e Terza Posizione”, formazione di cui faceva parte lo stesso Mangiameli che divenne, per questo motivo, “un antagonista interno da piegare ad ogni costo (eventualmente anche con il denaro)” o “un testimone pericoloso ed inaffidabile da eliminare”. C’è anche questo particolare negli atti che la Procura generale di Bologna ha depositato nell’ambito dell’inchiesta sui mandanti della strage di Bologna per cui oggi è stata celebrata l’udienza preliminare. Inoltre, “nella tragica sequenza dei fatti” che determinarono l’omicidio Mangiameli, referente in Sicilia di Tp, “si coglie anche la sinistra mano dei servizi deviati dell’epoca, retti da esponenti della loggia massonica P2”. Mangiameli venne ucciso da un comando dei Nar come aveva già ricordato nella requisitoria del processo a Gilberto Cavallino il pm Enrico Cieri.
Nel filone sui mandati sono imputati, Paolo Bellini, ex Avanguardia Nazionale, ritenuto dalla Procura generale di Bologna il quinto esecutore della strage. Il giudice per l’udienza preliminare, Alberto Gamberini, ha accettato la costituzione di parte civile dei familiari delle vittime, della Regione Emilia-Romagna, del Comune di Bologna e dell’Avvocatura dello Stato, anche per i reati di depistaggio, per i quali sono imputati l’ex generale del Sisde Quintino Spella e l’ex carabiniere Piergiorgio Segatel. E accusato invece di false informazioni ai pm Domenico Catracchia, amministratore di condominio di immobili in via Gradoli, a Roma. L’udienza preliminare proseguirà l’11 gennaio 2021, e poi sono già state fissate altre due date: il 18 e il 25 gennaio.
“Sono state ammesse tutte le parti civili, e ora andiamo avanti. Abbiamo appena iniziato, è ancora tutto da discutere e da vedere”, ha detto l’avvocato generale dello Stato, Alberto Candi, che insieme ai sostituti procuratori generali, Umberto Palma e Nicola Proto, rappresenta l’accusa. “Per noi è molto importante che ci siano le parti civili, perché ci hanno dato un gran conforto e una gran mano – ha aggiunto Candi – nel senso che sono state sempre presenti, quindi le ringraziamo, come ringraziamo le difese che sono state molto corrette. Abbiamo depositato una attività integrativa, quindi i difensori giustamente vogliono vedere di cosa si tratta, per questo il processo slitterà a gennaio”.
Secondo gli inquirenti, inoltre, il 26 giugno 1980, tre giorni dopo l’omicidio del magistrato Mario Amato compiuto da Gilberto Cavallini (condannato all’ergastolo in primo grado per la strage) in concorso con gli altri Nar, sul conto della compagna Flavia Sbrojavacca fu versata la somma di 15 milioni di lire, con un’operazione in contanti. Secondo la Procura generale ci sono motivi fondati per ritenere che il finanziamento dell’attentato da parte di Licio Gelli sia passato per le mani anche di Cavallini, definito da alcuni suoi sodali il ‘ragioniere’ del gruppo, cioè l’uomo incaricato dell’organizzazione: armi, divise, ma anche risorse finanziarie. L’accusa ritiene che Cavallini sia stato destinatario di una parte dell’acconto di un milione di dollari versato in contanti a luglio 1980 e di una somma di quattro milioni di dollari pagati da Marco Ceruti, braccio destro di Gelli, a saldo del prezzo della Strage. Sentita sul versamento a Sbrojavacca, la madre di questa riferì che tali soldi, così come altre operazioni sul conto della figlia, arrivarono con denaro proveniente da Cavallini. Questo fa ritenere, ragionano i magistrati, che Sbrojavacca si sia prestata a fare da “schermo bancario” per il deposito dei fondi provento dei crimini dell’allora convivente.