C’è chi ha riportato 45 posti di terapia intensiva che erano solo sulla carta, e chi s’è perso per strada 5mila tamponi in un solo giorno. Perfino il numero dei morti è soggetto a modifiche, perché il numero dichiarato il giorno prima è cambiato il giorno dopo con una semplice “nota di rettifica”, così come avviene per tutti gli altri indicatori. Positivi, dimessi, deceduti e posti di terapia intensiva etc. Su questi parametri la cabina di regia istituita da ministero e Iss classifica le regioni per indice rischio e colore (giallo, arancione e rosso), e motiva la gradualità d’intervento da parte del governo. Ma quei numeri sono sempre più spesso contesi e contestati, usati anche per intavolare scontri politici, trattative, accuse e veleni. Quei dati sono “essenziali al monitoraggio della situazione epidemiologica e delle previsione degli scenari futuri”, ha scandito ancora oggi il presidente dell’ISS Silvio Brusaferro, ma la “precondizione è che siano riportati e che siano riportati tutti in maniera completa”. Quando questo non si verifica “le valutazioni proposte soffrono di una difficoltà di valutazione” frutto, appunto di dati incompleti.

Di fatto, il sistema di monitoraggio delle Regioni dopo quasi un anno di emergenza è ancora così imperfetto e suscettibile agli errori da diventare esso stesso un problema quotidiano. Da inizio della pandemia, infatti, non passa giorno senza che la Protezione Civile debba accogliere una qualche “rettifica dei dati trasmessi”, a volte anche a distanza di settimane. Nella dashboard, il cruscotto per il monitoraggio online, del ministero della Salute era stata attrezzata da subito un’area per le “note” a margine, dove segnalare eventuali correzioni e precisazioni sui dati trasmessi dalle regioni e finiti nel famoso “bollettino” di riepilogo nazionale diffuso nel tardo pomeriggio. Quello spazio originariamente era stato pensato per correggere dati ancora suscettibili di conferma, specie in caso di secondo tampone che modifica l’esito del primo inserito in precedenza nel bollettino, oppure per inserire quello di pazienti arrivati tardi perché curati in altre regioni. E invece è diventato un registro degli errori e degli orrori, perché a scorrerlo si capisce che anche sul fronte dell’attendibilità dei dati regna ancora totale incertezza.

Un’incertezza che perdura ancora oggi. Tre giorni fa, ad esempio, l’ultimo correttivo sostanzioso lo ha segnalato il Friuli Venezia Giulia, comunicando che “i nuovi casi di oggi includono 117 casi positivi registrati dai laboratori privati dal 21 ottobre al 21 novembre”, vale a dire nell’arco di due settimane prima. Il più clamoroso, tanto da uscire dalle note tecniche per agitare la politica, è quello della Calabria del 3 novembre scorso. A sera, proprio poche ora dopo che il governo l’aveva inserita tra le probabili “zone rosse”, aveva rettificato il numero di pazienti in rianimazione più che dimezzandolo: non 26 ma 10, aveva comunicato il Dipartimento di tutela della salute della stessa regione che aveva cambiato in corsa il criterio del conteggio dei malati in terapia intensiva, contando solo gli intubati. La coincidenza era così singolare che qualcuno vi ha scorto il tentativo di ridimensionare l’emergenza per evitare il bollino di zona off-limits. Tre giorni dopo, del resto, è stato lo stesso ISS a mettere nero su bianco, nella nota a margine del proprio report, che i dati della Campania erano ritenuti “non attendibili”.

Il problema partiva da lontano e non è stato risolto. Il 10 marzo l’elenco delle rettifiche pativa con un generico “La Regione Lombardia ha comunicato dati parziali”. Nulla più, nulla meno. Da lì non si è più smesso, anche perché si è poi capito quanto pesino alcune “rettifiche”. Scorrendole, davvero, c’è da chiedersi se anche su questo fronte – come già su quelli del tracciamento, delle Usca, dei Covid hotel e dei medici da assumere – le Regioni usino approssimazione o malafede. Qualche esempio? Il 7 ottobre l’Umbria aveva dichiarato 135.552 tamponi effettuati, l’indomani ha precisato in realtà erano 130.552, ossia 5mila in meno rispetto a “come erroneamente digitato”.

Errori di digitazione che si ripetono con sorprende costanza. È sempre per un “mero errore materiale” che il 3 novembre, mentre la Calabria forniva dati sbagliati sui pazienti in rianimazione, la Campania dichiarava 45 posti di terapia intensiva in più rispetto alla dotazione reale, tanto da doverli rettificare il giorno dopo. Del resto, il 7 settembre aveva dichiarato 260 positivi, salvo precisare poi che 42 erano da attribuire ai giorni precedenti perché erano un “residuo si screening”. Nei meri “errori materiali” finiscono anche i morti. Il 10 novembre scorso l’ Abruzzo ha segnalato che il giorno prima erano stati conteggiati anche 21 decessi delle 3 settimane precedenti “comunicati oggi dalla ASL 201 ed il cui dettaglio é stato inserito oggi nel portale ISS”.

Non mancano casi di blackout veri e propri, anche prolungati. La Regione Abruzzo il 19 settembre ha fatto sapere che “non sarà possibile elaborare i dati COVID per i giorni 19 e 20 settembre. Per questi giorni verranno riportati gli stessi valori del 18 settembre; l’aggiornamento avverrà il 21 settembre”. Tanto è uguale no? Capita, come detto, su positivi, posti letto manche sui guariti. Il 31 settembre il Veneto fa sapere il seguente ricalcolo: “Il numero corretto dei guariti e dell’isolamento domiciliare del giorno 29.08.20 è rispettivamente 18.290 e 2.285; il numero corretto dei guariti e dell’isolamento domiciliare del giorno 30.08.20 è rispettivamente 18.399 e 2.286”. Viene da chiedersi se era il giorno nero per la statistica.

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