L’esercito etiope “ha iniziato a colpire con armi pesanti e artiglieria il centro di Mekele (Macallè)”, la capitale della regione ribelle del Tigré, sulla quale si sono abbattuti i bombardamenti ordinati da Abiy Ahmed, premier di Addis Abeba e vincitore del Premio Nobel per la pace nel 2019 grazie alla firma degli accordi per porre fine alla lunga guerra con l’Eritrea. È dal 4 novembre che ha ordinato operazioni militari contro il partito al governo del Tigrè, il Fronte di liberazione del popolo dei Tigrè (Tplf). Più di tre settimane di aspri combattimenti hanno provocato migliaia di morti “tra cui molti civili e forze di sicurezza”, ha detto ieri l’ong International Crisis Group. Decine di migliaia di rifugiati si sono riversati oltre il confine in Sudan e nella notte del 25 novembre i razzi lanciati dal Tigrè hanno colpito per la seconda volta la capitale della vicina Eritrea, aggravando i timori che il conflitto possa estendersi nella regione del Corno d’Africa, inclusa la stessa Etiopia, il secondo Stato più popoloso d’Africa dopo la Nigeria.
“Lo stato regionale del Tigrè invita tutti coloro che hanno la coscienza pulita, inclusa la comunità internazionale, a condannare i bombardamenti di artiglieria ed aerei e i massacri che vengono commessi”, si legge nel comunicato del governo locale, ripreso dai media che annunciava l’attacco dell’esercito sulla capitale del Tigrè.
Le tensioni sono iniziate con l’arrivo del 44enne Abiy nel 2018: due anni in cui la Regione con capitale Macallè si è ribellata attraverso diverse provocazioni come elezioni tenute a settembre nonostante un rinvio imposto a livello centrale a causa del Covid. I tigrini non accettano il ridimensionamento imposto dal premier considerando che costituiscono solo un 6% degli oltre 110 milioni di etiopi e sebbene siano sempre stati al centro del potere e dell’economia dopo la caduta del regime militare nel 1991.
È chiaro però che in Etiopia ci sono già faglie di conflitti etnici che vanno oltre la questione del Tigrè, in quanto il Paese dell’Africa orientale è frammentato in oltre 90 etnie (una decina le principali, tra cui Oromo, Amhara, Somali, appunto i Tigrini e gli Afar).
Nel tentativo di superare l’attuale federalismo etnico attraverso un discorso unitarista basato sul concetto di “medemer” (parola che vuol dire “sinergia”), il premier ha chiaramente bisogno di rinsaldare consenso con le componenti Amhara e Oromo che l’hanno spesso accusato di essere troppo morbido con le altre etnie o ‘traditore’ della propria (Abiy è oromo per parte di padre).
Intanto ad Addis Abeba sono giunti gli inviati della missione voluta dall’Unione africana per provare a mediare tra il governo federale e lo Stato regionale del Tigrè.