Alessandra ha quasi 40 anni, una figlia di 9 e una madre malata. Dopo 11 anni come commessa nella cioccolateria Venchi del Terminal 1 dell’aeroporto di Fiumicino, secondo l’azienda, il 4 gennaio dovrebbe trasferire se stessa, e la sua vita, a Torino. Insieme a lei altre nove colleghe, quasi tutte mamme o con genitori anziani da accudire, e un collega, dovrebbero fare le valigie con destinazione una città del nord Italia. Il negozio, dopo lo stop dovuto alla chiusura di una parte dello scalo a causa del coronavirus e della diminuzione dei voli, infatti, verrà chiuso, e i lavoratori, appunto, spostati in altri punti vendita. “Un trasferimento che maschera un licenziamento”, dice l’Usb che segue la loro battaglia. Ma per l’azienda, sentita da IlFattoquotidiano.it, si tratta “dell’unica soluzione individuata per salvaguardare l’occupazione dei dipendenti”. Intanto la vicenda è arrivata anche sulla piattaforma Change.org con una petizione lanciata dagli stessi dipendenti, rivolta al presidente della Repubblica, a Giuseppe Conte e alla ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, e arrivata in pochi giorni a oltre 17mila firma.
Tutto inizia il 3 novembre, come spiega la sindacalista dell’Usb Roma, Elena Casagrande, al Fatto.it. “Le lavoratrici interessate sono le uniche sindacalizzate – racconta Casagrande – E già da due anni portavamo avanti con loro una battaglia contro la Venchi per dei ricorsi sull’utilizzo illegittimo del part-time. Così il 3 novembre l’azienda ci ha chiamato per una ‘proposta conciliativa rispetto ai ricorsi part-time’. Ma la riunione è durata neanche un minuto perché ci hanno comunicato la decisione di chiudere il negozio e trasferire tutti i lavoratori”. Il giorno dopo i dipendenti, hanno ricevuto le lettere di trasferimento a partire “dal 4 gennaio”. Una notizia arrivata “come un fulmine a ciel sereno”, dicono le lavoratrici che in questi mesi hanno sempre ricevuto la cassa integrazione in deroga, vista la chiusura temporanea del punto vendita dovuta al Covid. “Prima del Covid? Il negozio lavorava bene, mai percepiti problemi”, ci racconta Alessandra, che sottolinea soprattutto la condizione di lei e delle sue colleghe. “Siamo quasi tutte mamme lavoratrici, alcune con contratti part-time – dice – e abbiamo scelto questo lavoro proprio per conciliare la vita lavorativa e affettiva. La vedo come una violenza fatta alle donne e la mia battaglia non finirà finché non verranno revocati i trasferimenti”. L’impressione delle dipendenti trasferite è che si tratti di un “licenziamento mascherato”, e cioè di un trasferimento che spinga tutte alle dimissioni, come scrivono anche su Change.org.
Venchi nel Terminal 1 è il terzo negozio all’interno del complesso aeroportuale ed è anche quello, denunciano i sindacati, “con le lavoratrici più anziane”. “Tutte hanno carichi familiari e non è un particolare che nelle norme di correttezza e buona fede si tenga conto dei figli – evidenzia ancora Casagrande – Non voglio sostenere e non sosterrò mai che dovevano trasferire le ragazze giovani, ma dovevano trovare una soluzione che c’è”. Casagrande poi fa alcuni esempi: “Intanto hanno gli ammortizzatori per scavallare la fase di crisi – dice – Inoltre hanno altre 8 attività tra Roma e Fiumicino, quindi poteva essere facile ricollocarle sul territorio (piuttosto che mandarle al Nord Italia ndrÈ). Non avendoci fornito motivazioni sulla chiusura del punto vendita non sappiamo neanche se è una chiusura definitiva o temporanea”. Secondo il sindacato, di fatto, “è un raggiro del divieto di licenziamento che c’è in Italia”, senza dimenticare che “l’azienda è sempre più in espansione”.
Di fronte alle accuse, Venchi risponde di aver fatto tutto il possibile. “Venchi ha deciso di chiudere uno dei suoi tre negozi all’aeroporto di Fiumicino a fronte del perdurare della crisi sanitaria e la totale assenza di traffico passeggeri per un periodo non più sostenibile – fa sapere l’azienda al Fatto.it con una nota – Ed ha cercato ogni soluzione per salvaguardare l’occupazione dei dipendenti, non essendo purtroppo prevista alcuna forma di cassa integrazione a fronte della chiusura dell’attività”. Per questo, spiegano, “l’unica soluzione è stata quella di proporre ai dipendenti il trasferimento presso altri negozi del Gruppo in Italia”.
Alla vicenda, intanto, si sono interessati sia il comune di Fiumicino che la Regione Lazio, con la consigliera alle pari opportunità e con l’assessore al lavoro che hanno chiesto alla Venchi degli incontri, fa sapere l’Usb. La battaglia delle lavoratrici però non si fermerà “finché i trasferimenti non saranno revocati”. “Emotivamente è difficile – conclude Alessandra – Non pensavamo mai di trovarci in questa situazione. La pandemia? Psicologicamente anche quello non aiuta, trasferirsi con i figli e i genitori anziani sarebbe già difficile. In piena epidemia è impossibile”.