Come siamo arrivati a pagare a peso d’oro un farmaco la cui efficacia non è stata provata. È la storia del Remdesivir, farmaco sviluppato dall’azienda americana Gilead Sciences con ingenti fondi pubblici per combattere l’Ebola e il 3 luglio messo in commercio – dopo l’approvazione “condizionata” dell’Agenzia europea del farmaco – come primo antivirale contro il Covid 19. Il 20 novembre, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) è arrivata a sconsigliarne l’uso nei pazienti ospedalizzati sulla base dei risultati dello studio Solidarity – il più ampio pubblicato sul farmaco finora – perché: “Nessun effetto rilevante è stato registrato sia per quanto riguarda la mortalità, sia per la durata della permanenza in ospedale” mentre “sono allo studio danni epatici e renali” ha aggiunto il farmacologo Silvio Garattini. L’avvertimento è però arrivato troppo tardi per l’Italia e decine di altri Paesi che hanno già ordinato centinaia di migliaia di fiale di Remdesivir da 345 euro l’una, nell’ambito di un contratto quadro firmato a ottobre dalla Commissione europea con Gilead. Il gruppo di giornalisti dell’inchiesta collaborativa Behind The Pledge, di cui Il Fatto Quotidiano fa parte, ha chiesto il numero di dosi (fiale) già acquistate alle autorità competenti di ognuno dei 37 paesi membri dell’accordo (tutti gli Stati membri dell’Unione e 10 associati). Abbiamo raccolto dati per 17 paesi (su 37) da cui emerge un acquisto complessivo per almeno 226 milioni di euro, 51 dei quali spesi dall’Italia.
Ma come è stato possibile che tanti Paesi si siano affollati per acquistare tante dosi per un farmaco la cui efficacia è ancora discussa? E come ha fatto il la Gilead, che ha realizzato nel 2019 circa 22 miliardi di fatturato grazie a farmaci contro l’Hiv e l’epatite C, a intascare, già per il solo Remdesivir (sono dati dei primi di novembre) quasi 900 milioni di dollari? Esattamente una settimana prima della pubblicazione dello studio Solidarity, nella notte tra il 7 e l’8 ottobre i negoziatori della Commissione europea hanno firmato un contratto – a nome di 37 Paesi – per acquistare fino a 500mila trattamenti da 6 fiale di Remdesivir (il cui nome commerciale è Veklury) al prezzo di 2070 euro ciascuno, per un totale di 1 miliardo e 35 milioni di euro.
La Commissione “permette d’acquistare i trattamenti ma non obbliga nessuno a farlo”, sottolineano da Bruxelles. In mancanza di obbligo legale ha funzionato però la pressione sociale e mediatica per avere dosi dell’unico farmaco autorizzato dall’Ema – se pur con autorizzazione (condizionata, ovvero che deve essere confermata con la raccolta di nuovi dati clinici) – per il trattamento del Covid 19, che in tutta Europa, in quei giorni, si stavano esaurendo. Appena un giorno prima dell’accordo che ha permesso di inondare l’Europa di Remdesivir, il 6 ottobre, il Guardian titolava: “La carenza globale del Remdesivir porta le autorità sanitarie a razionalizzarlo” spiegando “Gilead non riesce a far fronte alla domanda”. “Fino alla firma del contratto farmacisti ospedalieri rimanevano svegli la notte fino alle 3-4 di mattina per ottenere una fiala di Remdesivir per i pazienti più bisognosi e le dosi venivano inviate in aereo da un ospedale all’altro – racconta un alto funzionario di un Paese europeo che vuole restare anonimo”. “La Commissione a luglio aveva acquistato 30mila trattamenti che dovevano essere però divisi tra i 28 paesi: ospedali e Stati erano in lotta per una fiala”. Così, spiega la fonte, “quando l’8 ottobre Gilead ha reso disponibile un’enorme quantità di trattamenti, le autorità competenti hanno fatto immediatamente l’ordine”. Tra questi il commissario per l’emergenza Covid in Italia, Domenico Arcuri, che secondo quanto rivelato dal Financial Times ha firmato per 51 milioni di euro (oltre 25mila trattamenti). Colpisce, guardando i dati raccolti, che i Paesi che hanno acquistato di più non sono i più ricchi, anzi. La Francia è stato l’unico Paese – insieme al Lussemburgo e al Liechtenstein, che cura i pazienti Covid in Svizzera – a non acquistare neanche una fiala di Remdesivir, mentre il Portogallo con 100mila dosi ha già pagato 34,5 milioni, in proporzione alla popolazione, più della Germania (53,4 milioni), mentre la Bulgaria ha ordinato per 11,2 milioni. Poco più a Est, l’Ucraina, ha potuto negoziare con un produttore generico pakistano, a fine settembre, 28 200 dosi al prezzo di 20,45 euro per dose, spendendo in tutto 576mila euro.
Il prezzo del farmaco non è stato negoziato – come invece accade con l’Aifa (Agenzia italiana del Farmaco) che tratta sempre con le aziende farmaceutiche – ma, come ci ha detto un portavoce della Commissione “è stato stabilito da Gilead”. E in particolare dal suo amministratore delegato Daniel O’Day che, in un comunicato stampa, uscito subito la raccomandazione del comitato dell’Ema per l’autorizzazione nell’Ue, ha quantificato il beneficio del Remdesivir sulla base di un precedente studio sul farmaco realizzato dal Niaid (National Institute of Allergy and Infectious Diseases) degli Stati Uniti: secondo questa ricerca, nel corso della quale il Remdesivir è stato somministrato a 541 persone (un quinto di quelle che lo hanno assunto partecipando al Solidarity) i pazienti che prendono la molecola vengono dimessi dall’ospedale, in media, quattro giorni prima degli altri. Per Garattini, “è un effetto molto dubbio come parametro per valutare un farmaco antivirale”. Ma sulla base di questo dato – quantificando in 12mila dollari il risparmio pubblico per la dimissione anticipata – Gilead ha stabilito il prezzo 2070 euro per il trattamento da sei fiale. “Il negoziato congiunto dovrebbe dare più forza agli acquirenti e aumentarne la capacità negoziale – afferma Sara Albiani, responsabile per la Salute Globale di Oxfam Italia – ma il prezzo fissato nell’accordo raggiunto tra la Commissione e Gilead fa sorgere il dubbio che i singoli Paesi avrebbero potuto ottenere un prezzo inferiore, con negoziati più energici”.
Il 15 ottobre, lo studio Solidarity dell’Oms, stabilendo che il Remdesivir non solo non ha effetto sulla morte dei pazienti ma non riduce neanche l’ospedalizzazione, mette in dubbio le basi sulle quali era stato costruito, e accettato, il prezzo del farmaco. Abbiamo chiesto alla Commissione perché non abbia atteso i risultati prima di firmare, dal momento che era noto che stava per essere pubblicato. Ci ha risposto che l’autorizzazione e rilasciata dall’Ema a luglio per la commercializzazione del farmaco era basata sullo studio americano: “Ora l’Ema sta analizzando i dati del Solidarity, ma nulla finora è cambiato”. Nei giorni in cui negoziava con la Commissione, nel corso della seconda metà di settembre, Gilead ha ricevuto i risultati di Solidarity: “L’Oms ha un obbligo contrattuale di mandarglieli prima della pubblicazione, perché testiamo le loro molecole. Loro hanno un periodo di tempo per rimandarcele con le loro osservazioni e prima di quella scadenza il testo non può essere pubblicato”, spiega Marie-Paule Kieny, direttrice della Ricerca all’Inserm (l’Istituto Superiore di Sanità francese) e membro del comitato esecutivo del Solidarity. Il periodo di revisione scade proprio in corrispondenza della firma del contratto con la Commissione. Una coincidenza? “C’è un problema di trasparenza se Gilead – che conosceva i dati – non li ha condivisi con la Commissione – dice Kieny – ma è anche deprecabile che la Commissione non abbia chiesto all’Oms informazioni sullo stato di avanzamento del più grande studio al mondo sul Remdesivir!”.
Questo articolo è parte dell’inchiesta collaborativa transnazionale “Behind The Pledge” finanziata da Journalismfund e dal programma Investigative journalism for Europe (IJ4EU). Hanno collaborato: Lise Barnéud, Hristio Boytchev, Staffan Dahlof, Lucien Hordijk e Priti Patnaik
Studio Solidarity
Studio Actt-1 del Niaid
Lettera di Daniel O’Day, Ceo di Gilead Sciences sul prezzo del Remdesivir
Zonaeuro
Covid 19, 226 milioni di euro spesi dall’Ue per il farmaco Remdesivir sconsigliato dall’Oms. “L’Italia l’ha acquistato per 51 milioni”
Storia del farmaco, sviluppato dall’azienda americana Gilead Sciences con ingenti fondi pubblici per combattere l’Ebola, messo in commercio - dopo l’approvazione “condizionata” dell’Agenzia europea del farmaco - come primo antivirale contro il Covid 19
Come siamo arrivati a pagare a peso d’oro un farmaco la cui efficacia non è stata provata. È la storia del Remdesivir, farmaco sviluppato dall’azienda americana Gilead Sciences con ingenti fondi pubblici per combattere l’Ebola e il 3 luglio messo in commercio – dopo l’approvazione “condizionata” dell’Agenzia europea del farmaco – come primo antivirale contro il Covid 19. Il 20 novembre, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) è arrivata a sconsigliarne l’uso nei pazienti ospedalizzati sulla base dei risultati dello studio Solidarity – il più ampio pubblicato sul farmaco finora – perché: “Nessun effetto rilevante è stato registrato sia per quanto riguarda la mortalità, sia per la durata della permanenza in ospedale” mentre “sono allo studio danni epatici e renali” ha aggiunto il farmacologo Silvio Garattini. L’avvertimento è però arrivato troppo tardi per l’Italia e decine di altri Paesi che hanno già ordinato centinaia di migliaia di fiale di Remdesivir da 345 euro l’una, nell’ambito di un contratto quadro firmato a ottobre dalla Commissione europea con Gilead. Il gruppo di giornalisti dell’inchiesta collaborativa Behind The Pledge, di cui Il Fatto Quotidiano fa parte, ha chiesto il numero di dosi (fiale) già acquistate alle autorità competenti di ognuno dei 37 paesi membri dell’accordo (tutti gli Stati membri dell’Unione e 10 associati). Abbiamo raccolto dati per 17 paesi (su 37) da cui emerge un acquisto complessivo per almeno 226 milioni di euro, 51 dei quali spesi dall’Italia.
Ma come è stato possibile che tanti Paesi si siano affollati per acquistare tante dosi per un farmaco la cui efficacia è ancora discussa? E come ha fatto il la Gilead, che ha realizzato nel 2019 circa 22 miliardi di fatturato grazie a farmaci contro l’Hiv e l’epatite C, a intascare, già per il solo Remdesivir (sono dati dei primi di novembre) quasi 900 milioni di dollari? Esattamente una settimana prima della pubblicazione dello studio Solidarity, nella notte tra il 7 e l’8 ottobre i negoziatori della Commissione europea hanno firmato un contratto – a nome di 37 Paesi – per acquistare fino a 500mila trattamenti da 6 fiale di Remdesivir (il cui nome commerciale è Veklury) al prezzo di 2070 euro ciascuno, per un totale di 1 miliardo e 35 milioni di euro.
La Commissione “permette d’acquistare i trattamenti ma non obbliga nessuno a farlo”, sottolineano da Bruxelles. In mancanza di obbligo legale ha funzionato però la pressione sociale e mediatica per avere dosi dell’unico farmaco autorizzato dall’Ema – se pur con autorizzazione (condizionata, ovvero che deve essere confermata con la raccolta di nuovi dati clinici) – per il trattamento del Covid 19, che in tutta Europa, in quei giorni, si stavano esaurendo. Appena un giorno prima dell’accordo che ha permesso di inondare l’Europa di Remdesivir, il 6 ottobre, il Guardian titolava: “La carenza globale del Remdesivir porta le autorità sanitarie a razionalizzarlo” spiegando “Gilead non riesce a far fronte alla domanda”. “Fino alla firma del contratto farmacisti ospedalieri rimanevano svegli la notte fino alle 3-4 di mattina per ottenere una fiala di Remdesivir per i pazienti più bisognosi e le dosi venivano inviate in aereo da un ospedale all’altro – racconta un alto funzionario di un Paese europeo che vuole restare anonimo”. “La Commissione a luglio aveva acquistato 30mila trattamenti che dovevano essere però divisi tra i 28 paesi: ospedali e Stati erano in lotta per una fiala”. Così, spiega la fonte, “quando l’8 ottobre Gilead ha reso disponibile un’enorme quantità di trattamenti, le autorità competenti hanno fatto immediatamente l’ordine”. Tra questi il commissario per l’emergenza Covid in Italia, Domenico Arcuri, che secondo quanto rivelato dal Financial Times ha firmato per 51 milioni di euro (oltre 25mila trattamenti). Colpisce, guardando i dati raccolti, che i Paesi che hanno acquistato di più non sono i più ricchi, anzi. La Francia è stato l’unico Paese – insieme al Lussemburgo e al Liechtenstein, che cura i pazienti Covid in Svizzera – a non acquistare neanche una fiala di Remdesivir, mentre il Portogallo con 100mila dosi ha già pagato 34,5 milioni, in proporzione alla popolazione, più della Germania (53,4 milioni), mentre la Bulgaria ha ordinato per 11,2 milioni. Poco più a Est, l’Ucraina, ha potuto negoziare con un produttore generico pakistano, a fine settembre, 28 200 dosi al prezzo di 20,45 euro per dose, spendendo in tutto 576mila euro.
Il prezzo del farmaco non è stato negoziato – come invece accade con l’Aifa (Agenzia italiana del Farmaco) che tratta sempre con le aziende farmaceutiche – ma, come ci ha detto un portavoce della Commissione “è stato stabilito da Gilead”. E in particolare dal suo amministratore delegato Daniel O’Day che, in un comunicato stampa, uscito subito la raccomandazione del comitato dell’Ema per l’autorizzazione nell’Ue, ha quantificato il beneficio del Remdesivir sulla base di un precedente studio sul farmaco realizzato dal Niaid (National Institute of Allergy and Infectious Diseases) degli Stati Uniti: secondo questa ricerca, nel corso della quale il Remdesivir è stato somministrato a 541 persone (un quinto di quelle che lo hanno assunto partecipando al Solidarity) i pazienti che prendono la molecola vengono dimessi dall’ospedale, in media, quattro giorni prima degli altri. Per Garattini, “è un effetto molto dubbio come parametro per valutare un farmaco antivirale”. Ma sulla base di questo dato – quantificando in 12mila dollari il risparmio pubblico per la dimissione anticipata – Gilead ha stabilito il prezzo 2070 euro per il trattamento da sei fiale. “Il negoziato congiunto dovrebbe dare più forza agli acquirenti e aumentarne la capacità negoziale – afferma Sara Albiani, responsabile per la Salute Globale di Oxfam Italia – ma il prezzo fissato nell’accordo raggiunto tra la Commissione e Gilead fa sorgere il dubbio che i singoli Paesi avrebbero potuto ottenere un prezzo inferiore, con negoziati più energici”.
Il 15 ottobre, lo studio Solidarity dell’Oms, stabilendo che il Remdesivir non solo non ha effetto sulla morte dei pazienti ma non riduce neanche l’ospedalizzazione, mette in dubbio le basi sulle quali era stato costruito, e accettato, il prezzo del farmaco. Abbiamo chiesto alla Commissione perché non abbia atteso i risultati prima di firmare, dal momento che era noto che stava per essere pubblicato. Ci ha risposto che l’autorizzazione e rilasciata dall’Ema a luglio per la commercializzazione del farmaco era basata sullo studio americano: “Ora l’Ema sta analizzando i dati del Solidarity, ma nulla finora è cambiato”. Nei giorni in cui negoziava con la Commissione, nel corso della seconda metà di settembre, Gilead ha ricevuto i risultati di Solidarity: “L’Oms ha un obbligo contrattuale di mandarglieli prima della pubblicazione, perché testiamo le loro molecole. Loro hanno un periodo di tempo per rimandarcele con le loro osservazioni e prima di quella scadenza il testo non può essere pubblicato”, spiega Marie-Paule Kieny, direttrice della Ricerca all’Inserm (l’Istituto Superiore di Sanità francese) e membro del comitato esecutivo del Solidarity. Il periodo di revisione scade proprio in corrispondenza della firma del contratto con la Commissione. Una coincidenza? “C’è un problema di trasparenza se Gilead – che conosceva i dati – non li ha condivisi con la Commissione – dice Kieny – ma è anche deprecabile che la Commissione non abbia chiesto all’Oms informazioni sullo stato di avanzamento del più grande studio al mondo sul Remdesivir!”.
Questo articolo è parte dell’inchiesta collaborativa transnazionale “Behind The Pledge” finanziata da Journalismfund e dal programma Investigative journalism for Europe (IJ4EU). Hanno collaborato: Lise Barnéud, Hristio Boytchev, Staffan Dahlof, Lucien Hordijk e Priti Patnaik
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Lettera di Daniel O’Day, Ceo di Gilead Sciences sul prezzo del Remdesivir
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Roma, 22 feb. (Adnkronos) - Standing ovation dalla platea della convention Cpac a Washington al termine dell'intervento video della premier Giorgia Meloni. Un intervento nel quale la presidente del Consiglio ha richiamato valori e temi che uniscono conservatori europei e americani, a partire dalla difesa dei confini, ribadendo la solidità del legame tra Usa e Ue. "I nostri avversari - ha detto Meloni- sperano che il presidente Trump si allontani da noi. Ma conoscendolo come un leader forte ed efficace, scommetto che coloro che sperano nelle divisioni si smentiranno".
"So che alcuni di voi potrebbero vedere l'Europa come lontana o addirittura lontana o addirittura perduta. Vi dico che non lo è. Sì, sono stati commessi degli errori. Le priorità sono state mal riposte, soprattutto a causa delle classi dominanti e dei media mainstream che hanno importato e replicato nel Vecchio Continente", ha affermato la premier.
La presidente Meloni ha fatto un passaggio sull'Ucraina ribadendo "la brutale aggressione" subito dal popolo ucraino e confidando nella collaborazione con gli Usa per raggiungere una "pace giusta e duratura" che, ha sottolineato, "può essere costruita solo con il contributo di tutti, ma soprattutto con forti leadership".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - Le "elite di sinistra" si sono "recentemente indignate per il discorso di JD Vance a Monaco in cui il vicepresidente ha giustamente affermato che prima di discutere di sicurezza, dobbiamo sapere cosa stiamo difendendo. Non stava parlando di tariffe o bilance commerciali su cui ognuno difenderà i propri interessi preservando la nostra amicizia". Mo ha sottolineato la premier Giorgia Meloni nel suo intervento al Cpac.
"Il vicepresidente Vance stava discutendo di identità, democrazia, libertà di parola. In breve, il ruolo storico e la missione dell'Europa. Molti hanno finto di essere indignati, invocando l'orgoglio europeo contro un americano che osa farci la predica. Ma lasciate che ve lo dica io, da persona orgogliosa di essere europea - ha detto ancora - Innanzitutto, se coloro che si sono indignati avessero mostrato lo stesso orgoglio quando l'Europa ha perso la sua autonomia strategica, legando la sua economia a regimi autocratici, o quando i confini europei e il nostro stile di vita sono stati minacciati dall'immigrazione illegale di massa, ora vivremmo in un'Europa più forte".
(Adnkronos) - "I nostri avversari - ha detto Meloni- sperano che il presidente Trump si allontani da noi. Ma conoscendolo come un leader forte ed efficace, scommetto che coloro che sperano nelle divisioni si smentiranno. So che alcuni di voi potrebbero vedere l'Europa come lontana o addirittura lontana o addirittura perduta".
"Vi dico che non lo è. Sì, sono stati commessi degli errori. Le priorità sono state mal riposte, soprattutto a causa delle classi dominanti e dei media mainstream che hanno importato e replicato nel Vecchio Continente".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "So che con Donald Trump alla guida degli Stati Uniti, non vedremo mai più il disastro che abbiamo visto in Afghanistan quattro anni fa. Quindi sicurezza delle frontiere, sicurezza delle frontiere, sicurezza energetica, sicurezza economica, sicurezza alimentare, difesa e sicurezza nazionale per una semplice ragione. Se non sei sicuro, non sei libero". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un messaggio al Cpac.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "C'è una crescente consapevolezza. C'è una crescente consapevolezza in Europa che la sicurezza è ora la massima priorità. Non puoi difendere la tua libertà se non hai i mezzi o il coraggio per farlo. La felicità dipende dalla libertà e la libertà dipende dal coraggio. Lo abbiamo dimostrato quando abbiamo fermato le invasioni, conquistato le nostre indipendenze e rovesciato i dittatori". Così la premier Giorgia Meloni in un messaggio al Cpac.
"E lo abbiamo fatto insieme negli ultimi tre anni in Ucraina, dove un popolo orgoglioso combatte per la propria libertà contro un'aggressione brutale. E dobbiamo continuare oggi a lavorare insieme per una pace giusta e duratura. Una pace che può essere costruita solo con il contributo di tutti, ma soprattutto con forti leadership".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - In Ucraina "un popolo coraggioso combatte contro una brutale aggressione". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni al Cpac.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "I nostri avversari sperano che Trump si allontani da noi. Io lo conosco, e scommetto che dimostreremo che si sbagliano. Qualcuno può vedere l'Europa come distante, lontana. Io vi dico: non è così". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un messaggio alla convention Cpac a Washington.