Dal sequestro degli impianti a carbone sono passati sei anni, dalla chiusura quattro. Eppure, da qualche settimana, a Savona si è tornati a parlare di Tirreno Power. Lo scorso 11 novembre il colosso dell’energia, diviso al 50% tra Engie e Sorgenia, ha fatto sapere di aver presentato “le istanze per l’avvio dell’iter dei progetti di realizzazione di due nuovi impianti presso i siti di Civitavecchia e Vado Ligure”, quest’ultimo alle porte della città. E ciò nonostante il processo in corso proprio sulla centrale di Vado, in cui sono imputati – per disastro ambientale e sanitario colposo – 26 dirigenti e amministratori della stessa Tirreno Power. Le emissioni dell’impianto sono ritenute dai periti della procura savonese responsabili di centinaia di morti e migliaia di ricoveri nel periodo di attività dei gruppi VL3 e VL4, alimentati a carbone fino al 2014 e smantellati nel 2016. E ora l’azienda vuol raddoppiare il gruppo VL5 a gas naturale, l’unico rimasto in funzione, realizzando una nuova unità a ciclo combinato (metano + vapore) che porti la capacità produttiva del sito da 800 a 1600 megawatt. Un investimento da 300 milioni di euro che rischia di raddoppiare anche i fumi tossici a ridosso delle case, in un territorio che ha già pagato un prezzo altissimo in termini di salute pubblica e qualità dell’aria. Un annuncio sufficiente a far salire sulle barricate le associazioni che negli scorsi anni si erano battute contro la centrale a carbone.

È proprio a seguito degli esposti dei cittadini, infatti, che nel 2011 i pm di Savona aprono un fascicolo sull’impianto. Dai 10 iniziali, gli indagati per disastro ambientale, omicidio colposo plurimo e abuso d’ufficio diventeranno 86, tra cui tutta la giunta regionale della Liguria. I magistrati affidano a due medici – lo pneumologo Paolo Franceschi e l’epidemiologo Paolo Crosignani – uno studio sugli effetti delle emissioni a Vado Ligure e in altri 22 Comuni della zona. La ricerca, condotta su 150mila persone, stimava fino a 335 i morti per malattie cardiache e fino a 103 quelli per malattie respiratorie nel periodo 2000-2007 , senza contare le migliaia di ricoveri. Mentre una parallela perizia ambientale evidenziava “seri fenomeni di contaminazione a carico di diversi elementi, quali soprattutto arsenico, antimonio e rame, oltre a cromo, cadmio, piombo, nichel e vanadio”. Nel marzo 2014 il gip dispone il sequestro delle aree a carbone per violazione dell’Autorizzazione integrata ambientale : 300mila metri quadri che l’azienda dismetterà due anni dopo, per poi cederli in parte all’Università di Genova. Le posizioni dei politici vengono archiviate nel 2017, l’anno successivo il gup rinvia a giudizio 26 dirigenti di Tirreno Power per disastro ambientale. Nel processo sono costituite parti civili Greenpeace, Medicina Democratica, Legambiente, Uniti per la salute, Wwf e Anpana, oltre al Ministero dell’Ambiente.

A ferite ancora fresche, quindi, il piano di espansione mette in allarme gli ambientalisti savonesi. Se è vero che il metano non è impattante quanto il carbone, l’idea che Tirreno Power possa investire in un nuove ciminiere a combustibili fossili non va giù a nessuno. “I nuovi impianti rappresentano la soluzione più virtuosa per efficienza e basse emissioni a supporto della transizione energetica che porterà a un’alta prevalenza di fonti rinnovabili”, rassicura l’ufficio stampa dell’azienda. La pensa al contrario Legambiente: “Non esiste nessuna ragione tecnica, ambientale, di sicurezza, climatica, economica, di transizione che giustifichi in Italia la realizzazione di nuove centrali a gas, che ricordiamo essere una fonte fossile, quindi anch’essa responsabile dell’emissione di gas climalteranti”, scrive l’associazione in un comunicato. “L’obiettivo è quello delle emissioni zero nette al 2040 e ogni nuova centrale non farà altro che allontanare questo Paese e i territori dal traguardo”. “È insensato – attacca il presidente nazionale Stefano Ciafani – investire in una centrale a gas in una delle province liguri più avanti in tema di eolico, con quasi 41 megawatt realizzati e 19 parchi eolici. Inoltre, per aumentare la produttività delle centrali a gas esistenti, basterebbe aumentare le ore medie annue di esercizio a 4.000 da 3.261 attuali, senza costruirne di nuove”.

Anche M5S e sinistra ligure si scagliano contro il nuovo impianto. “È giusto trattare con questa società? È giusto darle fiducia e promuovere un progetto che agevoli la sua attività proprio nel luogo dove una centrale gestita da Tirreno Power è accusata di aver provocato una simile devastazione?”, si chiede il consigliere regionale Ferruccio Sansa, già candidato governatore per la coalizione giallorosa. Che fa notare come il raddoppio della centrale consentirebbe al colosso energetico di usufruire di incentivi milionari: “Il progetto fa spesso riferimento al ricorso al capacity market, cioè agli incentivi europei per chi produce energia elettrica a minore impatto ambientale, in vista del passaggio alle rinnovabili. Nei cittadini è sorto così il dubbio che sia proprio questo il fulcro della questione. Da alcune prime informazioni sembra che i contributi ammontino a 75mila euro l’anno per megawatt, il che vorrebbe dire 60 milioni l’anno per almeno 10 anni”, scrive Sansa. “Per noi questa proposta è irricevibile. Il gas fossile non sarà il futuro, e dobbiamo investire immediatamente sul perfezionamento di nuove tecnologie, sulla ricerca e la realizzazione di fonti energetiche alternative”, fa sapere Gianni Pastorino della lista progressista Linea Condivisa. “Non lo consentiremo, fermeremo questo ennesimo scempio nell’area di Vado Ligure, che ha già pagato uno scotto troppo alto per pensare di continuare in questa anacronistica direzione”, promette il senatore pentastellato Matteo Mantero.

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