L’inflazione acquisita per il 2020 è pari a -0,2%, ossia questo sarebbe il fato dell'intero anno in caso di variazione nulla a dicembre. Verso una chiusura d'anno in deflazione quindi, soprattutto a causa della debolezza dei prezzi dei beni energetici, dei carburanti e quindi dei trasporti. Aumento consistenti per i beni alimentari
In Italia permane uno stato di blanda deflazione. In novembre, per il settimo mese consecutivo i prezzi sono scesi rispetto al mese precedente (- 0,1%) e nei confronti dello stesso mese del 2019 (- 0,2%). I consumatori se ne accorgono poco niente, perché invece il cosiddetto “carello della spesa”, cresce. Secondo le stime preliminari dell’Istat questo sotto indice, che include i prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona, registra un +1,5%. A scendere sono, di nuovo, soprattutto i beni energetici (e quindi anche il costo dei trasporti), spinti al ribasso dalle basse quotazioni del petrolio.
I beni energetici, sottolinea l’Istat, “si confermano in flessione sia nella componente regolamentata sia in quella non regolamentata, mentre i prezzi del cosiddetto carello della spesa accelerano la loro crescita. È però l’ampiezza della diminuzione dei primi che continua a prevalere, determinando così, per il settimo mese consecutivo, un’inflazione negativa, come accaduto nel 2016 tra i mesi di febbraio e agosto”. Salgono invece i prezzi dei beni alimentari e bevande, + 1% rispetto ad ottobre. Fermi abbigliamento e calzature, Flessione decisa per le comunicazioni (- 0,9%) e per i listini della ristorazione (- 1,4% in un mese). L’inflazione acquisita per il 2020 è pari a -0,2%, ossia questo sarebbe il fato dell’intero anno in caso di variazione nulla a dicembre.
Secondo le elaborazioni di Coldiretti i prezzi dei prodotti alimentari arrivano al 5,5% per la frutta fino all’8,7% per le verdure, ma nei campi e nelle stalle è speculazione al ribasso con il taglio dei compensi pagati ai produttori per molti prodotti. La Coldiretti parla di “paradosso”, perché mentre i prezzi della spesa al dettaglio aumentano, quelli pagati ad agricoltori e allevatori crollano. Caso emblematico è la frutta di stagione come le clementine, pagate sotto i costi di produzione, dove si profila un crack nei territori tradizionali di coltivazione, dalla Calabria, alla Sicilia, alla Puglia.