Cultura

Lo Scaffale dei Libri, la nostra rubrica settimanale: diamo i voti alle divine commedie di Barbero, Tarenzi e Magris

di Davide Turrini e Ilaria Mauri

Ad Alessandro Barbero andrebbe fatta una piccola stele in ogni dipartimento universitario di storia. La sua attività extra accademica di divulgatore va ben oltre l’entusiasta ola delle prime file di signore ingioiellate da ritrovi pomeridiani Feltrinelli (quando c’erano). Prendiamo Dante (Laterza), volume dal titolo facilitante che sancirebbe l’ennesima “biografia” del sommo poeta. Ebbene, come spesso capita con i libri di Barbero, l’obiettivo non è mai quello di forzare il ritratto. Di cesellare mito, leggenda, o anche solo carattere, debolezze e puntigli del soggetto in analisi. Semmai lo storico piemontese adotta la metodologia che l’ha reso celebre anche, per dire, su Youtube, dove i suoi interventi spopolano come quelli di un influencer. Barbero non vuole mai immergersi nelle certezze, scansa e deride luoghi comuni e vulgate semplificatorie del passato (lo jus primae noctis, ad esempio, cercatelo online), ma instilla dubbi, cerca alternative, affronta lacune, silenzi, buchi neri della storia. E prova, sempre, a dare risposte esaurienti anche se non rappresentano la sorpresa, il colpo di scena, la similitudine forzata con il presente (si vedano certe “sintesi da bocca aperta” della famiglia Angela, per dire). E lo fa scuotendo, rimescolando, grattando ogni fonte documentale possibile e rintracciabile. Talvolta schernendo perfino i suoi predecessori storici (qui In Dante lo scherno verso il Boccaccio “storico” è palese) che si sono permessi il lusso di sentenziare senza verificare con cura. Ecco che Dante, allora, con oltre 70 pagine di note a fondo libro, diventa epitome di una carriera di brillante fustigatore della storia. Dicevamo dell’autore della Divina Commedia. Barbero suddivide sì i capitoli tra vari aspetti dell’uomo in socio-economici (l’origine nobile o meno della famiglia), politici (la lotta intestina nella Firenze del ‘300) e sentimentali (l’amore per Beatrice), ma non è mai una ricerca finalizzata al santino, all’ovale, all’elevazione al quadrato del singolo. Barbero non è un Leonardo bisognoso di gioconde, ma è un Pieter Bruegel intento ad affrescare con puntinismo documentale sfondi, contesti, ambienti, allargandosi a cerchi concentrici geopolitici. Per spiegare l’esilio di Dante, ad esempio, serve un carotaggio della più infinitesimale divisione tra fazioni del governo fiorentino. E poi là, dove è presente un’omissione, una carenza documentale, ecco l’ipotesi più plausibile ma non certa. Quando ad esempio, mancano fonti attendibili, Barbero lo dice, apre lo squarcio. Dopo la morte di Enrico VII Dante sembra sparire (“periodo in cui regna l’oscurità più profonda”) ed ecco che l’autore mette le mani avanti esponendo varie ipotesi (direttamente Ravenna, lungo soggiorno a Verona, o incursione altrettanto robusta a Pisa) e per ognuna si va a cercare conferma o smentita. Spiace per i più, ma questo è un modo professionalmente serio di fare la storia e piacevolmente letterario di scansare il meccanico romanzare degli eventi del passato. Voto (in dolce stil novo): 7+

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