La Regione Lombardia non vuole più i 25mila camici del cognato del governatore Attilio Fontana. Anche se sono gratuiti. La circostanza emerge dalla corrispondenza tra Aria, la centrale acquisti della Regione, e la Dama spa, la società di Andrea Dini e al 10% della sorella Roberta, consorte dell’inquilino del Pirellone. Il carteggio è stato depositato agli atti dalla difesa di Dini, rappresentata dall’avvocato Giuseppe Iannaccone. In pratica dopo aver ottenuto la restituzione dei camici, sequestrati a luglio, il cognato di Fontana ha scritto più volte ad Aria con l’obiettivo di donare il materiale: senza successo. Il motivo? La centrale acquisti della Regione aspetta una risposta dalla procura di Milano. Ma andiamo con ordine.
La vicenda è nota: nei mesi scorsi i pm Paolo Filippini, Luigi Furno e Carlo Scalas hanno iscritto nel registro degli indagati Fontana, accusato di frode in pubbliche forniture, Dini, l’ex dg di Aria Filippo Bongiovanni, entrambi accusati anche di turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente, e una funzionaria della società regionale. Tutto comincia il 16 aprile, quando Aria affida a Dama una fornitura da mezzo milione di euro per circa 75.000 camici. Secondo l’accusa, quando Fontana scopre dei “rapporti negoziali” tra il cognato e Aria – che lo pongono in evidente conflitto d’interessi – “chiede” personalmente a Dini di “rinunciare al pagamento per evitare polemiche e strumentalizzazioni”, per utilizzare le parole pronunciate dallo stesso governatore in consiglio regionale. Il 20 maggio l’imprenditore scrive alla Regione e trasforma i camici forniti fino a quel momento – quasi 50mila – in donazione, considerando conclusa la fornitura. Secondo la procura, però, quel contratto non è mai stato modificato – nonostante la risposta inviata da Bongiovanni a Dini e agli altri vertici di Aria sempre il 20 maggio – e per questo motivo la società del cognato di Fontana era obbligata a inviare alla Regione anche gli altri 25.588 camici.
Materiale che viene sequestrato il 28 luglio. Restituito a Dini nel primo giorno di ottobre, il 17 dello stesso mese il cognato di Fontana scrive ad Aria spiegando che la procura ha dissequestrato i camici al fine di rimettere Dama agli “obblighi derivanti dall’ordinativo di fornitura del 16/4/2020“. E quindi, “pur continuando a ritenere concluso il rapporto conseguente all’ordine di fomitura in oggetto”, Dini vuole consegnare i camici alla Regione “precisando che nessun importo sarà addebitato neppure per i costi di trasporto dei predetti camici”. L’imprenditore spiega che vuole donare quei dispositivi di protezione sia “in ragione della recente recrudescenza dello stato emergenziale e della preoccupante escalation dei contagi attualmente registrati nel territorio regionale”, ma anche perché “con tale immediata disponibilità la Società avverte l’esigenza di tutelare sin d’ora la propria immagine e la propria reputazione in relazione al travisamento ed alla strumentalizzazione dei fatti relativi all’oggetto”. Tradotto vuol dire che anche se Dini continua a considerare conclusa la fornitura/donazione di camici ai quasi 50mila del maggio scorso, intende comunque regalare alla regione la parte restante.
Questa missiva secondo il cognato di Fontana è “rimasta priva di riscontro”. Per questo motivo il 30 ottobre il patron di Paul&Shark scrive di nuovo alla Regione per chiedere se Aria intenda o meno “accettare i predetti camici” tenuto conto “che l’emergenza epidemiologica sta imperversando”. A questo punto Aria risponde. Il presidente Francesco Ferri spiega che anche se è “vero è che vi sarebbe effettiva utilità, nell’attuale situazione emergenziale, di acquisire i camici oggetto della Vostra nota”, occorre comunque “procedere alla formalizzazione dell’accettazione della donazione, e ciò richiede inevitabilmente un chiarimento circa il titolo giuridico corretto da riconoscere alla Vostra offerta”. Per questo motivo Aria “ritiene imprescindibile, a fini cautelativi, acquisire ogni utile elemento in proposito, anche compulsando, nei limiti consentiti, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano”. Insomma: la centrale acquisti della Regione, coinvolta nell’inchiesta con l’ex dg Bongiovanni, vuole evitare di fare qualsiasi movimento senza il via libera della procura. Posizione ribadita ancora il 17 novembre, per rispondere alla terza lettera di Dini che chiede di avere un seguito alla sua proposta di donazione formulata “ormai da 22 gìomi, inspiegabilmente priva di riscontro“.
“Ad oggi, la suddetta Procura della Repubblica non ha ancora dato riscontro alla richiesta, e questa è la ragione per la quale non si sono forniti aggiornamenti”, è la giustificazione della centrale acquisti regionale, che accusa Dama di essere in contraddizione perché “dapprima assume che la fornitura originaria dovesse ritenersi conclusa e poi evidenzia che il dissequestro sarebbe finalizzato anche a consentire a Dama di adempiere agli obblighi derivanti dall’ordinativo difornitura del 16/4/2020″. Una contraddizione che per Dini non esiste, visto che ha spiegato di voler donare i camici nonostante continui a non “condividere quanto affennato nel predetto decreto, e cioè che la fornitura in oggetto sarebbe stata ancora in essere”. In ogni caso, torna a scrivere l’imprenditore, la “differente prospettiva interpretativa, tra la procura della Repubblica di Milano e la società Dama è del tutto ininfluente rispetto alla presente vicenda”. Che va avanti ormai da tempo. “La prima lettera con cui Andrea Dini ha espresso la volontà di donare altri 25.000 camici ad Aria, risale a metà ottobre. È trascorso un mese e mezzo e non abbiamo ancora ricevuto una risposta chiara. A questo punto, indicheremo ad Aria un termine ultimo per accettare o meno i camici”, dice l’avvocato Iannaccone, legale dell’imprenditore. “Se questo silenzio dovesse protrarsi o se dovessero susseguirsi ulteriori risposte inconcludenti, li doneremo a chi ne ha bisogno – continua – Ho letto proprio ieri di diversi Ospedali in difficoltà, soprattutto del Sud Italia, dove i dispositivi Dpi sono merce rara. Penso che lì 25.000 camici farebbero comodo. Evidentemente, ad Aria non servono più”. Fonti della procura, da parte loro, fanno sapere che dopo il dissequestro l’indagato è “dominus” dei camici: può insomma utilizzarli come meglio crede. Intanto quei 25mila dispositivi di protezione sono ancora in magazzino.
Giustizia & Impunità
Ora la Regione Lombardia non vuole più i camici donati dal cognato di Fontana
Dopo il dissequestro di 25mila dipositivi di protezione Andrea Dini ha scritto ad Aria, centrale acquisti della Regione. L'obiettivo dell'imprenditore, ancora oggi sotto inchiesta, è regalare i camici, ma fino ad ora non ha avuto successo. Il motivo? Aria sostiene di doversi consultare con la procura
La Regione Lombardia non vuole più i 25mila camici del cognato del governatore Attilio Fontana. Anche se sono gratuiti. La circostanza emerge dalla corrispondenza tra Aria, la centrale acquisti della Regione, e la Dama spa, la società di Andrea Dini e al 10% della sorella Roberta, consorte dell’inquilino del Pirellone. Il carteggio è stato depositato agli atti dalla difesa di Dini, rappresentata dall’avvocato Giuseppe Iannaccone. In pratica dopo aver ottenuto la restituzione dei camici, sequestrati a luglio, il cognato di Fontana ha scritto più volte ad Aria con l’obiettivo di donare il materiale: senza successo. Il motivo? La centrale acquisti della Regione aspetta una risposta dalla procura di Milano. Ma andiamo con ordine.
La vicenda è nota: nei mesi scorsi i pm Paolo Filippini, Luigi Furno e Carlo Scalas hanno iscritto nel registro degli indagati Fontana, accusato di frode in pubbliche forniture, Dini, l’ex dg di Aria Filippo Bongiovanni, entrambi accusati anche di turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente, e una funzionaria della società regionale. Tutto comincia il 16 aprile, quando Aria affida a Dama una fornitura da mezzo milione di euro per circa 75.000 camici. Secondo l’accusa, quando Fontana scopre dei “rapporti negoziali” tra il cognato e Aria – che lo pongono in evidente conflitto d’interessi – “chiede” personalmente a Dini di “rinunciare al pagamento per evitare polemiche e strumentalizzazioni”, per utilizzare le parole pronunciate dallo stesso governatore in consiglio regionale. Il 20 maggio l’imprenditore scrive alla Regione e trasforma i camici forniti fino a quel momento – quasi 50mila – in donazione, considerando conclusa la fornitura. Secondo la procura, però, quel contratto non è mai stato modificato – nonostante la risposta inviata da Bongiovanni a Dini e agli altri vertici di Aria sempre il 20 maggio – e per questo motivo la società del cognato di Fontana era obbligata a inviare alla Regione anche gli altri 25.588 camici.
Materiale che viene sequestrato il 28 luglio. Restituito a Dini nel primo giorno di ottobre, il 17 dello stesso mese il cognato di Fontana scrive ad Aria spiegando che la procura ha dissequestrato i camici al fine di rimettere Dama agli “obblighi derivanti dall’ordinativo di fornitura del 16/4/2020“. E quindi, “pur continuando a ritenere concluso il rapporto conseguente all’ordine di fomitura in oggetto”, Dini vuole consegnare i camici alla Regione “precisando che nessun importo sarà addebitato neppure per i costi di trasporto dei predetti camici”. L’imprenditore spiega che vuole donare quei dispositivi di protezione sia “in ragione della recente recrudescenza dello stato emergenziale e della preoccupante escalation dei contagi attualmente registrati nel territorio regionale”, ma anche perché “con tale immediata disponibilità la Società avverte l’esigenza di tutelare sin d’ora la propria immagine e la propria reputazione in relazione al travisamento ed alla strumentalizzazione dei fatti relativi all’oggetto”. Tradotto vuol dire che anche se Dini continua a considerare conclusa la fornitura/donazione di camici ai quasi 50mila del maggio scorso, intende comunque regalare alla regione la parte restante.
Questa missiva secondo il cognato di Fontana è “rimasta priva di riscontro”. Per questo motivo il 30 ottobre il patron di Paul&Shark scrive di nuovo alla Regione per chiedere se Aria intenda o meno “accettare i predetti camici” tenuto conto “che l’emergenza epidemiologica sta imperversando”. A questo punto Aria risponde. Il presidente Francesco Ferri spiega che anche se è “vero è che vi sarebbe effettiva utilità, nell’attuale situazione emergenziale, di acquisire i camici oggetto della Vostra nota”, occorre comunque “procedere alla formalizzazione dell’accettazione della donazione, e ciò richiede inevitabilmente un chiarimento circa il titolo giuridico corretto da riconoscere alla Vostra offerta”. Per questo motivo Aria “ritiene imprescindibile, a fini cautelativi, acquisire ogni utile elemento in proposito, anche compulsando, nei limiti consentiti, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano”. Insomma: la centrale acquisti della Regione, coinvolta nell’inchiesta con l’ex dg Bongiovanni, vuole evitare di fare qualsiasi movimento senza il via libera della procura. Posizione ribadita ancora il 17 novembre, per rispondere alla terza lettera di Dini che chiede di avere un seguito alla sua proposta di donazione formulata “ormai da 22 gìomi, inspiegabilmente priva di riscontro“.
“Ad oggi, la suddetta Procura della Repubblica non ha ancora dato riscontro alla richiesta, e questa è la ragione per la quale non si sono forniti aggiornamenti”, è la giustificazione della centrale acquisti regionale, che accusa Dama di essere in contraddizione perché “dapprima assume che la fornitura originaria dovesse ritenersi conclusa e poi evidenzia che il dissequestro sarebbe finalizzato anche a consentire a Dama di adempiere agli obblighi derivanti dall’ordinativo difornitura del 16/4/2020″. Una contraddizione che per Dini non esiste, visto che ha spiegato di voler donare i camici nonostante continui a non “condividere quanto affennato nel predetto decreto, e cioè che la fornitura in oggetto sarebbe stata ancora in essere”. In ogni caso, torna a scrivere l’imprenditore, la “differente prospettiva interpretativa, tra la procura della Repubblica di Milano e la società Dama è del tutto ininfluente rispetto alla presente vicenda”. Che va avanti ormai da tempo. “La prima lettera con cui Andrea Dini ha espresso la volontà di donare altri 25.000 camici ad Aria, risale a metà ottobre. È trascorso un mese e mezzo e non abbiamo ancora ricevuto una risposta chiara. A questo punto, indicheremo ad Aria un termine ultimo per accettare o meno i camici”, dice l’avvocato Iannaccone, legale dell’imprenditore. “Se questo silenzio dovesse protrarsi o se dovessero susseguirsi ulteriori risposte inconcludenti, li doneremo a chi ne ha bisogno – continua – Ho letto proprio ieri di diversi Ospedali in difficoltà, soprattutto del Sud Italia, dove i dispositivi Dpi sono merce rara. Penso che lì 25.000 camici farebbero comodo. Evidentemente, ad Aria non servono più”. Fonti della procura, da parte loro, fanno sapere che dopo il dissequestro l’indagato è “dominus” dei camici: può insomma utilizzarli come meglio crede. Intanto quei 25mila dispositivi di protezione sono ancora in magazzino.
IL DISOBBEDIENTE
di Andrea Franzoso 12€ AcquistaArticolo Precedente
“Nel 2018 uccise la ex moglie strangolandola”: 30 anni in appello per Marcello Tilloca
Articolo Successivo
Bergamo, l’Oms invoca l’immunità diplomatica per i ricercatori convocati dai pm come persone informate sui fatti
Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione
Zonaeuro
L’assalto all’Ue dei lobbisti delle armi: 18 incontri con i commissari nei primi tre mesi del von der Leyen II. E il budget dei gruppi di pressione fa +40% in un anno
Mondo
Ucraina, Mattarella: “Pace basata su prepotenza non durerebbe a lungo”. Truppe italiane? “Presto per dirlo”
Da Il Fatto Quotidiano in Edicola
La corsa militare dell’Europa innesca una ondata di vendite sui debiti dei Paesi: su gli interessi
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Più che le conclusioni del Consiglio europeo sembrano un bollettino di guerra, con i nostri governanti che, in un clima di ubriacatura collettiva, programmano una spesa straordinaria di miliardi su miliardi per armi, missili e munizioni. E la premier Meloni cosa dice? 'Riarmo non è la parola adatta' per questo piano. Si preoccupa della forma e di come ingannare i cittadini. Ma i cittadini non sono stupidi! Giorgia Meloni come lo vuoi chiamare questo folle programma che, anziché offrire soluzioni ai bisogni concreti di famiglie e imprese, affossa l’Europa della giustizia e della civiltà giuridica per progettare l’Europa della guerra?". Lo scrive Giuseppe Conte sui social.
"I fatti sono chiari: dopo 2 anni e mezzo di spese, disastri e fallimenti in Ucraina anziché chiedere scusa agli italiani, Meloni ha chiesto a Von der Leyen di investire cifre folli in armi e spese militari dopo aver firmato sulla nostra testa a Bruxelles vincoli e tagli sugli investimenti che ci servono davvero su sanità, energia, carovita, industria e lavoro. Potremmo trovarci a spendere oltre 30 miliardi aggiuntivi sulle armi mentre ne mettiamo 3 scarsi sul carobollette".
"Stiamo vivendo pagine davvero buie per l’Europa. I nostri governanti, dopo avere fallito con la strategia dell’escalation militare con la Russia, non hanno la dignità di ravvedersi, anzi rilanciano la propaganda bellica. La conclusione è che il blu di una bandiera di pace scolora nel verde militare. Dai 209 miliardi che noi abbiamo riportato in Italia dall'Europa per aziende, lavoro, infrastrutture, scuole e asili nido, passiamo a montagne di soldi destinati alle armi".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Much appreciated". Lo scrive Elon Musk su X commentando un post in cui si riporta la posizione della Lega e di Matteo Salvini sul ddl Spazio e Starlink. Anche il referente in Italia del patron di Tesla, Andrea Stroppa, ringrazia via social Salvini: "Grazie al vice PdC Matteo Salvini per aver preso posizione pubblicamente".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - Gianfranco Librandi, presidente del movimento politico “L’Italia c’è”, ha smentito categoricamente le recenti affermazioni giornalistiche riguardanti una presunta “coalizione di volenterosi” per il finanziamento di Forza Italia. Librandi ha dichiarato: “Sono tutte fantasie del giornalista. Smentisco assolutamente di aver parlato di una coalizione di volenterosi che dovrebbero contribuire al finanziamento del partito”.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Il vergognoso oltraggio del Museo della Shoah di Roma è l'ennesimo episodio di un sentimento antisemita che purtroppo sta riaffiorando. È gravissima l'offesa alla comunità ebraica ed è gravissima l'offesa alla centralità della persona umana e all'amicizia tra i popoli. Compito di ognuno deve essere quello di prendere decisamente le distanze da questi vergognosi atti, purtroppo sempre più frequenti in ambienti della sinistra radicale infiltrata da estremisti islamici , che offendono la memoria storica e le vittime della Shoah. Esprimo la mia più sentita solidarietà all'intera Comunità ebraica con l'auspicio che tali autentici delinquenti razzisti antisemiti siano immediatamente assicurati alla giustizia ". Lo ha dichiarato Edmondo Cirielli, Vice Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Meloni ha perso un'occasione rispetto a due mesi fa quando si diceva che sarà il ponte tra l'America di Trump e l'Europa e invece Trump parla con Macron, con Starmer e lo farà con Merz. Meloni è rimasta un po' spiazzata. Le consiglio di non essere timida in Europa perchè se pensa di sistemare i dazi un tete a tete con Trump, quello la disintegra. Meloni deve stare con l'Europa e Schlein quando le dice di non stare nel mezzo tra America e Europa è perchè nel mezzo c'è l'Oceano e si affoga". Lo dice Matteo Renzi a Diritto e Rovescio su Rete4.