Basta buttare un occhio sui gruppi Facebook di genitori separati per capire che, quanto a divorzio, c’è ben poco da festeggiare. Lo scontro è continuo, la rabbia regna sovrana, l’ansia di non arrivare a fine mese perché magari l’assegno non arriva altissima, la paura per il futuro enorme.

A vederlo da questa prospettiva, il divorzio non sembra una cosa desiderabile. Eppure, in sé è stata davvero la più grande conquista possibile, specie per le donne, visto che l’uomo, 50 anni fa, aveva una vita sociale ben più spiccata e anche, nel caso il matrimonio non funzionasse, il diritto o comunque la possibilità di poter intraprendere relazioni fuori dalla famiglia. Oggi anche le donne spesso hanno relazioni extraconiugali, quelle che – talvolta- fanno saltare il matrimonio, come quelle maschili; anche se la rottura, a mio avviso, è sempre un atto che si fa in due, seppur con azioni diverse.

Quello che invece è rimasto uguale al passato è la diseguaglianza economica tra i coniugi, pur essendo le giovani coppie sempre più povere da entrambe le parti. Come ho scritto mille volte su questo blog, le donne hanno lavori più precari, meno pagati o spesso non lavorano proprio per seguire e curare i figli: nel momento del divorzio questo si traduce in un boomerang contro di loro, con effetti spaventosamente drammatici. Anche perché, e qui va fatto un piccolo excursus, nel frattempo le leggi sono profondamente cambiate.

Fino alla legge sull’affido condiviso, insomma fino ai primi anni Duemila, lo schema del divorzio era questo: figli affidati alla donna, mantenimento ai figli e alla donna nel caso questa non lavorasse. Questo schema rischiava di essere realmente a sfavore degli uomini, spesso costretti a vivere in condizioni di disagio economico. Ma la legislazione, spesso a colpi di Tribunale, è cambiata. Negli ultimi anni alcune sentenze della Cassazione hanno stabilito che l’idea che l’ex marito debba garantire lo stesso tenore di vita alla donna fosse da abolire.

Cosa giusta in teoria, se non fosse che molte donne avevano lasciato il lavoro o lavorato a intermittenza per seguire i bambini, mentre l’uomo aveva una carriera continuativa. Inoltre, dire a una donna magari di cinquanta e passa anni di rientrare nel mercato del lavoro dopo anni che ne è rimasta fuori rischia di suonare quasi una provocazione.

Ci sono state per fortuna altre sentenze che hanno messo nero su bianco il fatto che bisognasse considerare l’apporto della donna durante gli anni di matrimonio. Ma nonostante questo, gli assegni di mantenimento solo per la donna sono ormai un’esiguità, anche se poco si sa: circa una donna su dieci. Restano quelli per i figli, con i quali spesso le donne con poco o nullo reddito vivono.

Con la legge sull’affido condiviso però, che spesso è tale solo a parole, i giudici si orientano sempre di più per togliere anche il contributo per il mantenimento dei bambini. Con il risultato che il coniuge che guadagna meno o ha un lavoro precario, quasi sempre la donna, si trova davvero sull’orlo della povertà. E anche i bambini vivono due stili di vita diversi, quando vanno dal padre e quando dalla madre, con il padre che può comprare e la madre no, il che, evidentemente, non è un bene.

La verità cruda, che è anche un bilancio di questo mezzo secolo di legge, è questa. Nessuna donna dovrebbe sposarsi senza reddito, nessuna donna, anche, dovrebbe restare senza un reddito consistente durante il matrimonio. Facile, no? D’altronde è quello che dicono numerose donne in carriera, o libri di successo o trasmissioni. C’è un piccolo “ma”, però, che tutta questa retorica del lavorare quando ci si sposa non prende in considerazione.

E cioè che se le donne davvero aspettassero di avere un reddito consistente prima di sposarsi e avere figli, il risultato sarebbe non solo un crollo dei matrimoni ma soprattutto un tracollo definitivo delle nascite. Visto che la maggioranza delle donne in Italia fa figli “gettando il cuore oltre l’ostacolo”, come si dice, ovvero senza aspettare il lavoro perfetto anche perché, altrimenti, non ci sarebbero figli. Ma questo atto di generosità diventa proprio quello che, in caso di divorzio, le si ritorce amaramente contro.

Purtroppo, ad oggi non c’è una risposta a tutto questo. Separarsi lo stesso, finendo in una condizione disagiata, è drammatico. Non separarsi, nonostante le cose non vadano più e si litighi ogni giorno e sempre più, è altrettanto drammatico. Bisognerebbe riavvolgere il nastro della vita e magari cambiare paese. Ad esempio le donne francesi fanno molti più figli di noi e si separano molto più di noi, e con meno sfruttamento, e il motivo è che lavorano molto più di noi avendo molti più servizi e assegni per i figli di noi. Più lavoro, più figli, più libertà: le donne francesi sono più felici.

A mezzo secolo da quella legge storica nel nostro paese, dunque, resta un’amarezza infinita. Come per tanti altri diritti, anche quello al divorzio è garantito in maniera formale. Ma a livello sostanziale – e basti pensare anche ai costi improponibili degli avvocati, visto che quelli gratuiti vengono dati solo a soglie di indigenza ridicole – il diritto non c’è.

Ci sarà davvero quando i due coniugi potranno separarsi senza distruggersi a vicenda (un fatto culturale, ma anche quasi sempre legato ai soldi). Ci sarà quando nessuna persona dovrà diventare povera per un divorzio. Ci sarà quando le donne saranno libere di fare figli senza il terrore di perdere la protezione economica del matrimonio.

La verità, infatti, è che i diritti si reggono tutti insieme e quello al divorzio non può essere celebrato senza quello al lavoro, al reddito, al non subire violenza in famiglia, al veder riconosciuto il proprio lavoro nonostante quel lavoro non sia stato retribuito. Bisognerebbe davvero celebrarli insieme.

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