Una commissione di verifica così “interna” che sembra fatta per assolvere la direzione, piuttosto che far luce sulle criticità denunciate dai medici. Un dato, da confermare, di quasi 400 camici contagiati negli ultimi due mesi che alimenta il sospetto che l’organizzazione interna di reparti possa aver contribuito a falcidiare il personale in prima linea. Poi il niet delle direzioni ospedaliere a una verifica in loco da parte dei consiglieri regionali, che attendono l’autorizzazione da dieci giorni. La vicenda Santi Carlo e Paolo di Milano arriva in Consiglio regionale. In aula, oggi, si svolgerà il question time all’assessore Gallera richiesto dalle opposizioni per fare chiarezza sulla vicenda della famosa “lettera dei cinquanta”, il documento interno in cui medici d’urgenza e infermieri dei due ospedali milanesi descrivevano al loro direttore generale la situazione estrema in cui si trovavano a operare, tra afflusso incontrollato ai pronto soccorso e insufficienza del personale sanitario, al punto di costringerli a “dilazionare l’accesso a terapie e tecniche” e fare scelte “né clinicamente né eticamente tollerabili”.
La reazione della direzione generale è stata molto dura. E’ partita con la sconfessione pubblica dei medici bollati come bugiardi dall’Asst, la repentina rimozione del loro primario Francesca Cortellaro, una campagna di raccolta firme promossa proprio dall’azienda sanitaria che ha trasformato un problema di salute pubblica in un referendum interno sul direttore Matteo Stocco, nominato due anni fa da Gallera. Una situazione di conflitto interno che non ha certo aiutato i medici, sulla quale ha deciso di vigilare anche il ministero della Salute.
La coda della vicenda pone nuovi interrogativi. Il 26 novembre il direttore Stocco delibera la costituzione di una “commissione interna di indagine per la verifica delle cure prestate presso il presidio ospedaliero San Carlo nei mesi di ottobre/novembre 2020”. L’assessore Gallera ha subito fatto sapere che la Regione prenderà posizione sulla vicenda solo una volta che la verifica sarà terminata. Tempistica, oggetto e composizione della commissione però alimentano le domande dell’opposizione che hanno preparato diversi interventi, compresa una mozione per chiedere la commissione appena istituita sia rifatta da capo e affidata all’anticorruzione regionale.
Audit interno, pure troppo
Il problema è che i componenti designati sono otto interni e un solo esterno. Tre, per altro, sono firmatari della “contro-lettera” del 20 novembre che, esprimendo solidarietà alla direzione, sconfessava apertamente quella dei colleghi di cui ora dovrebbero controllare il lavoro, accertando le condizioni in cui operavano, in pieno conflitto di interessi. Rivestono tutti un ruolo importante nell’Asst, lontano dai medici che operano sul campo e vicino alla direzione strategica, cui sono legati a doppio filo proprio per la natura fiduciaria del loro ruolo di “capi dipartimento” e “direttori di struttura complessa”.
L’imparzialità di giudizio, questo il punto, non sarebbe garantita. Lo rilevano anche i sindacati interni della dirigenza medica e sanitaria che due giorni fa hanno sottoscritto una formale contestazione alla direzione, chiedendo che la commissione d’indagine “sia posta nelle condizioni di lavorare in totale serenità ed equilibrio e di presentare un’autorevolezza ed indipendenza indiscutibili, innanzitutto garantendone una più equa ed equilibrata composizione”. Per gli stessi motivi, il Partito Democratico si è fatto promotore di una mozione urgente che chiede di azzerarla del tutto, in favore di una che sia terza e indipendente, con componenti attinti non solo dalla direzione ospedaliera, con consulenti indicati dal ministero della Salute, rappresentanze sindacali dei dirigenti medici e del personale infermieristico. A guidarla, un soggetto terzo che non sia espresso da Regione Lombardia. A capo, l’ex magistrato già numero uno della Cassazione e della Corte d’Appello di Milano Giovanni Canzio. I Cinque Stelle avevano proposto che a occuparsene fosse la commissione d’inchiesta regionale sul Covid.
Il “pac-man” ai tempi del covid
E veniamo al numero di contagi tra il personale medico e infermieristico. La direzione, a precisa domanda, ha preferito non fornirli ma fonti interne parlano di quasi 400 contagi solo nell’ultimo mese e mezzo. Un numero impressionante. Oltre che dal maggior numero di tamponi eseguiti rispetto alla prima ondata, potrebbe dipendere dall’organizzazione interna dell’ospedale. Per capire di cosa parliamo bisogna aprire questo documento. E’ la pianta dei reparti del San Carlo. A guardarla sembra il “pac-man del coronavirus”: vince il gioco chi disegna il percorso più breve verso la salvezza, evitando trappole, giri a vuoto e porte girevoli. Molti non hanno vinto, ma si sono infettati, rischiando la vita, sguarnendo ulteriormente la prima linea dei sanitari impegnati a salvare i pazienti. Quanti, esattamente, non si sa (la direzione, come detto, ha deciso di non rispondere). Per questo il consigliere dei Cinque Stelle Gregorio Mammì ha deciso di depositare una richiesta di accesso agli atti.
I criteri per la riapertura
Regione Lombardia il 7 maggio scorso, esaurito il picco della prima ondata, aveva dato indicazioni di riaprire i reparti per l’attività ambulatoriale, diagnostica e di ricovero programmate che erano state sospese a febbraio. I criteri per le riaperture sono stati definiti dal Comitato Tecnico Scientifico in un documento del 5 maggio che dettaglia le “linee di indirizzo atte a contenere il rischio di ripresa di focolai epidemici da SARS – COV2, mediante misure di prevenzione e protezione di tutti i soggetti che afferiscono alle strutture sanitarie”. Sull’organizzazione delle strutture ospedaliere il documento è tassativo: accessi e percorsi al pronto soccorso e ai reparti devono essere separati in funzione della “certezza o probabilità di pazienti positivi”. Area grigia per i sospetti, verde per i negativi, rossa per covid accertati.
Anche al San Carlo aree e reparti sono stati riorganizzati. Come in altri vecchi ospedali italiani con struttura a “monoblocco” le aree covid sono distribuite verticalmente lungo i 10 piani e orizzontalmente nei vari settori, anziché compartimentate isolandole fisicamente. Il risultato è una divisione a “macchia di leopardo” che facilita la promiscuità dei percorsi. Partendo dall’alto. Al piano 10 c’è il servizio di dialisi (pulita), il blocco operatori e la rianimazione Covid. Al 9 la chirurgia (pulita), ambulatori vari e la medicina covid. Al quarto piano c’è la riabilitazione covid, la riabilitazione pulita e l’oncologia. Al 3 la medicina covid (sez.A) la medicina covid (sez.B) e la cardiologia (sez.D).
Stesso discorso per il reparto d’urgenza (DEA) dove si colloca il Pronto Soccorso. Questa la mappa. Il passaggio dei pazienti dal blocco DEA dove è situato il PS e le aree critiche, avviene attraverso il “Quadrato C” in percorsi non dedicati al solo passaggio dei malati covid ma promiscui. L’accesso degli utenti al Centro di prenotazione (CUP) e agli ambulatori è garantito solo transitando dall’accesso principale del monoblocco, causa i cantieri aperti, che hanno impedito l’accesso direttamente al CUP e a molti ambulatori attraverso il Quadrato C. Anche al San Paolo la dislocazione fa coesistere sullo stesso piano reparti che sarebbe stato meglio tenere del tutto distinti. Al blocco A sesto piano, ad esempio, convivono la medicina III con 24 posti letto covid e la riabilitazione specialista “non covid” da 10 posti letto. Non solo.
Il virus rispetta le linee
I percorsi sporco/pulito separati erano una prescrizione già prima del Covid. Nella prima ondata si è capito quanto fosse necessario dividerli per garantire la sicurezza a pazienti e medici che vi transitano, insieme a carrelli, documenti e macchinari. Oggi, ovunque, dovrebbero essere del tutto separati e circolari. Ma solo nella teoria, nella pratica così non è. “Al San Carlo ancora oggi nello stesso corridoio che porta dal pronto soccorso ai reparti passano utenti esterni, personale, pazienti operati salme di defunti. Lo abbiamo più volte segnalato, ma non hanno mai riorganizzato”, spiega un medico. “I percorsi sporco/pulito non ci sono neanche nella camera operatoria del blocco parto, tanto che gli interventi in urgenza non possono essere fatti lì ma devono portare la partoriente nel blocco operatorio centrale”. In questo quadro di promiscuità, la direzione ha ritenuto però utile e necessario indicare i percorsi dipingendo a terra delle linee: la linea verde indica il passaggio del pulito, la rossa quella dello sporco. Che convivono però negli stessi corridoi, come se il virus rispettasse delle linee disegnate sul pavimento.
L’accesso negato ai consiglieri
Il viceministro Sileri ha ventilato la possibilità di recarsi personalmente nei due ospedali. Anche i consiglieri regionali ci hanno provato, ma l’impresa per ora si è rivelata tutt’altro che facile. Tra questi c’è Carmela Rozza (Pd), ex infermiera ed ex sindacalista della Cgil Funzione pubblica sanità, già assessore alla sicurezza al Comune di Milano. “Volevo andare di persona al pronto soccorso del San Paolo e San Carlo per capire cosa stesse succedendo”, racconta. “A dire il vero volevo andare in tutti gli ospedali, dove sono emerse pesanti criticità: al Sacco, al Policlinico e così via. In un caso la primaria mi ha fatto entrare ma la direzione mi ha poi negato l’accesso dicendo che serve l’autorizzazione preventiva della Presidenza del consiglio regionale. Ho inoltrato la mia richiesta 10 giorni fa, non ho ancora avuto risposta”.