Michele Senese ‘O’ Pazz’ e le sue mani sulla città, dal 2008 al 2015. Un controllo costante del territorio, anche nel periodo in cui, una volta arrestato, era rinchiuso in clinica psichiatrica. Mentre a Roma scorreva il sangue fra gambizzazioni, omicidi, estorsioni e fiumi di droga si riversavano nel quadrante est della città. Questa mattina, i carabinieri del Nucleo Investigativo della Capitale hanno arrestato 28 persone (di cui 24 erano a piede libero) che ruotano intorno al suo clan e che negli anni ne hanno fatto da “viceré” sui vari territori della città. Fra questi sodali Ugo e Domenico Di Giovanni, per la zona Tiburtina-Prenestina, Davide e Guido De Gregori (quest’ultimo deceduto) per i quartieri Tuscolano-Cinecittà e Maurizio Monterisi, per l’area di Tor Bella Monaca. Il 63enne originario di Afragola è considerato “il capo indiscusso” della camorra romana e “dell’omonimo cartello del narcotraffico operante sulla Capitale”, come si legge nell’ordinanza di custodia cautelare. Oggi è in carcere in regime di “alta sicurezza”. Nelle carte, fra i fatti citati, viene ricordato anche il ruolo di Senese nell’omicidio di Giuseppe Carlino, avvenuto nel 2001.
La “federazione” e la “reggenza” del boss Mimmo – Si tratta, in generale, di fatti risalenti soprattutto al periodo tra il 2011 e il 2013, dunque in gran parte registrati prima della stagione delle operazioni antimafia nella Capitale, iniziati con l’arrivo alla Procura di Roma, nel marzo 2012, di Giuseppe Pignatone. Pur essendo alcune dinamiche “anacronistiche”, dunque, l’operazione secondo gli inquirenti è stata utile innanzitutto per condurre in carcere gli affiliati a piede libero – in gran parte con l’applicazione del reato aggravato del metodo mafioso – e, in seconda battuta, per “confermare e rafforzare gli impianti accusatori nei confronti di Senese e del suo clan”, spiegano gli investigatori a Ilfattoquotidiano.it. Anche perché oltre a Michele ‘O’ Pazz’, l’ordinanza colpisce anche il padre Vincenzo, 84 anni, il fratello Angelo, 58 anni, e il figlio Vincenzo, 43 anni. Negli atti dell’inchiesta viene documentato come nel periodo di ‘reggenza’ del clan da parte di Domenico Pagnozzi, il boss di San Giovanni a Teduccio federato con i Senese – recentemente condannato a 30 anni di carcere – la famiglia di Michele incassava un cospicuo “mantenimento” da parte dei luogotenenti Di Giovanni e De Gregori. Fra i principali indagati spunta anche Maurizio Salvucci, noto alle cronache cittadine per aver subito un tentato omicidio nel 2019, davanti al Petit Bar nel quartiere Don Bosco, sempre zona Cinecittà.
Il ruolo di ‘Diabolik’: “Mo vedi che saltano i menischi” – Fra guardaspalle, colonnelli e personaggi incaricati di sovrintendere al mercato della droga e al riciclaggio nel mercato “legale”, se non fosse stato assassinato il 7 agosto 2019 sarebbe finito in carcere anche Fabrizio Piscitelli, noto come ‘Diabolik’, il capo ultras della Lazio che in quel periodo era a capo di un gruppo affiliato ai Senese ma non aveva ancora raggiunto lo spessore criminale ipotizzato dai fatti del dicembre 2017, quando con i principali boss di Roma in carcere (Senese, ma anche Salvatore Casamonica e Romoletto Spada) si fece garante della seconda pax mafiosa di Ostia. “Sta venendo Diabolik, hai capito chi è Diabolik? È Fabrizio”, diceva Davide De Gregori a Alvaro Nicoli, un altro personaggio che si incastra nella catena del sodalizio, il quale risultava avere un credito con altre persone per conto del clan. “Mo senti li botti amico mio – si legge nelle intercettazioni – Già stasera ho specificato con il capo dei laziali, mo’ domani partono i primi menischi… Mo te faccio vede”. Nei due capi di imputazione che lo riguardano, Piscitelli è accusato di aver contribuito all’acquisto e alla vendita sul territorio di ben 158 chili di hashish, solo nell’anno 2013, in seno al sottoclan gestito proprio da De Gregorio.
L’estorsione ai danni di Fabrizio Cherubini e Alessia Fabiani – Senese e Di Giovanni sono coinvolti in molte delle storie raccontate dalle carte dell’inchiesta. Fra queste, le presunte “gravi minacce” ed estorsione ai danni di Fabrizio Cherubini, imprenditore romano nel settore della ristorazione e noto alle cronache rosa per essere stato a lungo il compagno della showgirl Alessia Fabiani. Cherubini e Fabiani non sono indagati. Nel relativo capo d’imputazione si apprende che i due si erano rivolti a tale Antonino Mauro, “soggetto legato al clan Contini di Napoli”. Gli uomini di Di Giovanni reclamavano nei confronti di Cherubini un credito pari a 45.000 euro, “derivante dal presunto mancato pagamento del corrispettivo per la cessione delle quote di proprietà delle società denominate Cherubini Palma Srl e Caffè Cherubini Palma srl, a favore” dell’imprenditore. Il clan, “mediante minacce” quali la “prospettazione della possibilità di far chiudere l’attività commerciale della parte offesa”, “pretendere il pagamento di 5.000 euro per ogni giorni di ritardo nella restituzione di quanto dovuto” e “prospettare la loro appartenenza a un gruppo criminale”, hanno costretto Cherubini a pagare “una somma imprecisata di denaro”.