Libri ‘mastri’ in cui erano annotati i nomi dei lavoratori e il loro compenso, non più di 25-30 euro al giorno. Spesso una parte o persino la totalità del corrispettivo veniva trattenuta dagli sfruttatori. Chi si lamentava, era vittima di spietate spedizioni punitive. Si tratta di cittadini pachistani che versavano in stato di bisogno e venivano sfruttati in aziende agricole di Caltanissetta e provincia da loro connazionali, anche col sistema del caporalato. Durante la notte, i carabinieri e la polizia hanno sgominato la banda e hanno arrestato 12 persone, di cui una ai domiciliari, in esecuzione di un’ordinanza restrittiva emessa dal gip di Caltanissetta su richiesta della locale Procura. Sei di loro sono anche accusati dell’omicidio di Adnan Siddique, ucciso lo scorso 3 giugno dopo che si era ribellato ai caporali denunciandoli.
Gli arrestati sono indagati, a vario titolo, per associazione a delinquere finalizzata al caporalato, estorsioni, sequestro di persona, rapine, lesioni aggravate, minacce, violazione di domicilio, violenza o minaccia per costringere a commettere un reato. Secondo l’accusa, il gruppo, formato da pachistaini da tempo residenti nel centro della città, “agendo con metodo paramafioso, ha assoggettato la comunità di appartenenza sottoponendola a un regime di vessazione e terrore e sfruttandola professionalmente al fine di assicurare all’associazione continuità nel tempo”.
L’indagine, denominata “Attila”, ha preso avvio dopo numerose denunce presentate da altri pachistani alla polizia e ai carabinieri di alcuni paesi vicini, come Milena e Sommatino. Gli episodi di violenza, sottolineano gli investigatori, hanno permesso “di acclarare l’esistenza di una vera e propria associazione per delinquere”, finalizzata a imporre la propria egemonia sul territorio e rafforzata “dal costante ricorso a condotte minatorie e violente di elevatissimo allarme sociale”.
Leader del gruppo era Mahammad Shoaib che reclutava la manodopera. I connazionali venivano offerti ai titolari di aziende agricole “in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori”. Il compenso “si aggirava sui 25-30 euro al giorno, e trattenevano per sé una parte o persino la totalità del corrispettivo”. Chi si lamentava era vittima di spedizioni punitive, come un nigeriano colpito a colpi di bastone e spranghe per avere chiesto la sua paga. Coinvolti nell’indagine anche i titolari delle imprese agricole dove i pachistani venivano condotti a lavorare. Costoro, sottolineano carabinieri e polizia, “trovavano conveniente rivolgersi ai caporali perché consapevoli che nessuna denuncia sarebbe mai potuta intervenire a danneggiarli, proprio per le condizioni di sfruttamento dei lavoratori”.
Tra le violenze emerse dalle denunce, c’è anche l’omicidio del pachistano Adnan Siddique, commesso la sera del 3 giugno scorso, che si era ribellato denunciando i suoi caporali. Poi, ci sono le minacce di morte ricevute da un lavoratore con un coltello puntato alla gola. La vittima, sequestrata per tre ore, è stata costretta a chiamare il padre nel suo Paese di origine per farsi mandare 5mila euro come ricatto per la sua libertà. In un’altra occasione, il gruppo ha aggredito una donna nigeriana con suo figlio di un anno, rapinandola di 200 euro. Il marito della donna è stato picchiato con calci e pugni. Agli accusati è contestata anche un’irruzione con pistola e coltelli in una comunità per minorenni, dove il gruppo ha picchiato due ospiti che avevano avuto un banale diverbio con un altro ragazzino. È stato quest’ultimo che aveva chiesto l’intervento del “boss” della banda per punirli.