di Maurizio Donini
Se è vero che la crisi economica è figlia di quella sanitaria, è indubbio che gli effetti siano non meno importanti, soprattutto per una larga fetta della popolazione che ne viene direttamente toccata. Interessante è analizzare la dinamica del Pil, partendo da un indice 100 si assiste a una moderata caduta nel I trimestre 2020 (-2,5% Usa, -4,5% Eu), con un crollo verticale nel II trimestre (-14,2% USA, -15,1% EU). Diverso l’andamento del Pil cinese che è stato caratterizzato da una tempistica anticipata, -10% nel I trimestre e -1,9% nel II trimestre.
La risposta dei governi si è svolta attraverso una serie di policies volte al sostegno dei lavoratori, delle imprese. In questa occasione le istituzioni europee hanno dimostrato di avere ampio margine di manovra mettendo in campo tutta una serie di interventi a sostegno dell’economia, cosa non avvenuta in passato.
I dati presentati dagli analisti sono tutti concordi nel valutare una caduta rapidissima seguita da una ripresa lenta, così come sono aumentati in maniera decisa i debiti pubblici, parallelamente agli utili delle banche centrali, derivanti massimamente dall’acquisto di titoli sovrani. L’acquisto di titoli di stato da parte dell’Eurosistema comporta che il debito pubblico in mano a soggetti privati aumenti, ma in misura estremamente limitata, conseguenza ovvia del fatto che il nuovo debito sia in mani istituzionali è l’allentamento della tensione sul debito pubblico con effetti benefici sullo spread.
Le criticità di un debito sono l’interesse e il rifinanziamento: in questo il primo fattore è prossimo allo zero, mentre il secondo prevede l’automatico rifinanziamento del debito da parte della Bce. Questi sono i motivi che sconsigliano un ipotetico taglio del debito pubblico: questo incrinerebbe la fiducia degli investitori sull’affidabilità senza nessun effetto positivo sotto il profilo del conto economico. Sarebbe oltretutto necessario cambiare i trattati, mentre l’unico dubbio futuro sul rifinanziamento del debito potrebbe essere un eventuale contenzioso sulle capital key della Bce, ma a oggi tutto ciò appare quanto mai improbabile.
Molto grave rimane la forbice tra l’Italia e gli altri paesi Ue. Dopo la crisi 2008 il nostro paese ha avuto una risalita decisamente inferiore a quella degli altri paesi europei: il nostro paese è l’unico che a fine 2019 non aveva ancora recuperato ancora i livelli pre-crisi. La situazione è destinata a peggiorare, si stima che tra i paesi più colpiti dalla crisi come Germania, Francia e Spagna avranno un rimbalzo decisamente più forte della nostra economia, allargando ulteriormente la forbice a nostro sfavore.
In merito agli aiuti europei è bene ricordare che alcuni di questi interventi prevedono delle garanzie da parte dello stato, ovvero è necessario versare alcuni miliardi per averne molti di più a prestito, di norma si parla di un 25%, grosso modo 10 miliardi nel 2021.
Lo stimolo fiscale messo in atto dal governo italiano non si è tradotto in spesa, ma in risparmio: il paese ha reagito alla crisi aumentando gli accantonamenti e tagliando le spese, in linea con quanto accaduto in passato, ma non positivo per superare l’attuale emergenza. L’aumento registrato sui conti correnti degli italiani, pur in presenza di tassi negativi, dimostra scarsa fiducia nel futuro, sommandosi a una cronica ignoranza delle possibilità di investimento che, altro difetto italico, si lega a una marcata sfiducia verso i promotori bancari.
La propensione al consumo è calata molto di più nei decili delle famiglie ad alto reddito trasferendo la minor spesa al risparmio. La previsione del Pil è di trovarsi nel 2023 sotto di 5 punti rispetto l’outlook di gennaio 2020. La speranza è che con i fondi europei si possa fare un salto di produttività, ma sarà necessario un grande sforzo progettuale per sfruttare l’occasione e puntare su crescita demografica, bisogni delle famiglie, un nuovo welfare e progressi nella green economy e tecnologie avanzate.