Undici anni, 32 morti e numerosi feriti dopo, la strage di Viareggio approda in Cassazione, dove l’udienza è fissata per oggi, mercoledì 2 dicembre. Completa innocenza: è quella che hanno dichiarato tutti gli imputati, dai manager di spicco del gruppo Ferrovie dello Stato, agli operai delle società della manutenzione del carro di gpl che deragliò la notte del 29 giugno 2009. Solo i reati di omicidio colposo plurimo e di disastro ferroviario sono rimasti in piedi. Gli altri, come le lesioni colpose plurime gravi e gravissime e l’incendio colposo, sono già prescritti. La sentenza è attesa entro il 5 dicembre. Se la Cassazione dovesse confermare le condanne della Corte d’Appello di Firenze, per gli imputati si aprirebbero subito le porte del carcere. A difenderli, un dispiegamento di principi del foro. Spicca, tra i legali di Mauro Moretti, il nome di Franco Coppi, già difensore di Giulio Andreotti e Silvio Berlusconi, mentre per alcune società di Ferrovie ci sarà l’avvocata Paola Severino, ex ministro di Giustizia.
L’aggravante e il rischio prescrizione – Dall’ex amministratore delegato di Ferrovie dello Stato Mauro Moretti, unico ad aver rinunciato alla prescrizione per uno dei reati a lui contestati, le lesioni, all’ex a.d. di Trenitalia Vincenzo Soprano, tutti attenderanno la sentenza in privato. L’aula, infatti, è stata riservata ai difensori, a causa del Covid. Per la prima volta, nemmeno i familiari delle vittime prenderanno parte all’udienza. Guidati da Marco Piagentini, uomo simbolo della strage, che nel disastro riportò ustioni sulla quasi totalità del corpo e perse la moglie Stefania Maccioni, e i figli Luca, 4 anni, morto in ospedale per le ustioni, e Lorenzo, 2 anni, carbonizzato, i familiari hanno chiesto la diretta online, ma la domanda non è stata accolta. Tra gli scenari possibili, c’è anche quello per cui la Cassazione non riconosca l’aggravante dell’incidente sul lavoro, sostenuta dai giudici in appello, aggravante che finora ha evitato la prescrizione per il reato di omicidio colposo plurimo. Se l’aggravante cadesse, quindi, sparirebbe anche il reato, così come le relative condanne.
Il nodo holding e la riforma Bonafede – Ad attendere la sentenza ci sono pure le holding italiane, cioè quelle galassie di imprese che fanno capo a una società madre e per le quali la condanna di Moretti come a.d. di Ferrovie dello Stato costituirebbe un precedente. Se la Cassazione condannasse Moretti, gli amministratori delle holding in generale diventerebbero così responsabili di eventuali reati commessi anche all’interno delle società controllate, e non solo nella società madre da loro presieduta, come ha denunciato di recente Assonime, la società delle Società per Azioni italiane. Al di là dell’esito del processo, grazie alla battaglia dei familiari il processo di Viareggio ha dato spinta al dibattito sulla riforma della prescrizione, fino a dare il nome alla legge voluta dal ministro di Giustizia Alfonso Bonafede, ribattezzata appunto ‘legge Viareggio’, che ferma lo scorrere della prescrizione dopo la sentenza di primo grado. “Lo Stato deve dire grazie quotidianamente” ai familiari delle vittime della strage di Viareggio che “ogni giorno nel loro dolore rappresentano un esempio di cittadinanza attiva”, ha dichiarato Bonafede, in visita a Viareggio, nell’ultimo anniversario del disastro.
I fatti di quel 29 giugno – È il 29 giugno del 2009, intorno alla mezzanotte, quando un treno carico di gpl, partito da Trecate e diretto a Gricignano, attraversa a 90 chilometri all’ora la stazione di Viareggio, in mezzo al centro abitato. Un assile, cioè la parte del carrello sotto la cisterna che collega due ruote, arrugginito ma coperto in quel punto da più mani di vernice, si spezza. Aveva superato tutti i controlli. La cisterna deraglia e, ancora in corsa, impatta su un elemento della ferrovia, probabilmente un picchetto, cioè un pezzo di ferro tagliente piantato in verticale al lato dei binari, usato in passato per regolarne la direzione. Una parte inutile e pericolosa, e che come tale doveva essere eliminata. L’elemento squarcia la cisterna rovesciata. Il macchinista, capendo quello che sta per succedere, scappa e dà l’allarme. Il gpl, fuoriuscendo dalla cisterna, si espande fuori dalla ferrovia, fin nelle strade e nelle case vicine. Le finestre aperte, in una delle prime sere d’estate, accolgono il gas azzurrino nei salotti, nelle camere dei bimbi, nella sede della Croce Verde, fino a che una scintilla, un’energia minima, come quella di un interruttore che si accende, non innesca un flash fire, una palla di fuoco alta più dei palazzi, visibile da tutta la Versilia. Tra l’incidente e il flash fire passano appena pochi minuti. Un’esplosione sveglia la città. Il cielo si tinge di rosso, l’incendio è diffuso: dalle tapparelle delle case, ai pini, di qua e di là dalla ferrovia. Nessuno capisce cosa sia successo, fino a quando i primi vigili del fuoco, ancora disinformati, non si recano sul posto. Moriranno 32 persone, tra cui 3 bambini, quella notte, ma anche a distanza di mesi. Per la Corte d’Appello di Firenze, Rete Ferroviaria Italiana non aveva un piano di valutazione del rischio del trasporto di merci pericolose neppure attraverso i centri abitati.
Le pene in appello – Omicidio colposo plurimo e disastro ferroviario sono contestati a Mauro Moretti, condannato in appello a 7 anni sia come a.d. di Fs che di Rete Ferroviaria Italiana, perché sarebbe stato responsabile della carenza tecnica degli investimenti per la sicurezza della rete ferroviaria diretta anche tramite l’azienda madre, Fs appunto. Michele Mario Elia, ex a.d. di Rfi, è stato condannato a 6 anni, proprio come Vincenzo Soprano, ex a.d. di Trenitalia. La Corte d’Appello aveva confermato le condanne anche a Mario Castaldo (6 anni), ex a.d. di Cargo Chemical (gruppo FS), e ai funzionari di Trenitalia Francesco Favo (4 anni), Daniele Gobbi Frattini, Emilio Maestrini (entrambi 6 anni e 6 mesi). I giudici di Firenze aveva stabilito 6 anni e 6 mesi anche per Paolo Pizzadini, capo commessa di Cima Riparazioni, l’azienda mantovana che, 4 mesi prima del disastro, aveva revisionato il carro. Condannati anche Joachim Lehmann (7 anni e 3 mesi), il supervisore dell’Officina Jugenthal di Hannover, in Germania, che aveva controllato il carro, così come per il suo collega, Rainer Kogelheide (8 anni e 8 mesi). Anche gli operai Jugenthal sono stati condannati: Andreas Schroter, Uwe Kriebel e Helmut Brodel (tutti a 6 anni e 10 mesi). Condannati in appello anche i dirigenti di Gatx, proprietaria del carro: l’ex a.d. di Gatx Germania Peter Linowski (8 anni e 8 mesi), Johannes Mansbarth, ex a.d. di Gatx Rail Austria e Roman Mayer, responsabile manutenzione flotta carri merci (entrambi 8 anni). Condannate anche alcune società: Trenitalia e Rfi (700mila euro), Gatx Rail Austria, Gatx Rail Germania e Jugenthal Waggon (400mila euro). Assolte in secondo grado invece le società Ferrovie dello Stato, Fs logistica, Cima Riparazioni, così come gli imputati Giovanni Costa, Alvaro Fummi, Enzo Marzilli, dirigenti e tecnici di Rfi, oltre a Giulio Margarita, ex dirigente della direzione tecnica di Rfi.