Lo scontro a livello europeo sulla clausola dello Stato di diritto applicata all’erogazione dei fondi del Recovery Fund per il contrasto alla pandemia di coronavirus si estende fin dentro la più grande famiglia politica a Bruxelles, il Partito Popolare Europeo. Tra dichiarazioni di fuoco, scandali sessuali e una sintonia ormai rotta da anni tra le varie anime della formazione, oggi è il presidente del Ppe ed ex capo del Consiglio Ue, Donald Tusk a inasprire lo scontro in atto: “Che cosa deve fare ancora Fidesz perché tutti voi vediate che semplicemente non è adatto alla nostra famiglia?”, ha scritto il leader polacco sul suo profilo Twitter.

Un intervento che si inserisce nella lotta interna, entrata nel vivo, per la cacciata del partito di Viktor Orban dal Ppe. La famiglia è divisa tra chi, nell’ala più liberale, già da marzo chiede l’espulsione degli eurodeputati ungheresi e chi, invece, teme che un’uscita prematura provocherebbe un contraccolpo a livello di rappresentanza in Parlamento Ue che penalizzerebbe innanzitutto i Popolari. Le politiche e le dichiarazioni del premier di Budapest sono malviste dalla maggioranza dei membri, spiegano fonti interne a Ilfattoquotidiano.it, ma la minaccia di Orban dei mesi scorsi ha convinto la maggior parte di loro a rimanere su posizioni più attendiste: il leader magiaro aveva infatti spiegato ai suoi compagni di partito che un’eventuale uscita dei 13 rappresentanti ungheresi avrebbe dato il via alla creazione di una nuova entità di destra nel panorama europeo, formata dai membri del gruppo Ecr, gli orbaniani e altri parlamentari Ppe disposti a seguire il premier magiaro che, così, riuscirebbe a sfilare in un colpo solo ai Popolari circa 25-30 eurodeputati, allontanando anche l’ipotesi di un’entrata nel gruppo dei membri della Lega, da mesi uno dei principali obiettivi del Ppe.

Fidesz è sospeso dal Ppe ormai da marzo 2019 e per arrivare all’espulsione manca solo il voto all’assemblea del partito, ma questo, secondo statuto, può avvenire solo in presenza e, quindi, è stato continuamente rimandato, dato che le riunioni si tengono tutte in videoconferenza. Sfruttando questa impasse, raccontano a Ilfattoquotidiano.it fonti del partito informate dei fatti, Orban ha messo in campo una strategia per convincere i membri dei partiti che reputa più vicini a lui a rimandare la decisione dopo il congresso della Cdu tedesca, in programma il 4 dicembre ma rimandato a non prima di fine gennaio a causa del Covid, nel corso del quale sarà nominato il nuovo leader: la speranza di Budapest è che a spuntarla sia Friedrich Merz, personalità di rottura rispetto alla gestione di Merkel e di Kramp-Karrenbauer che sposterebbe decisamente a destra il baricentro del più grande e importante membro del Ppe, permettendo così un graduale reinserimento di Fidesz.

Il processo per spingere gli uomini di Orban fuori dal partito e dal gruppo ha però subito un’accelerazione nelle ultime settimane. Pochi giorni fa, i 13 partiti che si erano già espressi ad aprile sono tornati a scrivere al capogruppo al Parlamento Ue, Manfred Weber, per chiedere la cacciata di Fidesz. Martedì, poi, gli ungheresi hanno perso un loro esponente di spicco in Europa come József Szájer, dimessosi dopo lo scandalo a luci rosse che ha investito Bruxelles e che oggi ha lasciato anche il partito di Orban. Nei giorni immediatamente precedenti, inoltre, membri del Ppe hanno di nuovo scritto a Weber per chiedere la cacciata di un altro eurodeputato di Fidesz, Tamás Deutsch, colpevole di aver paragonato la clausola sullo Stato di diritto, sulla quale la maggior parte del partito è d’accordo, alla repressione nazista e comunista.

Un capitolo, quest’ultimo, che ha conosciuto oggi una nuova evoluzione. Gli eurodeputati Popolari sono stati chiamati a firmare la lettera, che Ilfattoquotidiano.it ha potuto visionare, per chiedere la cacciata di Deutsch, nel tentativo di raggiungere un numero sufficiente per giustificarne l’espulsione. Iniziata nella mattinata di mercoledì, nel pomeriggio dello stesso giorno, con la deadline fissata alle 12, le firme raccolte erano solo 30 su 169 eurodeputati (se si escludono i 13 di Fidesz), tra cui quella del promotore dell’iniziativa, Othmar Karas, austriaco vicepresidente del Parlamento Ue. Troppo pochi per raggiungere l’obiettivo, soprattutto se si tiene conto che mancano quasi tutti i rappresentanti dei principali partiti che formano il gruppo Ppe a Bruxelles, tedeschi in testa, tanto che la nuova scadenza è stata spostata ai prossimi giorni.

La questione sarà comunque discussa nel corso della riunione di presidenza del gruppo tra Weber e i suoi nove vice, ma un’eventuale espulsione di Deutsch potrebbe solcare un confine invalicabile tra Fidesz e il Ppe: se anche lui, che è capo della delegazione ungherese, venisse cacciato, assicurano le fonti a Ilfattoquotidiano.it, Orban non attenderebbe la decisione del partito e abbandonerebbe sia il Ppe che il relativo gruppo nel Parlamento europeo.

Twitter: @GianniRosini

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