I giudici della Libertà hanno disposto per il top manager l'interdizione. Il quadro probatorio è rimasto intatto. I i magistrati sottolineano inoltre come la qualificazione giuridica dei fatti non sia stata “avversata in alcun modo dalla difesa”
Libero e interdetto, ma solo perché non è più amministratore delegato. Giovanni Castellucci, secondo il Riesame di Genova che ha revocato gli arresti domiciliari al top manager ex numero uno di Autostrade, “emerge un quadro di totale mancanza di scrupoli per la vita e l’integrità degli utenti delle autostrade”. “L’avvenuta dismissione – secondo i giudici – da parte di Castellucci, di tutte le cariche nel gruppo al quale fa capo Autostrade per l’Italia, accompagnata dall’interdizione per un lungo periodo da qualsiasi attività professionale e societaria, impedendogli “nuove scalate” imprenditoriali, lo priva chiaramente” della “possibilità di sistemare i ”fedeli” in posti appetibili”. Potere di cui l’ex numero uno di Aspi e Atlantia si servì per convincere Paolo Berti, ex direttore centrale delle operazioni, a mentire, secondo la procura di Genova, in suo favore nel processo sulla strage del bus di Avellino, facilitandone l’assoluzione. Castellucci, arrestato l’11 novembre scorso nell’ambito delle indagine sulla mancata manutenzione delle barriere autostradali, è stato liberato ma a leggere le 30 pagine di motivazione il quadro probatorio ne suoi confronti è rimasto intatto. Il collegio – composto dai giudici Massimo Cusatti, Cristina Dagnino e Valentina Vinelli – ha sostituito la misura con l’interdizione di un anno dall’attività di ingegnere e dalla possibilità di ricoprire incarichi pubblici. Il Riesame ha confermato in pieno il quadro probatorio così come da ordinanza di arresto, ritenendo però assente, in questo momento, “l’attualità dell’esigenza” cautelare che giustificherebbe gli arresti domiciliari.
“Dalle indagini in atti – si legge nel provvedimento – sono emersi gravi difetti di parte delle barriere utilizzate e, soprattutto, gravi difetti di progettazione della loro posa in opera, con una conseguente situazione persistente di insicurezza della rete autostradale (…) alla quale a lungo non è stato posto rimedio o sono stati posti solo rimedi limitati ed inadeguati, pur nella consapevolezza della pericolosità della situazione creata”. Condotta, questa, frutto di una precisa scelta dei vertici di Aspi, che nel corso degli anni “realizzavano la politica imprenditoriale, gradita agli azionisti, della massimizzazione dei profitti a scapito della sicurezza degli utenti”. Così, la consulenza tecnica di parte affidata dai pm al super-ispettore del Ministero dei trasporti Placido Migliorino evidenziava “frequentissime gravi criticità presenti sia per lunghi tratti della autostrada A12 e, in particolare, in moltissimi viadotti, sia sulla A10, ma anche sulla A7 e sulla A26”. In particolare, Autostrade non verificava in modo adeguato (e talora non verificava affatto) la resistenza delle barriere all’azione del vento, concausa, insieme all’uso di materiali di costruzione scadenti, dei due cedimenti sui viadotti dell’A12 Rio Castagna e Rezza tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017. A seguito dei crolli la Direzione dei lavori di Aspi predispose perizie di variante per risolvere le criticità, ma “tacendo qualsiasi riferimento all’errore progettuale e all’uso di materiali non certificati, unicamente facendo riferimento a difetti di posa in opera e fenomeni meteorologici di carattere eccezionale”. Inoltre, su diverse tratte non erano eseguiti i collaudi statici delle barriere, “che, quindi, non avrebbero dovuto nemmeno essere messe in esercizio”.
Per quanto riguarda Castellucci, la sua “piena consapevolezza della inadeguatezza e pericolosità delle barriere”, secondo i giudici, “emerge poliedricamente da una serie di elementi ben delineati” nell’ordinanza del gip. La strategia di risparmio sulle manutenzioni ideata dagli altri due dirigenti di Aspi finiti ai domiciliari (Berti e Michele Donferri Mitelli, ex responsabile manutenzione e investimenti), e condivisa dall’ex ad, consisteva “nel limitare un intervento di rinforzo unicamente a pochi tratti, tra i quali ovviamente quelli dove vi era stato il cedimento, imputandolo falsamente a un vento eccezionale e a un mero difetto di montaggio, evitando così comunicazioni e acce11amenti che avrebbero determinato la constatazione dell’inadeguatezza del progetto” di tutte le barriere dello stesso modello presenti lungo la rete. Sulle altre tratte, invece, ci si limitava ad abbattere la parte superiore delle barriere, le cosiddette “ribaltine”, in modo da portarle ad una altezza di 3 metri, per attenuare gli effetti della pressione del vento e da diminuire parzialmente il pericolo di crollo: omettendo, però, “di riferire allo Stato e ai terzi la vera ragione di tali interventi”, cioè il difetto di progettazione, e spiegandoli invece come dovuti a “inesistenti esigenze di manutenzione”. Uno stratagemma, scrive il Riesame, “articolatamente fraudolento, integrato da occultamenti e falsità, volto a un notevolissimo risparmio di spesa e a nascondere allo Stato l’inidoneità e pericolosità delle barriere”.
La complicità di Castellucci nel “piano” di Donferri e Berti si coglie, secondo il collegio, in particolare dalla conversazione tra Gianni Mion (ad di Edizione, la “cassaforte” dei Benetton che controlla Atlantia) e il professore della Bocconi Giorgio Brunetti. Nel dialogo “viene ricordato come Castellucci volesse compiacere con le proprie scelte Gilberto Benetton, anima finanziaria del gruppo, seguendo la strategia del massimo profitto e della minima spesa, con manutenzioni sempre in calare per potere distribuire più utili e soddisfare Benetton e il suo gruppo famigliare, azionisti delle società del gruppo di cui fa parte Aspi”.
Rispetto alle ipotesi di reato – frode in pubbliche forniture e attentato alla sicurezza dei trasporti – formulate dalla procura a carico di Castellucci, Berti e Donferri, i magistrati sottolineano come la qualificazione giuridica dei fatti non sia stata “avversata in alcun modo dalla difesa”, specificando come in questa fase la contestazione sia “ancora suscettibile di approfondimenti e specificazioni, con evidente formulazione di un completo e articolato capo di imputazione solo al termine delle indagini”. Il Riesame giudica “concreto e attuale”, nonostante il venir meno dei rapporti di Castellucci sia con Aspi che con Atlantia, il pericolo di reiterazione di reati simili: “Oltre alla gravità dei fatti descritti – si legge – Castellucci è indagato sia nell’indagine relativa al crollo di ponte Morandi, sia nella vicenda relativa alla lacunosa manutenzione del sistema di gallerie”, sia, ancora “per tentata truffa, per avere cercato, insieme ai complici, di imputare molti dei costi relativi al ripristino della sicurezza sotto una voce convenzionale diversa dal dovuto”, per diminuire i debiti di Aspi con lo Stato, sempre allo scopo di arricchire l’azienda.
Inoltre, il manager è ancora imputato – sebbene assolto in primo grado – nel processo sulla strage di Avellino, in cui 40 persone persero la vita per la caduta di un pullman da un viadotto autostradale. Un quadro – conclude il Riesame – che fa emergere “la persistente totale mancanza di scrupoli per la vita e l’integrità degli utenti delle Autostrade, compiendo azioni ed omissioni in concorso relative a praticamente tutti i tipi e gli oggetti di manutenzione ed adeguamento nell’ambito della gestione, condotte volte tutte a una poliedrica e persistente politica del profitto aziendale, soprattutto risparmiando le spese dovute, ma anche cercando a imputarle a capitoli non pertinenti perché potessero essere in parte detratte dai debiti verso la controparte, perseguito anche attraverso condotte delittuose. E “neppure può dirsi che le condotte illecite siano state da lui tenute solo nell’interesse di terzi, in quanto i soddisfatti azionisti di maggioranza avevano modo di compensarlo adeguatamente con “rilevantissimi compensi economici” e “la partecipazione ai piani di incentivi triennali, la cui remuneratività non risulta specificata, ma con i quali si manifestava il particolare “gradimento” da parte degli azionisti per gli utili distribuiti”.
Il “perseguimento degli interessi del gruppo”, si legge ancora nell’ordinanza, emerge chiaramente “con manovre coinvolgenti anche i massimi vertici politici poco dopo il crollo di ponte Morandi”, quando Castellucci è ancora ai vertici di Aspi: il riferimento è alla telefonata con il governatore ligure Giovanni Toti in cui il manager cerca “accordi di scambio ad altissimo livello”, promettendo il contributo al salvataggio di Carige da parte degli azionisti di Atlantia, in cambio della “mancata revoca da parte dello Stato della concessione della gestione delle autostrade al gruppo”. E anche dopo la fine del mandato, Castellucci ha “mantenuto e cercato di mantenere un ruolo rispetto ad almeno parte del gruppo societario del quale fa parte Aspi (Atlantia, ndr), che presenta partecipazioni in vari settori, con conseguente possibilità (…) di inserirsi in altre imprese in ottica lobbistica”. Come tentò di fare proponendosi come presidente di Alitalia all’amministratore delegato di Lufthansa, “ricevendone peraltro il gradimento”, nell’ottica di un’eventuale fusione tra le compagnie aeree. “Con incredibile arroganza”, nota il Riesame, nella conversazione intercettata con Joerg Michael Eberarth, amministratore di Air Dolomiti (controllata di Lufthansa) Castellucci “indica i possibili soggetti per le più alte cariche, compreso l’interlocutore. Circa colui che rivestirà il ruolo di amministratore delegato, precisa che dovrà essere di sua personale conoscenza, proponendo una rosa di candidati”.
Soprattutto, “il riesaminato (Castellucci, ndr), avvalendosi della facoltà di non rispondere in sede di interrogatorio di convalida, non ha contrastato la complessa ricostruzione operata” da procura e gip. Per contrastare il pericolo di reiterazione del reato, tuttavia, il Riesame considera “sufficiente una protratta ed articolata misura interdittiva, in modo da impedire le occasioni di possibile reiterazione di analoghe condotte”. Mentre “non si ritiene attuale e sufficientemente concreto il pericolo di inquinamento probatorio”, perché, nonostante i “collegamenti di alto livello dell’indagato”, mancano elementi “per poter desumere almeno il tentativo di loro utilizzo ai fini di inquinamento nelle presenti indagini”. E non bastano a integrare quel pericolo nemmeno i contatti tra Castellucci e Berti all’indomani della sentenza di Avellino, in cui il primo fu assolto e il secondo condannato a 5 anni e 6 mesi. “Berti e Castellucci – scrivono i giudici – erano stati difesi nel processo di Avellino seguendo una linea comune, che mirava a non far emergere che i vertici di Aspi fossero informati circa vicende di cattiva manutenzione di ciascun tronco. Castellucci si è avvantaggiato di tale linea difensiva, che ì verosimilmente ha contribuito a determinarne l’assoluzione in primo grado”. Nelle ricostruzioni della procura, Castellucci avrebbe ricompensato Berti con cospicui aumenti di stipendio. “Ma oggi – conclude il collegio – manca l’attualità dell’esigenza, se basata solo su tale pregressa condotta”, perché Castellucci “non può più garantire il bene usato come incentivo e, cioè, la continuità lavorativa o comunque la sistemazione lavorativa di alto livello”.
“I contenuti relativi alla pretesa responsabilità a carico dell’ingegnere Castellucci, riferiti nell’ordinanza del tribunale, rappresentano una valutazione puramente indiziaria e non costituiscono un giudizio di merito il quale sarà affidato al giudice del dibattimento dinanzi al quale il dottor Castellucci dimostrerà la sua piena estraneità ai fatti“. Così il professore avvocato Adolfo Scalfati e l’avvocato Carlo Longari, legali dell’ex amministratore delegato di Aspi e Atlantia, commentano la decisione. “Si rimarca, inoltre, che le valutazioni indiziarie espresse dal tribunale del riesame sono il frutto delle sole produzioni e articolazioni accusatorie: la difesa – continuano di difensori – ha chiesto al tribunale esclusivamente di valutare se l’arresto fosse misura compatibile con la posizione dell’ingegnere Castellucci e non anche di riesaminare il merito della vicenda, considerata l’impossibilità, nei tempi così brevi della procedura di riesame e dinanzi ad un dossier accumulato dall’accusa in un anno d’indagini, di dedurre argomenti e produrre documentazione contrari; la scelta difensiva di omettere ogni replica sulla pretesa responsabilità dell’ingegnere Castellucci è stata peraltro necessitata dal deposito, da parte della Procura della Repubblica, di ulteriori 5600 pagine di atti investigativi effettuato tre giorni prima dell’udienza dinanzi al tribunale di Genova, con intuibile difficoltà di estrarre copia, esaminarli e controdedurre”.