Innanzitutto sgombra il campo dalle illazioni: “Chi rientra nei bollettini del Sars-Cov-2 è morto per Covid-19″. In altre parole: “Se non avesse contratto il virus, oggi sarebbe con ogni probabilità vivo”, scandisce Graziano Onder, responsabile del rapporto sulla mortalità da coronavirus dell’Istituto Superiore di Sanità, nonché capo del Dipartimento malattie cardiovascolari e dell’invecchiamento dello stesso Istituto. Di fronte ai tragici numeri dei decessi dovuti alla pandemia, con oltre 500 morti da settimane, un record il 3 dicembre di 993 vittime e un totale di 58.038 da febbraio ad oggi, il geriatra del policlinico Gemelli di Roma sottolinea: “Avere una delle popolazioni più anziane al mondo incide. E in Italia non si invecchia bene”. Non solo: “Un peso probabilmente lo ha la socialità”. Ma precisa che se si confronta il numero dei morti di questi mesi con i decessi degli anni passati, “l’eccesso italiano è in linea con molti Paesi europei”.

Parliamo di decessi per Covid o col Covid?
Si muore per Covid. Abbiamo rilasciato indicazioni precise, sviluppate dall’Oms, su come si certifica un decesso e con l’Istat abbiamo calcolato l’eccesso di mortalità: a marzo e aprile abbiamo avuto il 40% in più di decessi, che non ci sarebbero stati senza Sars-Cov-2.

Quali criteri vengono usati per stabilire chi è morto per Covid?
La positività del tampone, la presenza di sintomi clinici compatibili come febbre e tosse, l’assenza di causa diverse. Per intenderci: se un positivo è vittima di un incidente con l’auto, non rientrerà tra i morti per Covid. C’è poi un quarto criterio: l’assenza di negativizzazione clinica, ovvero se una persona si è ammalata, si è negativizzata e dopo un mese muore, non è morto per Covid.

Visto il numero di tamponi che si riusciva a fare a marzo e aprile, quindi, probabilmente sottostimiamo il numero di decessi?
Certo, guardando a marzo e aprile, a quanto è successo ad esempio nelle Rsa, il numero totale dei decessi per Covid è sottostimato.

Solo gli anziani muoiono per Covid?
Non solo, ma in grandissima parte sì. Solo l’1% dei deceduti aveva meno di 50 anni. I contagiati più giovani muoiono molto meno.

Anche tra i deceduti più giovani si segnalano malattie pregresse?
Sì, anche tra di loro è molto comune la comorbilità. Avere altre malattie dà una vulnerabilità nei confronti della malattia.

Parliamo in molti casi di patologie cardiovascolari, renali, diabete.
Esatto, quindi senza il Covid avrebbero avuto un’altra aspettativa di vita.

Abbiamo superato le 58mila vittime. Siamo uno dei Paesi al mondo con più decessi e anche per tasso di letalità. È possibile definire le cause?
Il tasso di letalità (il rapporto tra contagiati e deceduti, ndr) non è un buon parametro, abbiamo già spiegato pubblicamente il perché: è influenzato da tanti fattori, tra questi anche quanti positivi si trovano e anche come i Paesi conteggiano i morti. Bisogna piuttosto seguire l’eccesso di mortalità. Questo parametro, che abbiamo calcolato insieme all’Istat, ci dice che siamo in linea con altri Paesi europei: l’Italia si assesta attorno al 40%, come il Belgio. La Spagna è al 60%, la Gran Bretagna al 55, la Svezia al 30. L’unico dubbio arriva dalla Germania che, con una popolazione anagraficamente molto simile alla nostra, registra un eccesso di mortalità del 5%. Sono in attesa di confrontarmi con i colleghi del Robert Koch-Institut (il corrispettivo tedesco dell’Iss, ndr) per provare a chiarire da cosa derivi questa differenza marcata.

Hanno un ruolo anche le abitudini sociali?
Sì, ce l’ha insegnato l’estate: i contatti sociali frequenti sono il vettore di maggior diffusione. Paesi come il nostro, o come la Spagna, sono esposti a maggiori rischi e vivono anche di più la famiglia. A maggior ragione dobbiamo essere bravi a contenere la socialità nei prossimi 2-3 mesi, poi c’è il vaccino, una luce in fondo al tunnel.

Qual è il peso di avere una delle popolazioni più anziane al mondo?
Questo incide molto. La struttura della popolazione ha un fattore di influenza. Anche se resta da chiarire il dato fuori scala tedesco.

I morti hanno solitamente due o più comorbilità. Prima della pandemia curavamo peggio di altri?
Da noi si vive tanto, ma purtroppo non invecchiamo bene. Gli anziani arrivano in età avanzata con notevoli condizioni di disabilità e malattie, questo ha influenzato le prognosi durante la pandemia. E soprattutto deve indurci a riflettere su quanto conti la prevenzione e come sia necessario investire in con campagne sanitarie, compresi i vaccini.

Se si guarda il numero di decessi per 100mila abitanti nelle regioni, ancora oggi si nota un’alta incidenza soprattutto nel nord del Paese. È possibile spiegare il perché?
È tutto influenzato dalla prima ondata, nella quale eravamo meno preparati e l’epidemia era concentrata in quell’area del Paese, mentre il Sud in quel momento è rimasto quasi immune. In questa fase epidemica non è così, la mortalità è più distribuita. Ed è la ragione per la quale non si vedono scene come quella dei carri dell’Esercito carichi di bare che purtroppo sono passati per le vie di Bergamo.

In questa seconda ondata abbiamo già raggiunto il picco dei decessi?
Penso di sì, poiché di solito segue di 2-3 settimane il picco dei contagi. Mi aspetto che a breve inizino a calare.

Negli ultimi giorni il numero delle vittime ha avuto degli sbalzi importanti. Perché i decessi seguono una curva di crescita e calo meno lineare di come succede a contagi e ricoveri?
È una variabilità insondabile. Ma quando scenderanno, lo faranno in maniera consistente. Dobbiamo essere comunque coscienti che caleranno più lentamente rispetto ai contagi.

Si pensa solitamente che la maggior parte dei decessi avvenga in terapia intensiva. È così? I dati forniti dalla Regione Veneto sembrano suggerire il contrario.
Bisogna considerare cosa definiamo terapia intensiva. Esistono anche le sub-intensive e reparti ordinari convertiti nei quali si fornisce assistenza respiratoria, quindi pazienti in condizioni gravi possono essere assistiti anche lì. Di certo oggi a tutti vengono garantite le cure necessarie.

Da un punto di vista della prevenzione cosa si è sbagliato prima della seconda ondata?
Ci stiamo portando dietro gli errori della scorsa estate, quando tra decessi quasi azzerati e calo dei contagi, alcuni comportamenti non sono stati in linea con le raccomandazioni. Non è un caso che negli scorsi mesi il maggior numero dei contagi abbia interessato i più giovani, ovvero la fascia di popolazione che ha una vita sociale più intensa, e poi il virus si è nuovamente diffuso nelle famiglie.

È ragionevole incontrare i nonni durante le festività natalizie o no?
Bisogna usare il buonsenso. Mi spiego: c’è un aspetto emotivo e psicologico del condividere il Natale, ma oggi esiste anche un aspetto di sanitario. Con i nonni, quindi, dico tendenzialmente sì, ma in sicurezza. Quindi tavoli distanziati e mascherine anche in ambiente domestico, compresi i bambini.

Fare il tampone nei giorni precedenti può aiutare?
È una possibilità, ma non può essere una strategia applicabile a 60 milioni di persone per dare una parvenza di normalità al Natale. E soprattutto avere un tampone negativo non esime dal rispettare le norme anti-contagio. Non sarà di certo questo il San Silvestro durante il quale ci potremo baciare sotto il vischio.

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