Sul fronte dell’emergenza sanitaria, la Giunta regionale lombarda – in particolare col contributo del presidente Attilio Fontana (Lega) e dell’assessore al welfare (sta per “Sanità”) Giulio Gallera, di Forza Italia – non è apparsa, per usare un eufemismo, all’altezza della situazione: tra disorganizzazione, ritardi, omissioni, appalti farlocchi, vaccini anti-influenzali introvabili (ma disponibili, a caro prezzo, nelle strutture sanitarie private…), medici di famiglia abbandonati a se stessi, case di riposo riempite insensatamente di malati di Covid e via elencando.
Sono questioni al centro di accesi dibattiti politici, alcune pure di inchieste giudiziarie che, prima o poi, arriveranno al traguardo. Con scambi di accuse tra “governo” regionale e governo nazionale. Tornando tra la gente, l’insoddisfazione, come si usa dire oggi, è bipartisan: nel senso che ci sono persone imbufalite tra chi non vota il centrodestra al potere da un quarto di secolo, ma pure, seppure in misura minore, tra chi lo ha votato. Pesano decine di migliaia di morti lombardi, quasi la metà del totale nazionale.
Tuttavia proprio l’emergenza-Covid ha creato un equivoco. Sembra quasi, a giudicare dai commenti (sui media ufficiali, sui social o persino al bar), che la Giunta lombarda abbia gestito male soltanto (si fa per dire…) questa pandemia, mentre per il resto la sanità regionale è un’eccellenza che ci invidiano tutti nel resto del mondo. Invece non è così.
Semmai l’inefficienza, con risvolti drammatici, di fronte all’emergenza pandemica è anche – forse, soprattutto – la conseguenza del modo in cui negli ultimi 25 anni è stata gestita la sanità: dalla presidenza di Roberto Formigoni (ciellino, berlusconiano ed ex democristiano, guarda caso condannato in via definitiva per mazzette sanitarie) fino a Fontana, passando dal predecessore leghista, Roberto Maroni (di recente entrato nel Cda della maggiore gruppo sanitario privato italiano, il “San Donato”, che possiede tra l’altro l’ospedale milanese San Raffaele).
Se sfugge questo aspetto di fondo – cioè, il modo in cui è stata organizzata la sanità lombarda, con le sue ricadute sulla gestione dell’epidemia e anche sul futuro prossimo – si rischia di sprecare un sacco di energie per prendersela esclusivamente con le recenti drammatiche inefficienze. Inefficienze che piuttosto, sono state prodotte proprio da un’organizzazione della sanità pubblica sempre meno pubblica, concepita a misura di privati e man mano spogliata dei servizi di base – a livello epidemiologico, di medicina di famiglia, eccetera – che avrebbero potuto limitare la stessa diffusione del virus.
Di questi temi parla da tempo – purtroppo piuttosto inascoltata – una grande esperta, con la quale dovrebbero confrontarsi anche anche i partiti attualmente all’opposizione nel Consiglio regionale. Si chiama Maria Elisa Sartor, professoressa a contratto nel Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità dell’Università degli Studi di Milano e docente di Programmazione, organizzazione e controllo nelle aziende sanitarie. Non si è mai tirata indietro, anche a costo di criticare apertamente, dal punto di vista scientifico, il “Sistema sociosanitario lombardo” (Ssl).
Basta fare una chiacchierata con lei per capire meglio e per guardare al futuro, oltre questa emergenza. Proviamoci. “Molti, anche coloro che non sono addetti ai lavori, hanno capito – perché lo hanno vissuto sulla pelle – che cosa significhi non essere al centro, come cittadini, del Servizio sanitario regionale lombardo. Per rimediare, bisogna capire come funziona il sistema”, sbotta.
Ebbene, la professoressa mi spiega che il sistema sanitario della Lombardia di sicuro è unico, ma non brilla tanto per l’eccellenza quanto per il livello di privatizzazione che è stato raggiunto. Come? Grazie alla quota di potere pubblico ceduta dalla Regione al privato, che ovviamente cerca un profitto. La professoressa non usa mezzi termini: “È un sistema in cui la sanità privata, da semplice ‘portatore dei propri interessi’, è divenuta prima un partner paritario del pubblico, poi, di fatto, l’alter ego della Regione. E questo purtroppo è successo anche con l’appoggio di una componente dell’opposizione di sinistra”.
Che cosa succederà dopo la pandemia? Secondo la docente, la sanità privata sta premendo l’acceleratore per ottenere la realizzazione piena della sua vocazione: “Essere incontrastata, anzi ulteriormente facilitata, nei suoi propositi espansivi e, possibilmente, sempre più protagonista come fornitore di servizi sociosanitari”. Per consentirglielo, a livello politico c’è chi sta cogliendo l’occasione della verifica del funzionamento delle strutture base: le Ats, Agenzie di tutela della salute, e le Asst, Aziende socio sanitarie territoriali. Il bello, anzi il brutto […] è che la gente in Lombardia ha percepito questa situazione soltanto “grazie” al Covid-19. Perché prima la sanità lombarda veniva propagandata e spacciata per una macchina super efficiente”.
In questi giorni però ci sentiamo dire, proprio da coloro che hanno creato il sistema, che occorre rilanciare e rinnovare il servizio sanitario regionale. Vero professoressa? Mi risponde: “Già. Dicono, per esempio, che vanno ricostituiti i distretti, proprio quelli che i partiti al governo hanno smantellato. Invece ciò che viene proposto oggi è assai più proteso verso il privato di quanto sarebbe stato prevedibile a partire dalle leggi della Regione Lombardia 31/1997 (governo Formigoni) e 23/2015 (governo Maroni). Perché quelle leggi sono state le tappe preliminari di ciò che oggi tocchiamo con mano. E anche il presupposto di quello che oggi si prospetta come un passo ulteriore nella stessa direzione. Se si realizzerà, in Lombardia diremo addio di fatto al Servizio sanitario nazionale”.
I cittadini devono esserne consapevoli. E, soprattutto, dovrebbero esserne consapevoli almeno i partiti che oggi siedono all’opposizione della giunta Fontana.
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Riceviamo e pubblichiamo la seguente replica dell’Associazione Italiana Ospedalità Privata Lombardia
Il sistema sanitario della Lombardia è considerato uno dei migliori esempi, fondato sul mix di erogatori di prestazioni sia pubblici sia privati accreditati. Non si tratta di un riconoscimento frutto di teorie interpretabili, ma a sostenerlo sono gli indicatori del Piano Nazionale Esiti, compilato da Agenas (Ministero della Salute). Il sistema lombardo vanta il più alto indice di attrattività di pazienti da altre regioni italiane, come facilmente documentabile e negli ultimi 20 anni, grazie a un meccanismo operativo che ha creato una sana competizione tra erogatori di diritto pubblico e di diritto privato, sono migliorate qualità e sicurezza delle prestazioni erogate sia in ambito privato sia in ambito pubblico.
Sul territorio ci sono eccellenze internazionali per la ricerca e per la clinica, sia private come il San Raffaele o l’Humanitas, sia pubbliche come il Niguarda, l’Istituto Neurologico Besta, l’Istituto Nazionale dei tumori. Tutte insieme concorrono alla salvaguardia del servizio sanitario regionale, perché ne sono parte integrante.
La frequente narrazione che vede il privato accreditato quale causa di sottrazione di risorse destinate al pubblico è del tutto infondata, in quanto esso eroga prestazioni regolate unicamente da una tariffa amministrata dalla Regione stessa, senza aggravio di costi aggiuntivi, come spesso invece avviene per le strutture pubbliche, con la Regione costretta storicamente a ripianare i disavanzi di bilancio.
Si ricorda tra l’altro che il decreto Balduzzi del 2012 ha messo un tetto che da allora blocca la crescita del finanziamento del comparto privato. A tutt’oggi, in linea con molte regioni italiane, la presenza del privato accreditato in Lombardia si assesta sul 30% circa del totale delle prestazioni erogate.
Ritenere quindi fallimentare la gestione regionale della pandemia a causa della natura mista del sistema sanitario è quindi del tutto fuori luogo.
La Lombardia è stata la prima regione europea colpita dal virus, che circolava da oltre un mese prima della diagnosi del 20 febbraio; il numero dei morti assoluti è stato più alto perché la Regione ha la quota di anziani più elevata (17% di ultra 70enni contro una media del 10% in Europa); in fase iniziale ha avuto la capacità di aumentare in 3 settimane i posti in terapia intensiva del 110%; la reportistica è stata puntuale e ha consentito il monitoraggio di un’epidemia senza precedenti; nella seconda ondata ha adottato i provvedimenti restrittivi 10 giorni prima del Governo Nazionale, abbassando così la curva epidemica prima delle altre regioni come i dati epidemiologici stanno dimostrando.
In aggiunta a ciò, si ricorda che l’apporto del comparto privato è stato determinante, un esempio per tutti: il Gruppo San Donato da solo ha messo a disposizione del sistema, tra la prima e la seconda fase, circa 4.350 posti letto, curando in tutto 9.000 pazienti Covid positivi.
Il Presidente di Aiop Lombardia Dario Beretta
Risposta dell’autore
Nessuno discute l’abnegazione di medici e paramedici della sanità privata. Semmai ci sarebbero da avanzare obiezioni sui dati che citate. Resta il fatto che in Lombardia va a gonfie vele la sanità privata specialistica, mentre quella pubblica di base, indispensabile, è stata smantellata; i risultati si sono visti anche durante la pandemia (si può approfondire qui). Prendo atto della vostra difesa d’ufficio della politica regionale. Di sicuro non è stata sgradita, visto che il principale gruppo privato, il San Donato, sei mesi fa ha cooptato nei suoi cda l’ex presidente della Giunta lombarda, Roberto Maroni (Lega), e Angelo Capelli (ex consigliere di maggioranza), braccio destro di Maroni per confezionare la riforma socio-sanitaria nel 2015.