Le nazioni unite hanno finalmente riconosciuto le proprietà medicinali della cannabis. Ieri gli Stati Membri nella Commissione droghe dell’Onu hanno accolto le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ed eliminato la cannabis dall’elenco dei narcotici dannosi per la salute. I governi avranno ancora campo libero sulla propria legislazione interna, ma si tratta comunque di una svolta notevole per il dibattito con l’opinione pubblica e la classe politica.
Anche il campo della ricerca scientifica attendeva da tempo questa decisione, dal momento che la cannabis a uso terapeutico può essere utilizzata da pazienti con molteplici patologie, dall’epilessia al morbo di Parkinson, passando per sclerosi multipla, dolori cronici, glaucoma e un’infinita lista di altri disturbi e malattie gravi.
“Piccolo” dettaglio del quadro italiano: un medico firma la prescrizione su ricetta bianca, indicando la varietà di cannabis più efficace per il paziente…ma, sorpresa, il farmaco non è disponibile. Le attese presso le farmacie galeniche, cioè quelle dotate di laboratorio per la produzione del farmaco, arrivano fino a sei mesi e rendono di fatto la cura intermittente.
Infatti, come riporta la campagna Meglio Legale, il fabbisogno richiesto dai pazienti italiani è di più di dieci volte superiore rispetto alla produzione di cannabis distribuita alle farmacie dallo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, l’unico a produrla (salvo che si scelga di importarlo, al momento parte dei rifornimenti arriva dall’Olanda).
A seguito di questo gap di produzione, molti pazienti devono ricorrere all’autoproduzione. Tradotto: i malati sono costretti a coltivarsi in casa la cura. È proprio quello che ha fatto Walter De Benedetto, le cui istanze sono state accolte proprio da Meglio Legale. Da trentacinque anni affetto da artrite reumatoide De Benedetto, preso atto che la Asl di Arezzo non poteva garantirgli il dosaggio utile a farlo star meglio, ha scelto di piantare in giardino la cannabis necessaria alla sua terapia. Problema risolto? Macché, ora è indagato per coltivazione di sostanza stupefacente in concorso.
Nel nostro paese si continua a commettere un errore grossolano su tanti temi che riguardano la salute: vogliamo raggruppare tutte le casistiche sotto un’unica etichetta e così, per esempio, testamento biologico, suicidio assistito, sospensione delle cure, diventano tutte “eutanasia”. E allo stesso modo la cannabis viene gettata indistintamente nel calderone delle droghe e tacciata di essere egualmente pericolosa, mortale.
Per questo ci pare un controsenso che per qualcuno possa essere invece vitale, per rendere sopportabile il dolore o per stimolare l’appetito lì dove si è spento. Spesso non si conoscono né le storie né le diagnosi mediche e perciò quando il dibattito politico si accende, tutto si riduce a un fantomatico pericolo di cui avere paura.
Si chiama slippery slope, la china scivolosa. Si prende un punto di partenza, in questo caso la cannabis legale, e ci si chiede quali sarebbero gli scenari futuri, facendo una serie di supposizioni non verificabili. L’ottica conservatrice ci insegna che per rendere quell’idea di partenza totalmente insensata, basta immaginare le conseguenze più nefaste che ne deriverebbero.
Tornando a noi, di sicuro la catastrofe suprema avverrebbe se ad assumere cannabis non fossero più solo i pazienti. Per capirci: se fosse legale, quanta altra gente vorrebbe farne uso a scopo ricreativo? Lasciamo parlare i dati.
Nei paesi in cui la cannabis è legale il consumo da parte degli adolescenti non aumenta, anzi, spesso diminuisce in media del 20%. Perché? Perché crolla il tabù intorno alle droghe. Perdono l’aura demoniaca, e acquistano carattere scientifico e sociale. Se ne parla, si conosce la composizione, gli effetti, i rischi del consumo eccessivo, ma soprattutto c’è maggior consapevolezza delle differenze tra le varie sostanze.
In Italia più di 5 milioni di persone fanno uso di cannabis, ad oggi commettendo un illecito, riempiendo le tasche del narcotraffico e delle mafie. Semplicemente abbiamo scelto di chiudere un occhio su questo fatto, perché la soluzione è davanti a noi e la decisione dell’Onu lo dimostra chiaramente. Senza volerne fare una questione di numeri, dunque, come è possibile non sentirsi eticamente responsabili nell’agevolare la criminalità organizzata? Non solo.
Come si fa a ignorare che i destinatari di una tale svolta sarebbero milioni di pazienti in tutta Italia? Se sapendo questo continuiamo a non volerne parlare, allora stiamo semplicemente sacrificando il diritto alla salute di molti in favore di una morale cieca e datata.