INTERVISTA - Secondo Giovanna Cosenza, esperta di comunicazione e docente di Semiotica all'università di Bologna, non c'è una strategia comunicativa in vista del Natale perché "nel nostro Paese la comunicazione è sempre stata considerata accessoria". Con un sistema così intricato di restrizioni, però, "che possono generare confusione nei cittadini", il governo "dovrebbe utilizzare in modo sistematico diversi mezzi e individuare i target a cui rivolgersi. Bisogna rendere più chiara la complessità"
“Un sistema così intricato di regole rischia di generare confusione, caos e paura nei cittadini. Ma se si decide comunque di adottarlo, serve una chiara campagna di comunicazione per gestire questa complessità. Non ci vogliono mesi di lavoro: basterebbe una settimana per metterla in piedi”. Come tutti gli italiani, anche Giovanna Cosenza, ordinaria di Semiotica all’università di Bologna e blogger del Fatto.it, è in attesa della versione definitiva del nuovo dpcm per capire quali saranno le restrizioni in vigore durante le vacanze di Natale. Quel che è certo finora è che il governo ha deciso di aggiungere ulteriori limitazioni a quelle già previste, differenziandole tra i giorni di festa. Una soluzione dettata dalla necessità di contenere i contagi vista la situazione epidemiologica, ma che potrebbe essere quantomeno accompagnata da un’ampia strategia comunicativa per far capire alla popolazione come ci si dovrà comportare a Natale e Capodanno. “La presidenza del Consiglio dovrebbe utilizzare in modo sistematico i diversi canali di comunicazione, televisione, giornali e internet, e poi individuare i giusti target“, spiega la docente. “Magari coinvolgendo personaggi dello spettacolo, dello sport o influencer. Ma non solo i soliti Ferragnez. Ce ne sono almeno 15 in Italia che permetterebbero di coprire le varie fasce d’età e zone del Paese”.
Professoressa, perché si è deciso di prevedere tutte queste regole per le vacanze, alcune specifiche addirittura per i singoli giorni di festa, anziché definire una cornice chiara e comunicarla per tempo alla popolazione?
Il problema di fondo è che nel nostro Paese la comunicazione è sempre stata considerata accessoria e superficiale. Ma in una fase di emergenza come questa, quando le decisioni della politica riguardano la vita quotidiana di ognuno di noi, servirebbe uno sforzo in più. Il rischio è che tutto ciò generi confusione e paura, oltre al timore di sbagliare: banalmente c’è chi potrebbe confondere le regole di un giorno con quelle previste per un’altra data. Una parte della colpa, mi permetta, è anche dei media, che contribuiscono al caos fornendo anticipazioni e retroscena. Capisco che si tratti di informazioni golose dal punto di vista della notiziabilità, ma in tempi di pandemia bisognerebbe almeno non entrare nei dettagli prima che i provvedimenti siano definitivi.
Cosa potrebbero fare la politica e le istituzioni grazie alla comunicazione?
Tantissime iniziative, anche veloci. Innanzitutto esistono interi capitoli nei libri accademici che riguardano la gestione della crisi, ma come le dicevo in Italia manca proprio la mentalità per capire che la comunicazione potrebbe essere una risorsa. La presidenza del Consiglio in realtà ha fatto qualche tentativo di individuare degli influencer per rivolgersi alla popolazione, ma dovrebbe farlo in modo sistematico. Utilizzando i diversi canali di comunicazione, dalla televisione ai giornali, fino a internet, per poi individuare i giusti target. Si possono coinvolgere anche personaggi dello spettacolo. Ma non solo i soliti Ferragnez. Ci sono tantissimi influencer in Italia, da Napoli a Milano, che permetterebbero di coprire le varie fasce d’età e zone del Paese.
Quanto tempo ci vuole a mettere in piedi una campagna del genere?
Non servono mica tre mesi di pianificazione, basterebbe anche una settimana.
Il governo ha scelto una strada diversa, introducendo misure che rischiano di penalizzare chi vive nei piccoli paesi. Cosa si può fare adesso?
Non entro nel merito delle decisioni politiche di Palazzo Chigi, però quello che posso dire è che nel momento in cui c’è la complessità, va presa e va gestita. Se non si è trovato un modo per rendere più semplici le regole, quelle stesse regole ora vanno comunicate utilizzando tutti i canali a disposizione. Non basta il consueto intervento televisivo del premier Giuseppe Conte, a quello devono seguire altre azioni, coerenti, senza errori e il più larghe possibili. In questi casi è fondamentale la ridondanza: bisogna ripetere i concetti, rivolgendosi in modo diverso agli anziani e ai giovani, ricorrere a figure diverse e con dei canali ad hoc.
Un po’ come è stato fatto durante la prima ondata, insomma.
La prima fase della pandemia è stata senz’altro caratterizzata da una comunicazione efficace, omogenea e coerente. Poi è iniziata la fase della confusione, a partire da com’è stata gestita la riapertura del Paese lo scorso maggio. Durante l’estate le polemiche sono rimaste in sottofondo, fino a riesplodere con l’autunno. Anche se ad esempio l’idea di dividere le Regioni in tre colori di rischio è risultata efficace: tutti all’inizio facevano ironie e poi ci si è adattati.
Meno efficace forse è stata la comunicazione su Immuni. Doveva essere scaricata da un italiano su due per essere davvero utile, ma siamo ancora a 10 milioni di download.
In questo caso è stato un disastro, anche rispetto agli altri Paesi europei. Ma la colpa è duplice: da un lato la pessima cultura digitale in Italia – siamo in fondo alle classifiche internazionale, anche tra i cosiddetti nativi digitali, nonostante le infrastrutture siano migliorate – dall’altro i deficit nel funzionamento dell’app. Io sono per la comunicazione di sostanza: è giusto farla, ma se il prodotto funziona male poi diventa comunicazione ingannevole.
Tra passi falsi e regole del Natale, quindi, secondo lei il governo potrebbe pagare un prezzo in termini di consenso?
A parziale giustificazione della politica, va detto che negli ultimi mesi il governo si è trovato a gestire una maggiore stanchezza del pubblico, a fare i conti con la rabbia e la preoccupazione delle persone. Pensiamo solo ai tanti esercenti che magari si sono attrezzati con la sanificazione degli ambienti e le attrezzature necessarie per aprire in sicurezza, e che ora si ritrovano di nuovo chiusi. Però non credo che questo potrà avere un impatto in termini di consenso. Tutti i sondaggi dimostrano che la maggioranza dei cittadini è d’accordo con le restrizioni attualmente in vigore. Sono convinta che gli italiani abbiano capito perfettamente la gravità della situazione e che le regole sono necessarie per combattere la pandemia. Anche perché nessuno vorrebbe trovarsi al posto del premier e dei ministri nel prendere le decisioni. Le rilevazioni fatte prima dell’estate sull’eventuale caduta del governo sono un’ulteriore conferma: nessun italiano si immaginerebbe di cambiare maggioranza o tornare alle urne adesso, soltanto un leaderino che pensa al suo piccolo partito potrebbe pensare una cosa del genere. Quello che però i nostri governanti devono capire è che la crisi potrebbe essere un’opportunità per ripensare il linguaggio e gli strumenti della politica: comunicare vuol dire mettersi in relazione con i cittadini, non solo mandare degli spot istituzionali all’ora di cena. Bisogna cambiare mentalità.