“Riceviamo 98 euro lordi per ogni udienza. A Milano a fine mese la retribuzione non supera i 1000 euro netti, senza malattia né previdenza” racconta Caterina Gallizia, giudice onorario civile del tribunale di Milano e membro dell'associazione di giudici onorari AssoGOT
I cottimisti della giustizia si fermano per chiedere diritti e tutele. La protesta è partita dalla Sicilia con lo sciopero della fame proclamato da due giudici onorari e ha trovato terreno fertile a Milano, per poi estendersi in molti tribunali. Lo stato di agitazione potrebbe tradursi in un’astensione generalizzata dal lavoro che rischia di paralizzare la giustizia italiana. La magistratura onoraria è costantemente e pesantemente impegnata nelle udienze civili e quelle penali (per esempio nei processi per direttissima), in un sistema di cottimo senza malattia né ferie. “I magistrati onorari esercitano le funzioni giurisdizionali, requirenti e giudicanti ormai da lustri con dignità e senso dello Stato senza ricevere alcuna tutela lavorativa e previdenziale, in una condizione di stabile precariato”, ha scritto la Consulta della magistratura onoraria in un documento inviato al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. La richiesta è di intervenire con un decreto legge che mantenga in servizio i magistrati onorari e riconosca loro i diritti previdenziali, assistenziali e retributivi, in applicazione di una recente sentenza della Corte di giustizia europea che ha riconosciuto i magistrati onorari come magistrati europei e lavoratori dipendenti.
Da anni, a colpi di proroghe, i 5mila giudici onorari italiani lavorano in totale precarietà. “Il nostro compenso dipende dalle udienze che riusciamo a fare”, racconta Caterina Gallizia, giudice onorario civile del tribunale di Milano e membro dell’associazione di giudici onorari AssoGOT. “Riceviamo 98 euro lordi per ogni udienza. A Milano a fine mese la retribuzione non supera i 1000 euro netti, senza malattia né previdenza”. E il Covid ha peggiorato questa condizione, con i giudici onorari che hanno rischiato il contagio senza alcuna tutela in caso di malattia. Solo da metà ottobre la normativa emergenziale ha riconosciuto l’udienza civile da remoto. “Per mesi siamo stati costretti ad andare sempre in tribunale per poter guadagnare qualcosa. C’è chi si è ammalato ed è stato ricoverato senza ottenere nessun riconoscimento economico”.
La rottura definitiva è arrivata con le recenti dichiarazioni del ministro della Giustizia. Alfonso Bonafede, rispondendo a un’interpellanza parlamentare sulla stabilizzazione dei giudici onorari prevista dalla sentenza della Corte di giustizia europea, ha affermato che “la distinzione tra magistrati professionali o togati e magistrati onorari è basata sulla spontaneità dell’adesione di soggetti impegnati in altre occupazioni”. E ha aggiunto che la collaborazione degli onorari è “legata alla finalità di contenere il numero dei togati, pena la perdita di prestigio e la riduzione delle retribuzioni della magistratura professionale”. Un rifiuto categorico a stabilizzare i magistrati onorari, considerati di fatto la manovalanza per mantenere il prestigio e l’alta retribuzione dei togati. “Il ministro ha scoperto le carte”, continua Gallizia. “Siamo a tutti gli effetti il motore sottopagato della giustizia che lavora anche per mantenere i togati, una categoria che ha stipendi tra i più alti d’Europa”. Così in molti tribunali i giudici onorari hanno deciso di non dare disponibilità per il mese di dicembre. E senza il loro apporto fondamentale le procure italiane rischiano di fermarsi e il sistema della giustizia di andare in tilt.