La sua nuova sfida è L’Alligatore, la serie di Rai 2 con Matteo Martari (già disponibile su RaiPlay), tratta dai romanzi culto di Massimo Carlotto e prodotta da Fandango, in cui interpreta Greta, l’ex fidanzata di Marco, il protagonista, un detective sui generis che non ama le armi e la violenza
Valeria Solarino quando parla misura le parole, le pensa. E in fondo il suo tono pacato racconta qualcosa della sua indole: fa il mestiere dell’attrice da vent’anni – un provino fatto quasi per caso, al Teatro Stabile di Torino, le ha cambiato per sempre la vita – ma non sgomita per esserci a tutti i costi, non urla per farsi sentire ma c’è solo quando vuole esserci. La sua nuova sfida è L’Alligatore, la serie di Rai 2 con Matteo Martari (già disponibile su RaiPlay), tratta dai romanzi culto di Massimo Carlotto e prodotta da Fandango, in cui interpreta Greta, l’ex fidanzata di Marco, il protagonista, un detective sui generis che non ama le armi e la violenza. «Sono una rockstar ingenua e piena di dolore, divisa tra la carriera e l’amore impossibile con l’Alligatore», dice a IlFattoQuotidiano.it, parlando anche dei suoi studi in filosofia (che ha appena ripreso), del senso di sospensione di questi mesi e della rabbia per i teatri chiusi.
Valeria, come l’ha preparato questo ruolo per lei totalmente inedito?
Ascoltando moltissimo i Cranberries e studiando Dolores, la cantante. Il regista della serie, Daniele Vicari, se la immaginava così Greta e allora per avvicinarmi a quel mondo ho visto live, interviste, vecchie registrazioni. A volte basta una foto o il riuscire a captare un’espressione per entrare nel mood giusto.
Greta è un personaggio evanescente nei libri di Carlotto, nella serie invece ha un ruolo determinante.
Nei romanzi è solo accennato, entra nella testa di Marco come il sogno di una donna che ha perso. Nella serie è stato scritto e gli è stato dato un carattere riconoscibile: ha un look deciso, la sigaretta sempre in bocca e molta grinta.
Ciò che unisce Marco e Greta è il filo rosso di un amore impossibile?
Sì, perché un evento più grande di loro spezza il sogno di vita assieme, fatto anche di musica: lei è una cantate, la musica è il suo ossigeno, l’Alligatore è un patito di blues che dopo il carcere ha smesso di cantare. Greta resta esterna alle dinamiche investigative, ma la tensione erotica tra i due è un collante fortissimo. Sono attratti ma si respingono.
Sono passati vent’anni dal suo esordio come attrice. In un solo scatto, mi dice il ricordo del suo provino al Teatro Stabile di Torino?
Pochi minuti dopo il provino, il regista Mauro Avogadro mi raggiunse e mi disse a bruciapelo: «Ti voglio nel mio corso». Cinque parole che hanno cambiato per sempre la mia vita. Non avevo mai fatto scuole di recitazione, ma sentivo che quella era la mia strada. Preparai il provino, arrivai davanti alla commissione e capii che dovevo assolutamente entrare in quel corso perché non avevo mai fatto nulla di più bello nella vita.
La prima volta in cui hai pensato «ce l’ho fatta»?
Tutte le volte che mi prendono per un lavoro dico «ce l’ho fatta» (ride). Psicologicamente è molto complicato gestire il senso di vuoto tra un lavoro e l’altro: quando il telefono non squilla, pensi che non ti chiameranno mai più. La mia fortuna è stata di lavorare continuità e sempre con ruoli interessanti.
Dunque, come li ha gestiti questi mesi in cui molte produzioni sono rimaste in stand by e i teatri sono chiusi?
È un momento super complicato però ho diversi progetti in sospeso e il pensiero di avere qualcosa da fare all’orizzonte è uno stimolo importante. Il difficile è quando non hai una proposta e galleggi: questo lavoro è come una droga, quando non lo fai, ti manca. Ma mi faccia dire una cosa sui teatri chiusi.
Dica.
Sono incazzata nera per la leggerezza con cui è stato chiuso tutto e per il modo in cui il teatro, la cultura, il cinema e tutto il comparto dello spettacolo sono stati trattati. Come se fossero qualcosa di superfluo e non necessario. Siamo tornati indietro a quel tristemente celebre «con la cultura non si mangia» ed è molto avvilente: oggi più che mai è necessario passare dal tempo della riflessione ai fatti, alla concretezza.
In che modo?
Cambiando il paradigma delle cose e agendo in maniera tempestiva. L’atteggiamento miope è stato quello di pensare «tanto gli attori sono ricchi». Ma questo è falso: ci sono pochi attori strapagati che possono permettersi di stare fermi un anno o anche due, ma tutti gli altri no. E poi c’è un apparato enorme di tecnici, autori, maestranze costrette da mesi a stare fermi e senza un briciolo di aiuto, come se fossero dei fantasmi invisibili. Per me, e non solo per me, è inaccettabile.
Ma come si cambia il paradigma?
Capendo che la musica, il teatro, i film, l’arte non solo ci danno da mangiare creando un indotto economico importantissimo ma ci tengono in vita anche in momenti complicati come questi. La cultura, in tutte le sue sfaccettature, è qualcosa che ci nutre e ci spinge a riflettere, ci costringe a una crescita non passiva. Coltivare l’aspetto interiore è fondamentale per non essere arrabbiati e basta: serve a costruirsi una coscienza critica e una visione sul mondo.
Per questo ha ripreso a studiare filosofia e punta alla laurea?
In parte. Perché in realtà ho ricominciato a studiare prima della pandemia avendo del tempo libero tra un lavoro e l’altro. Sono un po’ arrugginita ma mi piace molto, è un regalo che mi sono fatta. Mia mamma dice che non avrei dovuto raccontarlo in giro, perché senno mi bocciano. A febbraio ho il primo esame.
Il suo filosofo preferito?
Mi piace Kant. Ma ogni volta che studio qualcosa di nuovo mi entusiasmo, diventa il tarlo principale della giornata, anche quando non ne condivido il pensiero.
Il grande sogno professionale ancora da realizzare?
Ce ne sono così tanti che è difficile sceglierne uno solo. Un sogno enorme l’ho già realizzato recitando al teatro greco di Siracusa. Mi ci portò Alessandro Baricco con lo spettacolo sulla storia di Palamede.
Dopo tanti film e tanto teatro, negli ultimi anni ci ha preso gusto con le serie tv e prossimamente sarà anche nella nuova stagione di Rocco Schiavone. Le sono arrivate proposte da Sky o da piattaforme come Netflix?
No, le uniche proposte concrete sono arrivate dalla Rai. Ma sono aperta a tutto: per me, da sempre, non c’è una differenza di luogo ma di personaggio. Quelli scritti bene ti permettono di esprimerti al meglio in qualsiasi posto, che sia cinema, teatro o tv.
Risponda di getto: c’è qualcosa della sua carriera che rifarebbe domani mattina?
Una giornata particolare, la trasposizione teatrale del meraviglioso film di Ettore Scola. Tre anni di tournée, un sogno.
Lei è fidanzata da anni con il regista Giovanni Veronesi, ma è allergica a parlare del suo privato mentre con il gossip molti suoi colleghi alimentano la propria carriera. La sua è una scelta strategica o snobistica?
Nessuna delle due. Semplicemente il gossip è una cosa che mi irrita. Non devo difendere o proteggere nulla della mia vita ma non lo alimento perché non mi piace. Anzi, le dirò di più: m’infastidisce anche quando riguarda gli altri, non mi diverte l’idea che un personaggio pubblico debba far sapere i suoi fatti privati. Preferisco essere giudicata per il mio lavoro che per il mio privato.