Perché il recente dibattito sullo sci faccia a pieno titolo parte del nostro blabla post-covidico più surreale, è presto detto. Contando l’un per l’altro 741 milioni di europei, gli sciatori si sono ridotti a una fascia calcolata tra l’1 e il 2 per cento, che fanno parte della classe più ricca, tra cui sicuramente si contano numerose tribù di evasori-elusori fiscali. Eppure, la pratica dello sci fruisce di impianti e piste largamente finanziati dagli Stati e dalle Regioni con i soldi delle tasse di tutti.
Venendo ai presunti beneficiari nei territori montani, ci sono quasi 5mila e 900 comuni in tutte le Alpi, dove vivono poco più di un milione e mezzo di persone. Se si vanno poi a guardare gli studi di dettaglio, sulla distribuzione per nazioni e per quote altimetriche, si fanno ulteriori scoperte chiarificatrici: in Italia solo 23mila persone vivono nelle zone sopra i 1500 metri, quasi 93mila tra i 1200 e i 1499, altrettanti sopra i mille metri, e ancora centomila circa più in basso, a quote dove non si scia quasi più. La nuova amministrazione ‘ribelle’ della Regione Val d’Aosta (126mila abitanti) dichiara ufficialmente che circa il 75% della popolazione si concentra nei 28 comuni che formano la valle centrale non montana.
Insomma, quando si proclama che lo sci garantisce ‘la sopravvivenza delle regioni alpine’ e che occupa 400mila persone, non si considerano i dati di fatto, e nemmeno di quale scempio comporti questo particolare modello di sviluppo turistico, dove evidentemente un tasso di mobilità altissimo è determinante non solo per i fruitori turistici (sempre più mordi-e-fuggi) ma anche per la forza lavoro, con i danni ecologici connessi.
Venendo agli impianti di risalita, posto che ridistribuiscano una certa quale ricchezza al territorio, facendola ‘colare’ perlopiù in poche mani, bisogna considerare che il costo si spalma su tutti: facendo quattro conti in tasca ai novelli autonomisti ribelli aostani, quest’anno il solo comprensorio di Weissmatten ha accumulato un passivo di quasi 500mila euro alla Monterosa spa (con la Regione come socio di maggioranza e il Comune di Gressoney con il 40 per cento delle piste); la Cervino spa, che pure quest’anno ha dichiarato un utile di bilancio di 1 milione e 600mila euro, ha appena ricevuto un’altra dotazione da 10mila euro al giorno a forfait per il periodo aperto ai soli sciatori professionisti; e dimostrare che con il turismo si possano mai ripagare i 150 milioni di euro della Sky Way del Monte Bianco, nonché i costi di mantenimento e gestione, è pura provocazione.
A ciò si aggiungano le criticità economiche legate ai cambiamenti climatici: la Funivie del Piccolo San Bernardo di La Thuile, che lodevolmente pubblica un bilancio trasparente, registra un incremento del 100 per cento dei costi nell’ultimo triennio per ‘manutenzione innevamento’ e ammette di aver dovuto sparare circa 500mila litri d’acqua nel 2019.
Ecco, l’emergenza pandemica dovrebbe spingerci anche a ripensare un’economia alpina davvero alternativa, che vada oltre il modello turistico distruttivo e ingiusto imperniato sullo sci da discesa. In questi giorni ne hanno parlato anche alcuni montanari illustri, come Reinhold Messner e Paolo Cognetti. Potrebbe essere un’altra bella sfida tra i piani finanziabili con la Next GenerationEU.