Vorrei intervenire anch’io sul dibattito aperto in questi giorni dal direttore Marco Travaglio sul nostro giornale, che ha il pregio di ospitare pareri diversi creando un confronto che può solo far bene alla società. Mi permetto di dire la mia avendo operato per dieci anni come volontario nei penitenziari di Cremona e di Lodi ma non solo. Nel 2009 ho visitato tutte le carceri della Lombardia e ho avuto modo di conoscere da vicino diverse realtà.

Abbi pazienza, caro Marco, ma vorrei farti una domanda che spero non suoni come provocatoria: quando sei entrato in carcere l’ultima volta? Son convinto che per parlare di carcere non basti conoscere i numeri pubblicati sul sito del ministero della Giustizia ma sia utile aver trascorso qualche giornata accanto ai detenuti, vedendo dove dormono, dove cucinano, dove si lavano, dove pisciano, dove incontrano i loro famigliari. La sofferenza di queste persone va toccata con mano altrimenti non si può comprendere fino in fondo.

Qui la risposta di Marco Travaglio a Roberto Saviano

Fatta questa premessa, a mio avviso preliminare a qualsiasi altro discorso, vorrei partire da un dato che finora non ho letto negli articoli pubblicati.

Qual è il tasso di recidività in Italia? Il 70% dei carcerati, una volta scontata la pena, torna a delinquere. Cosa non funziona visto che lo scopo della pena è proprio quello di riabilitare? So già che mi dirai che quanto alla recidiva, dipende dal fatto che c’è gente delinquente di professione, che non vuole far altro che delinquere anziché lavorare. So che sei convinto che in galera è pieno di professionisti del crimine.

E allora vediamo i dati 2019 del Dap sui reati per capire chi sta in galera: 34.050 detenuti hanno compiuto reati contro il patrimonio; 25.082 sono quelli che hanno fatto un reato contro la persona; 21.213 sono dentro per stupefacenti. Per associazione di stampo mafioso sono solo 7.481. Faccio fatica a pensare che un tossico che spaccia sia un professionista del crimine. Conosco drogati che vendono la “roba” che hanno alle spalle vite infernali sulla strada e arrivano ad assumere e spacciare per sopravvivere. Non so se la galera è il posto giusto per loro.

In ogni caso condivido con te un pensiero: non possiamo abolire il carcere. In ogni società è presente e serve un luogo di reclusione per chi compie un reato. Serve, tuttavia, dire che le carceri italiane dovrebbero essere tutte Bollate o Volterra. E invece in 45 istituti visitati dall’associazione “Antigone”, in circa la metà, c’erano celle senza acqua calda per lavarsi e in 52, ben più del 50%, c’erano celle senza doccia, cosa che costringe i detenuti ad usare docce comuni. In 8 istituti tra quelli visitati c’erano celle in cui il wc stava a vista nella cella, anziché in un ambiente separato.

Possiamo far vivere e rieducare la gente in queste situazioni?

In attesa di nuove carceri come tu auspichi, non possiamo lasciarli in queste condizioni ma dove è possibile usare sempre più percorsi alternativi (Comunità, case famiglia etc). Il modello “pedagogico” attuato finora, visto che si parla di rieducazione del detenuto, non sta in piedi altrimenti non avremmo tutti questi recidivi e tutti questi suicidi.

Nel 2019, infatti, sono stati 53 in totale i suicidi negli istituti penitenziari italiani (dato confermato sia dalla fonte del Dap che da Ristretti Orizzonti) a fronte di una presenza media di 60.610 detenuti ovvero un tasso di 8,7 su 10.000 detenuti mediamente presenti.

Un altro dato da prendere in considerazione: quanto costa un detenuto? Tenendo conto del numero dei ristretti a fine febbraio, il costo giornaliero per detenuto è di 134,50 euro. Quanto ci costerebbe in una comunità o in una casa famiglia?

Infine un numero che mi urta e che spero infastidisca anche te. Le detenute con prole presenti nel circuito penitenziario in Italia sono 34 al 30 aprile 2020 (40 i figli a carico), ma erano 54 (con 59 figli a carico) appena due mesi prima, il 29 febbraio.
Vogliamo parlarne? E’ civile un Paese che trattiene dei bambini in cella? La presenza di minori nelle strutture detentive costituisce un gravissimo paradosso del nostro sistema, che ne compromette la salute psico-fisica in un’età centrale per il loro sviluppo, per di più l’attuale emergenza sanitaria li espone ad ulteriori rischi per la salute. È quindi indispensabile individuare misure volte a consentire la collocazione dei genitori detenuti assieme ai loro bambini al di fuori degli istituti penitenziari, anche quelli a custodia attenuata.

Nei giorni scorsi è stato depositato un emendamento alla Legge di Bilancio, promosso da Cittadinanzattiva e Terre des Hommes, per il sostegno all’accoglienza al di fuori del circuito penitenziario di detenute madri con bambini al seguito. Speriamo possa andare in porto.

Un dato positivo comunque va detto: a fine 2008 tra detenzione domiciliare, affidamento in prova ai servizi sociali e semilibertà erano coinvolte 7.530 persone; 10 anni dopo, a fine 2018, erano diventate 28.031: quasi il quadruplo. Il 15 aprile 2020 erano 30.416.

Questo ci dimostra che la strada da seguire è fatta da un percorso di rieducazione e di pena che sia dignitoso e rispettoso dei diritti della persona, anche se si trova in un carcere. Buttare la chiave, non serve a nulla.

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