Un anno fa la trasformazione. Ora, nel mezzo di una pandemia, l’apertura del primo punto vendita. Prosegue la storia di Ceramiche Noi, un tempo azienda Ceramisia, adesso cooperativa. Radici umbre, base a Città di Castello, 50mila abitanti in provincia di Perugia.
Una vicenda che comincia con un avviso: i piani alti dell’attività decidono di delocalizzare la produzione in Armenia. Il personale resta senza lavoro. Marco Brozzi, all’epoca direttore, propone una soluzione dopo un confronto con Legacoop Umbria. Investire 180mila euro per rilevare l’azienda e creare una cooperativa, usando come fondi il TFR e la naspi, l’indennità mensile di disoccupazione. I lavoratori sono reintegrati come soci e l’attività prosegue con il nome di Ceramiche Noi. È il workers buyout, cioè il salvataggio di un’impresa a opera dei dipendenti stessi.
A distanza di un anno, l’organico della cooperativa è composto dagli 11 soci che hanno dato origine al progetto e dalle tre persone assunte poco dopo. Il 5 dicembre, a 20 giorni esatti dal Natale, il personale ha deciso di aprire il primo punto vendita della sua storia: “I nostri clienti dei comuni limitrofi ce lo chiedevano da luglio. Abbiamo un mercato soprattutto estero: impacchettiamo i nostri prodotti e li inviamo ai nostri clienti, in tutto il mondo”, spiega Brozzi, oggi presidente della Cooperativa. “Ma la clientela locale interessata alla nostra produzione restava senza, proprio perché non avevamo negozi fisici. Abbiamo quindi deciso di inaugurare il primo centro poco prima delle feste natalizie, quest’anno così diverse dal solito”. Prosegue. “Venderemo i nostri manufatti (ceramiche da tavola, ndr) al costo di produzione”. Cioè: al costo impiegato per produrli, senza il rincaro necessario per un effettivo guadagno. “Un modo per essere solidali con le famiglie e le persone che in questo periodo così difficile non possono permettersi regali di Natale costosi”, continua Brozzi. “In seguito proseguiremo le vendite a prezzi normali”.
Periodo difficile cominciato in febbraio, con la tegola inattesa del Covid caduta proprio quando la cooperativa stava avviando i primi passi. “Quando è cominciato tutto è stato un disastro. Non sapevamo cosa fare. Dall’estero avevamo ordini importanti per aprile e maggio, ma siamo rimasti fermi per giorni”, ricorda Brozzi. “Rispetto a quanto preventivato abbiamo perso il 40% del fatturato. I nostri clienti con negozi fisici hanno chiuso, in molti casi. Invece quelli che si riferivano all’online sono rimasti attivi”. Poi qualcosa migliora: “Siamo stati autorizzati a tenere aperto il forno a ciclo continuo con il quale lavoriamo. Abbiamo così potuto consegnare gli ordini già arrivati”. La cassa integrazione per il personale è arrivata puntale: “Siamo stati fortunati, so che altrove non è stato così”. La clientela estera si divide. Gli affari con Corea del Sud e Messico si fermano. Il rapporto con gli Stati Uniti invece decolla: “Da maggio in poi soprattutto. Ci hanno coperto il 50-60% del fatturato mensile. Chiuderemo il bilancio del 2020 in pareggio e non in negativo. In un momento del genere è un privilegio”, commenta Brozzi.
La pandemia ha portato tempo e spazio, usati dalla Cooperativa per studiare: “Abbiamo messo a punto due nuovi prodotti, brevettati. Si tratta di un piatto antibatterico e di un altro che al tatto restituisce la stessa sensazione della pelle. Dal 2021 pensiamo di immetterli sul mercato”. Fra un’altalena e l’altra, il 2020 si chiude. “Come ho detto, siamo stati fortunati in un anno in cui è successo di tutto. Ora pensiamo al futuro. Per il 2021 puntiamo a ingrandirci e ad assumere altre sette o otto persone”.