Sento puzza di restaurazione intorno alla vicenda delle dimissioni di J.P. Mustier, amministratore delegato di Unicredit.
Sento una atmosfera da Congresso di Vienna se penso ad alcuni nomi legati alle passate disastrose gestioni della banca e che stanno circolando in questi giorni come candidati alla successione del manager francese. Una sorta di gioco dell’oca dei banchieri di ritorno, come spiego qui.
Sento aria da ancien regime se immagino lo scenario in cui si potrebbe realizzare il progetto di incorporazione della moribonda banca del Monte dei Paschi di Siena coordinato da Metternich-Padoan. Sappiamo tutti però che fine fecero poi le grandi potenze europee di lì a qualche decennio.
E’ l’ennesima dimostrazione della italica concezione di inefficientare la nostra economia.
Perché il percorso che aveva tracciato Mustier e che si sarebbe dovuto completare con il piano Team23 2020-2023 era l’unico percorribile in questa tempesta che sta vivendo il nostro sistema bancario e che avrebbe potuto garantire l’incolumità dei posti di lavoro finora salvaguardati da scivoli, esodi e altre forme di assistenzialismo: alleggerire la banca rendendola appetibile ad un colosso straniero. L’unica via per assicurare ad una grande banca di continuare a fare banca in un paese dove gli istituti di credito di grandi dimensioni, da qualche anno, hanno smesso di sostenere l’economia reale.
La cronaca degli ultimi anni, Mps & Co, ce lo ha dimostrato.
Mustier non è piaciuto perché ragionava in maniera diversa, il suo disegno non era omologato al piattume (sarebbe meglio dire al nulla) strategico che circola nel nostro paese. La gestione di una grande azienda come Unicredit richiede elevate competenze, determinazione e coraggio. E soprattutto, quando è necessario risollevarsi da una crisi profonda, un netto distacco dalla precedente scellerata governance.
Ho sempre sostenuto su questo blog la politica gestionale di Mustier cui mancava un ultimo passaggio che, purtroppo, non è riuscito a compiere: quel repulisti culturale dei manager della terra di mezzo (middle management), quel mondo che ho abitato per più di 20 anni denso di personaggi che vigilano, che pressano, che “molestano” (perdonatemi il termine, è forte per darvi la sensazione) affinché ciò che è stato deciso dal top management venga messo in pratica. Ma per realizzarlo trasformano il contenuto etico, solo scritto in un piano strategico, in contenuto verbale, subdolo e immorale. Nulla di scritto.
Ma era, appunto, l’ultima tappa da percorrere per il cambiamento culturale di una azienda che di chilometri ne aveva già percorsi tanti.
Cosa ha fatto Mustier in circa cinque anni? Un vero e proprio miracolo.
Ha svalutato asset per 13,2 miliardi (!!!) determinando una perdita di circa 12 mld di euro. Si trattava essenzialmente di crediti (finanziamenti) marci che le precedenti gestioni, responsabili della erogazione degli stessi, indicavano, invece, in bilancio come sani.
Ha realizzato un aumento di capitale monstre di 13 mld di euro (!!!) fatto assorbire integralmente dai principali azionisti e da investitori istituzionali, in netto contrasto con le politiche di ricapitalizzazione precedenti (altri 3 aumenti di capitale dal 2008) che erano state invece indirizzate violentemente e subdolamente verso gli ignari risparmiatori. Con questa manovra il manager francese ha anche ridotto il potere delle fondazioni che detenevano il controllo della banca ed, in questo periodo, il patrimonio netto della banca e’ cresciuto del 21% (!!!). Parliamo di circa 11 mld di euro.
Ha immediatamente detronizzato la vecchia nomenklatura di Unicredit. Come ha scritto Fabio Volo, se si sbaglia ad allacciare il primo bottone di una camicia di conseguenza si sbaglieranno tutti gli altri. Gli altri però non saranno errori, ma solo la logica conseguenza del primo bottone sbagliato. E Jean Pierre Mustier, nuovo amministratore delegato di Unicredit, ha provveduto a cambiare non i bottoni ma direttamente tutte le camicie, rimuovendo l’intero top management. E il mercato lo ha premiato sottoscrivendo il mega aumento di capitale di 13 miliardi di euro confermandoci che il sistema bancario, se vuole salvarsi, deve presentarsi con facce nuove, credibili e preparate. Quelle di prima erano vecchie, subdole e impreparate.
Ha venduto bene, guadagnandoci, le partecipazioni in Fineco, Pioneer, nella polacca Bank of Pekao e nella ucraina Ukrsotbsbank, le attività di elaborazione dei pagamenti tramite carte di pagamento Ubis (Unicredit Business Integrated Solutions) per l’Italia, la Germania e l’Austria e la sua quota in Mediobanca. Ha perso solo (1,58 mld di euro) svendendo la banca turca Yapi Credi.
Coerentemente con il nuovo modello di servizio (riduzione della presenza agli sportelli ed aumento delle operazioni online), ha snellito il costo del personale accompagnando all’uscita circa 40mila bancari ed il costo della logistica chiudendo oltre 1.500 sportelli. Un surplus derivante dalla sciagurata fusione, sollecitata dagli organi governativi (corsi e ricorsi storici), con Banca di Roma che, ricordiamolo, nel 2007 non aveva altra strada se non quella iconica che portava al tribunale per la dichiarazione del fallimento.
Vi starete chiedendo: ma come ha reagito il titolo Unicredit durante la gestione di Mustier? Bene, il titolo Unicredit il 30 giugno 2016, giorno della cooptazione di Mustier nel cda di Unicredit come CEO, valeva solo 9,8722 euro mentre il valore del titolo il 27 novembre 2020, il giorno borsistico precedente quello dell’annuncio delle dimissioni, era di 9,09 euro!!
Praticamente zero a zero!
La risposta sta tutta nella debolezza del sistema bancario nostrano (compreso Unicredit) che deve ancora adeguarsi ad un diverso modello di servizio e recuperare la fiducia che ha perso negli ultimi 20 anni per tutto ciò che ho raccontato nei miei libri e su queste colonne. Un processo non semplice che necessita di tempo.
Secondo la mia opinione il mercato ha premiato Mustier fino al giorno dell’annuncio delle sue dimissioni. E dal 27 novembre, preoccupati del futuro della banca, lo stanno ancor di più gratificando visto che il titolo in soli 3 giorni ha perso circa il 12% (!!!)
A meno che gli analisti, che sanno leggere in anticipo dati e tendenze, non pensino che una banca debole, senza una leadership competente e con una strategia orientata al “giorno per giorno”, non possa mai essere oggetto di una aggregazione nazionale (ma in Italia mai dire mai) e quindi debba necessariamente ricadere nelle mani di un colosso estero, presumibilmente francese. E quindi, come si dice nel gergo, sono orientati ad “andare long” sul titolo. Praticamente gli investitori intendono acquistarlo ad un prezzo basso scommettendo sul suo rialzo che potrebbe essere determinato solo da una vision positiva sul futuro della banca
Mi sorge un dubbio: ma non è che Mustier esca dalla porta e rientri dalla finestra?