Il 6 dicembre sono state indette in Venezuela le elezioni parlamentari: si voterà per eleggere i 277 membri dell’Assemblea Nazionale (il parlamento venezuelano). Dentro l’ufficialità, riunita intorno alla figura di Nicolas Maduro, fervono i preparativi per il post-elezione. Sì, perché l’elezione in sé è già scritta e non rivelerà soprese: un processo elettorale farsa che non conterà sul riconoscimento di gran parte della comunità internazionale (tra cui l’Ue) a parte il supporto garantito degli alleati storici del chavismo come Cuba, Cina, Russia, Iran e Nicaragua.

Difficile non riscontrare irregolarità in un processo elettorale dove il Partito Socialista Unito del Venezuela (Psuv) ha eliminato tutta la concorrenza e tiene sotto scacco (con ricatti della peggior specie) il voto del popolo. Ma facciamo tre passi indietro per capire come siamo arrivati a domenica 6 dicembre.

Innanzitutto fondamentale ricordare quanto accaduto mercoledì 29 maggio 2017, quando il Tsj (Tribunale Supremo di Giustizia), controllato dal Psuv, svuota di competenze l’Assemblea Nazionale (in mano all’opposizione dopo le elezioni legislative perse dal Psuv nel 2015). Il Tsj accusa di “desacato” (mancanza di rispetto) il parlamento e si attribuisce i poteri legislativi attraverso la sentenza 156, svuotando di fatto il significato di democrazia nel paese.

Il potere legislativo viene poi traferito ad una Assemblea Costituente creata ad hoc e in mano al Psuv, diretta dal 19 giugno 2018 da un chavista della prima ora e numero due del regime, Diosdado Cabello. Nel 2019 però l’opposizione fa un tentativo per mettere alle corde il regime e Juan Guaidó, presidente dell’Assemblea Nazionale e membro del partito Voluntad Popular, assume la presidenza interina riconosciuto da più di 50 paesi: la presidenza del Paese veniva dichiarata vacante per le frodi elettorali delle elezioni presidenziale del 20 maggio 2018.

Dopo un anno di incertezza e tensione, dove arriva anche il report dell’Alto Commissario dell’Onu per i diritti umani (Michelle Bachelet) sulle violazioni dei diritti umani nel Paese (4 luglio 2019), Maduro prova, a gennaio 2020, a dare una spallata a Guaidó togliendogli la presidenza dell’Assemblea Nazionale e di fatto esautorandolo dalla presidenza interina.

La scena della polizia bolivariana che cerca di non far entrare i parlamentari dell’opposizione nell’edificio dell’Assemblea Nazionale per impedirne la votazione ha fatto il giro del mondo. Condanne internazionali sull’accaduto e il nuovo riconoscimento dello stesso Guaidó come presidente interino da più di 50 paesi disattivano però il piano di Maduro.

Arriviamo all’estate 2020 e all’ultimo tassello di un piano minuzioso e scientifico per impedire qualsiasi tipo di sorpresa nelle elezioni di domenica. Il Tsj nomina un nuovo Consiglio Nazionale Elettorale, consegnandolo di fatto agli affini al regime di Maduro, e come se non bastasse sospende i direttivi dei principali partiti di opposizione: Acción Democrática, Primero Justicia e Voluntad Popular.

Questi tre partiti, guidati rispettivamente da Henry Ramos Allup, Henrique Capriles Radonski e Leopoldo Lopez (che ad ottobre, dopo una fuga rocambolesca dall’ambasciata spagnola di Caracas, è arrivato a Madrid) rappresentano l’ossatura dell’opposizione a Maduro e il loro commissariamento da parte del regime ci riporta alla parola con la quale ho aperto il post: democratura.

Questo termine, di origine incerta anche se attribuito spesso ad Eduardo Galeano, viene a dare una chiave di lettura precisa di ciò che avviene in Venezuela: regime politico improntato alle regole formali della democrazia, ma ispirato nei comportamenti a un autoritarismo sostanziale, ci dice Treccani, spiegando che in essa troviamo la convivenza di elementi democratici e autoritari all’interno di un modello che potremmo definire come “democrazia ristretta” o in altri termini “dittatura costituzionale”.

Almeno 27 partiti dell’opposizione non parteciperanno alle elezioni del 6 dicembre, Guaidó ha chiamato ad una consulta popolare il 12 dicembre per mostrare i muscoli e capire e far capire alla comunità internazionale su quale appoggio popolare può ancora contare. In questo scenario l’opposizione non appare unita (l’ambasciatrice di Guaidó in Uk ha rinunciato al suo incarico il 1° dicembre) e di nuovo gli interessi personali sembrano minare un’azione collettiva e integrata.

Dopo il ritorno di Lopez sulla scena (capo di Guaidó dentro il partito Voluntad Popoluar) e la vittoria di Joe Biden negli Usa, non si intravede chiarezza all’orizzonte di un’opposizione che non riesce ancora a convincere.

Nel frattempo, però, il fronte del Diritto Penale Internazionale prosegue il suo cammino e dopo il report dell’Onu di settembre che accusa di crimini di lesa umanità la cupola del regime venezuelano, il Tribunale Penale Internazionale potrebbe aprire ufficialmente un’indagine contro Maduro: la famosa terza via (non politica né militare) per uscire da un dramma umanitario che coinvolge più di 30 milioni di persone.

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