Quando a San Lorenzo in Campo, in provincia di Pesaro-Urbino, è stata chiesta l’approvazione per un allevamento per la produzione di oltre due milioni di polli, il dibattito si è acceso. Il sindaco Davide Dellonti non era prevenuto, ma ha preso un’abitudine: “Dopo cena, andavo in auto a Falconara, Jesi e in tutti quei comuni delle vallate delle Marche, in provincia di Ancona, dove allevamenti di quelle dimensioni ci sono già. L’ho fatto una decina di volte e mi sono reso conto che sentivo quell’odore nettamente, a 1,7 chilometri di distanza. Non dico che i dati delle relazioni siano erronei, ma di certo ho constatato di persona che non rendono la realtà”. A quel punto il sindaco ha preso posizione contro l’allevamento e a ilfattoquotidiano.it spiega perché: “Nelle valli andavo da solo, perché tra qualche decennio è me che tutti ricorderanno. Voglio essere ricordato per altre cose. E, in un’analisi di costi e benefici, rispetto a pochissimi posti di lavoro, rischiamo dei costi territoriali molto elevati per emissioni in atmosfera, odori e consumo idrico, con ripercussioni sul sistema turistico e ricettivo”. Parliamo di un’area al centro di una vallata abitata “con case a cento metri di distanza” da 6 capannoni con una stima di produzione di 1,8 milioni di polli all’anno e altri sei con 360.240 polli allevati a biologico. Il progetto presentato dalle società San Pio e da Fileni srl, terzo produttore avicolo d’Italia, non è stato ancora approvato. La Regione Marche ha convocato la Conferenza dei servizi in modalità asincrona per il 6 dicembre.
I DATI – Sullo sfondo, i dati: secondo l’Anagrafe nazionale zootecnica nelle Marche ci sono 133 allevamenti, per un totale di 4,1 milioni di polli a ciclo. Sulla produzione annuale non ci sono dati ufficiali, occorre moltiplicare per i cicli (5 per il convenzionale, ammesso però che tutto fili liscio). Se sommiamo, comunque, anche i polli che i soccidari prendono in consegna e allevano per poi ripartirne gli utili si superano i 20 milioni di polli all’anno. È la sesta regione in Italia (dopo Veneto ed l’Emilia-Romagna) per numero di capi e allevamenti, la cui consistenza media dal 1970 a oggi è quadruplicata. Il 64% della produzione è concentrata nella provincia di Ancona (59 allevamenti). Qui ci sono in media (per ogni ciclo, quindi contemporaneamente) 5,3 polli per abitante, contro una media nazionale di poco più di un pollo a testa. Ma è tra la Vallesina e la Valle del Musone, in particolare, che ci sono 11 allevamenti con una produzione stimata di 11 milioni di polli l’anno, secondo quanto riportato nei documenti relativi all’Autorizzazione Integrata Ambientale.
COME CAMBIANO GLI ALLEVAMENTI – “Mentre gli allevamenti diminuiscono (nel 2016 erano 142, ndr), i capi aumentano (nel 2016 la produzione si aggirava intorno ai 13,6 milioni di polli l’anno). Si è passati da 2,7 milioni di polli a ciclo a 4,1 milioni” commenta Andrea Tesei, che vive a Monte Roberto. “Gli allevamenti diventano sempre più intensivi – dice – dando occupazione ognuno a due persone fisse e due o tre part-time, mentre il deprezzamento patrimoniale va dal 40 al 70%”. A 250 metri dalla dimora storica dell’800 dove vive insieme alla sua famiglia si stanno attrezzando 8 capannoni per una produzione di 2,5 milioni di polli l’anno di solo convenzionale. Contro la sua realizzazione è nato anche il Comitato Salva Vallesina. Tesei, invece, ha presentato ricorso al Tar contestando, tra le altre cose, “diverse incongruenze nella verifica eseguita dall’azienda per stimare il valore delle fonti di emissione e l’efficienza di abbattimento degli inquinanti della tecnologia presente nei capannoni”. I cittadini contestano che non siano mai “state fatte né un’indagine cumulativa degli effetti congiunti sull’ambiente degli impianti nella Vallesina e nella Valle del Musone, né sugli effetti sul fabbisogno idrico generale del consumo degli impianti”. Ilfattoquotidiano.it ha contattato Fileni, secondo cui “l’aumento del numero di capi non è dovuto a un aumento della densità degli stessi, ma è legata alla quantità di superfici dedicate. Gli allevamenti biologici – sottolinea – hanno una densità sensibilmente più bassa di capi e quindi necessitano di spazi molto più ampi a disposizione degli animali”. L’azienda, inoltre, precisa che gli allevamenti dell’azienda sono “antibiotic free”, mentre i nuovi centri “sono nella maggior parte dei casi frutto di riqualificazioni e ammodernamenti di precedenti siti in cui si operano anche bonifiche”. Anche di amianto. Ma lo stesso sindaco Dellonti racconta che a San Lorenzo, secondo l’esito di verifiche “l’amianto presente nella struttura già esistente va certo monitorato, ma non rappresenta un pericolo imminente per i cittadini, né i nostri bambini vi sono esposti, come è stato detto in un’assemblea pubblica”.
IL BIOLOGICO – Rispetto al biologico, invece, i dati sono sempre quelli dell’Anagrafe avicola, ma solo quelli del Bdn 2019 sono differenziati a seconda dei metodi (convenzionali, biologici e alternativi). Nell’area Vasta 2, che corrisponde alla provincia di Ancona si allevano con il biologico 269.302 capi (sempre a ciclo) sul quel totale di 4,1 milioni. “Senza considerare i soccidari, che farebbero abbassare ancora di più la media – sottolinea Tisei – non si arriva al 7%”, neppure prendendo in esame solo gli 11 allevamenti principali “tutti di proprietà di Fileni o comunque riconducibili a società in cui il gruppo possiede una quota, come la Cbm (ne controlla il 25%)”.
LA VALLE DEI POLLI – Negli ultimi mesi Tesei ha raccolto i dati su superfici, numero di capannoni e di polli di tutti gli allevamenti (convenzionali e biologici) dell’area, analizzando per ogni singolo impianto la documentazione relativa alla concessione Aia regionale, che riporta le stime di produzione. A ilfattoquotidiano.it ha anche fornito un video nel quale questi allevamenti si vedono dall’alto. L’allevamento intensivo di Monte Roberto va ad aggiungersi agli altri 11 “dove si concentra l’81% dei polli allevati in tutta la provincia” racconta Tesei. Ce ne sono, per esempio, a San Marcello (1,1 milioni di polli all’anno) e a Casteplanio, (360mila polli). Cinque solo a Jesi: Ponte Pio (un milione), Piandelmedico, (1,8 milioni e oltre 275mila a biologico) per un totale di quasi 37mila metri quadrati di superficie e due allevamenti adiacenti a Montecappone per biologico (82.700 polli) e convenzionale (319.600). Ci sono altri centri a Ripa Bianca (oltre 2 milioni di polli, con un capannone su sette di polletti a lunga giacenza) a Santa Maria Nuova (297.140), a Falconara (1,5 milioni, più altri 459.360 a biologico) e a Osimo ce ne sono due, per una produzione stimata, rispettivamente, di oltre un milione e 359.955 polli l’anno. Poco distanti, ma della provincia di Macerata, ci sono Poggio San Vicino, dove la società Tieske ha 7 capannoni (1,8 milioni di polli) e Cingoli Rangone (1,4 milioni).
L’AZIENDA – Fileni sottolinea che “per mitigare ulteriormente l’impatto” intorno agli allevamenti l’azienda negli anni ha “messo a dimora più di 7mila arbusti tra ulivi, allori e lecci”. A raccogliere l’appello degli abitanti dell’area è stata anche l’associazione Compassion In World Farming, che ha raccontato dei disagi denunciati dai cittadini “costretti a chiudersi in casa quando la puzza e troppo forte” o, in alcuni casi, “finiti al pronto soccorso per irritazioni agli occhi”. Secondo Federica Di Leonardo, responsabile relazione esterne di Ciwf Italia, sarebbe meglio se nelle Marche fossero “privilegiati i sistemi di allevamento maggiormente rispettosi del benessere animale, come quelli biologici e all’aperto, e non costruiti nuovi mega allevamenti vicini ai centri abitati, per tutelare sia il benessere degli animali che la salute e la qualità di vita delle persone”.
LA LOTTA DEI COMITATI – Negli ultimi mesi si sono costituiti anche il Comitato Salva Cingoli e il Comitato Ambiente Vivo Valcesano, contro la costruzione dell’allevamento intensivo a San Lorenzo in Campo, presieduto da Andrea Landini. Entro il 6 dicembre, tutti i pareri dovranno arrivare alla Regione, che dovrà decidere se approvare o respingere il progetto. “Negli atti che abbiamo consultato – racconta Landini – viene paventato un rischio per le risorse idriche della zona, rappresentato dal pozzo previsto dall’allevamento. Un rischio per il quale non c’è alcuna assicurazione e che riteniamo inaccettabile per un progetto di interesse privato”. Landini ricorda come la stessa Multiservizi abbia sottolineato la carenza idrica dell’area e i rischi, durante i periodi di siccità, “di inficiare la produttività” del campo di pozzi pubblici San Michele che, proprio in quei periodi dell’anno, è “l’unica fonte di approvvigionamento idrico di alcuni centri abitati”. Secondo Fileni, però, i suoi concittadini “possono stare assolutamente tranquilli”, in quanto “il nuovo centro sarebbe assolutamente compatibile, e anzi migliorativo, rispetto agli standard di legge”. E ricorda: “Il rischio paventato circa il pozzo San Michele è stato dichiarato inesistente” alla luce degli approfondimenti richiesti dalla Multiservizi”, che ha espresso parere favorevole sull’utilizzo del pozzo dell’allevamento. La Regione, quindi, ha dato l’ok all’utilizzo con alcune condizioni, tra cui un monitoraggio di tre anni. Ma per i Comitati è troppo rischioso, in quanto “non c’è alcuna prova – spiega Landini – che il pozzo possa reggere nel tempo alle portate richieste”.