Quando il personale sanitario del Covid Hospital di Civitanova Marche (Mc) ha visto arrivare l’ennesimo paziente a bordo di un’ambulanza, nessuno immaginava che la persona distesa sulla lettiga fosse uno di famiglia. Giordano Garbuglia, 57 anni, caposala, da anni, infatti, svolge il ruolo di coordinatore sanitario del reparto di Anestesia e rianimazione dell’ospedale civile di Civitanova, lo stesso in cui fino a ottobre scorso, prima della riattivazione dell’Astronave, il Covid Fiera delle Marche voluto dall’ex governatore Luca Ceriscioli e realizzato, tra le polemiche, da Guido Bertolaso, lavoravano molti medici, infermieri e oss poi spostati nel Covid hospital. Impossibile, quindi, considerare Garbuglia un paziente come tutti gli altri. Per la dottoressa Daniela Corsi, primaria del reparto di anestesia e rianimazione a Civitanova e adesso coordinatrice dei moduli di terapia intensiva del Covid Hospital, è stato un vero e proprio tuffo al cuore, visto che il caposala figura proprio nell’organico di anestesia e rianimazione. Dopo aver rischiato la morte a causa della sua positività al Sars-Cov2, adesso il sanitario sta meglio e, appena uscito dalla terapia intensiva, ci racconta la sua esperienza attraverso una commovente videochiamata.

Giordano Garbuglia, come sono andate le cose?
Verso la seconda settimana novembre, quando già lavoravo qui al Covid Hospital, ho iniziato ad avere alcuni sintomi a cui però non ho dato troppo peso. Prima un banale raffreddore, poi è arrivata qualche linea di febbre. I giorni passavano e i sintomi peggioravano, così il 12 del mese ho deciso di sottopormi al tampone molecolare naso-faringeo che puntualmente ha dato esito positivo.

E cosa è successo poi?
Nel giro di poco tempo i sintomi si sono aggravati e gli esami hanno evidenziato una brutta polmonite bilaterale. Di pazienti nelle stesse condizioni ne avevo seguiti tanti fino a quel giorno, soprattutto nella prima fase della pandemia, ancora più dura rispetto al presente, ma adesso toccava a me. Per farla breve, il 17 novembre sono entrato al Covid Hospital e dopo due giorni in semi-intensiva sono stati costretti ad intubarmi.

Quindi lei ha piena coscienza di quanto le è accaduto?
Totale, fino a quando non sono stato intubato. Vedevo preoccupazione attorno a me. In particolare la stessa dottoressa Corsi, la mia diretta superiore, a cui ero stato vicino in primavera quando il Covid aveva colpito lei.

Tornando a ritroso, come pensa di essersi contagiato?
Mi creda, non ne ho idea. Potrebbe essere accaduto fuori, nella vita di tutti i giorni, ma non escludo di essermi beccato il Covid dentro l’ospedale.

È cambiata la sua percezione sulla virulenza del Covid?
Chiaramente le cose sono diverse, ma questo virus resta una vera bestia. Io ho rischiato di morire, adesso sto meglio ma dovrò lottare ancora molto per debellare le conseguenze della patologia. Prima di ammalarmi però ho vissuto in prima persona il dramma di tanti che hanno sofferto, di chi non ce l’ha fatta, il dolore delle famiglie. Il male assoluto, un virus che ti entra dentro succhia via la vita dai polmoni.

Eppure, fuori, c’è ancora chi pensa che il Covid-19 non esista, che si tratti di una semplice invenzione di qualcuno, per favorire le case farmaceutiche ad esempio. Cosa pensa di chi espone certe teorie?
Guardi, corro il rischio di diventare volgare, aggressivo e cattivo. Mi lasci un attimo sfogare la rabbia.

Va meglio?
Sì, adesso posso rispondere e per farlo cercherò di essere il più calmo possibile, fermo restando che i negazionisti restano il pericolo maggiore sotto il profilo sociale. A loro dico di informarsi bene attraverso fonti attendibili e soprattutto di studiare. Oppure possono venire qui dentro o entrare in qualsiasi terapia intensiva Covid per rendersi conto di persona cosa succede veramente. In tanti soggetti il virus non si manifesta o lo fa con sintomi lievi, in altri arriva alla radice della vita e può anche uccidere. Si vadano a leggere le statistiche sulle vittime con e per Covid.

Il dibattito nazionale attuale gira intorno alle vacanze e alle festività natalizie e a come arrivare a questo periodo. Il suo punto di vista?
“Mai come quest’anno il Natale va celebrato in casa, in famiglia. Il mio appello va a tutti gli impazienti: è assolutamente necessario abbassare la soglia dei contagi per limitare i ricoveri e i decessi, altro che settimane bianche e cenoni di capodanno”.

Dopo aver sfiorato la morte adesso è uscito dalla terapia intensiva e sta meglio: i prossimi passi?
“Sono nelle mani dei miei colleghi e spero in un graduale e costante miglioramento. La dottoressa Corsi dice che si vuole liberare di me (sorride, ndr.) e che presto quindi mi dimetterà. Uscito da qua dentro non sarà tutto rose e fiori, mi attende un lungo periodo di riabilitazione visti i segni profondi lasciati dal Covid sul mio corpo”.

Cosa le ha dato forza in queste settimane drammatiche?
“La vicinanza della mia famiglia, anche se con loro mi posso sentire solo via telefono. Sapere che ci sono però è già un grande aiuto. E poi i miei colleghi a cui non finirò mai di dire grazie per quanto hanno fatto per me. Ripeto, trovarmi dall’altra parte della barricata è stata una sensazione molto particolare, non lo dimenticherò mai più”.

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