“Vogliamo l’accordo, ma non a tutti i costi”. È questo il mantra ripetuto negli ultimi mesi di negoziati sulla Brexit da Gran Bretagna e Unione europea, ma con il 2021 ormai alle porte e l’impasse che non accenna a sbloccarsi in vista del divorzio che dovrebbe concretizzarsi dal 1 gennaio, entrambe le parti tentano di accelerare e la palla passa dai negoziatori ai leader. Oggi la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e il primo ministro britannico, Boris Johnson, si sono sentiti con una lunga, nuova telefonata che comunque non è riuscita a sbloccare la situazione, con il pessimismo ormai diffuso da entrambe le parti.
Il prossimo passo sarà un incontro, di persona, a Bruxelles, per cercare di indirizzare le trattative verso la conclusione. Al termine di una chiamata durata poco più di un’ora e mezzo, messa in pausa e mai ripresa, i due leader hanno pubblicato uno scarno comunicato congiunto, utile a guadagnare altro tempo. “Abbiamo fatto il punto sui negoziati come deciso sabato, e abbiamo concordato che non ci sono le condizioni per finalizzare un accordo a causa delle distanze significative sui tre punti critici, ossia level playing field, pesca, e governance – hanno scritto – Abbiamo chiesto ai capo negoziatori di preparare una panoramica sulle divergenze che restano da discutere di persona, a Bruxelles, nei prossimi giorni”.
Nelle cancellerie i sentimenti sono misti, tra l’apprensione per un possibile fiasco finale e il timore di strappare un accordo incapace di tutelare appieno gli interessi di tutti e 27, come manifestato da Parigi nei giorni scorsi, e ribadito dal ministro degli Esteri olandese, Stef Blok, che ha invitato a lavorare “per tutto il tempo necessario” e “non lasciarsi trascinare in un’intesa frettolosa”. L’annuncio del governo britannico, che si è detto disponibile a rimuovere dall’Internal market bill la clausola tanto contestata dall’Ue che rivendica il potere di violare il diritto internazionale e modificare unilateralmente alcuni punti dell’intesa di divorzio con l’Ue (in particolare sui controlli ai confini irlandesi), è stato interpretato come un ramoscello di ulivo di Johnson alla Ue, un modo per sminare il terreno. Anche a questo è servito l’incontro tra il vicepresidente della Commissione, Maros Sefcovic, ed il ministro britannico Michael Gove, a Bruxelles.
Ma il sentiero resta stretto e ogni passo richiede valutazioni attente, per evitare rovinose, irrimediabili cadute e possibili spaccature interne tra i 27. Se lo sono ripetuto i leader di Commissione e Consiglio, Michel e von der Leyen, nella videoconferenza con Angela Merkel ed Emmanuel Macron, quando è circolata anche l’ipotesi di stralciare la parte riguardante la pesca dalla trattativa generale. Ipotesi non percorribile per il capo dell’Eliseo.
I nodi rimasti da sciogliere sono sostanzialmente la pesca, questione di nicchia in termini di valore economico generale ma di grande importanza per Paesi costieri come Francia o Danimarca; il cosiddetto level playing field, ossia l’allineamento che Bruxelles vorrebbe da Londra sugli aiuti di Stato e su norme come quelle relative alle tutele ambientali o ai diritti dei lavoratori per evitare una futura concorrenza sleale. Ma che il governo di Boris Johnson non vuole sia trasformato in una sudditanza a tempo indeterminato alla legislazione Ue in barba alla ritrovata “sovranità”. Più appianato, ma pur sempre annoverato tra i punti spinosi, quello della governance sui contenziosi futuri, da affidare a un qualche organismo terzo.