Infermieri militari, alle dipendenze del ministero della Difesa, non iscritti alla Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (Fnopi), l’ente sussidiario dello Stato istituito nel 2018. Com’è possibile? “La legge italiana indica che per l’esercizio di ciascuna delle professioni sanitarie, in qualunque forma giuridica, è necessaria l’iscrizione al rispettivo albo. Semmai è l’amministrazione militare a dover aggiornare le proprie regole, specie quando queste riguardano l’organizzazione generale per la salute dei cittadini”, spiega la presidente Barbara Mangiacavalli (Fnopi). È come se ci fossero due visioni diverse tra il ministero della Salute e la Difesa: da una parte è stata istituita una legge per regolare l’esercizio della professione, ma dall’altra sembra non essere stata recepita in pieno. Una possibile vulnus giuridico che si manifesta maggiormente in questa fase, in cui molti degli “abusivi” sono chiamati in prima linea contro la pandemia Covid-19, rischiando però di non poter essere tutelati dalla Fnopi.
“L’ordine non può intervenire sui non iscritti e se dovessi rispondere con un paradosso, direi che hanno le stesse tutele che gli infermieri iscritti all’ordine assicurano a tutti i cittadini”, spiega Mangiacavalli. Il numero esatto dei non iscritti non è certo, purtroppo né la Difesa, né la Fnopi lo ha saputo quantificare. Eppure ci sarebbe stato un modo per farlo. “Sono venuto a conoscenza che in alcune strutture sanitarie, come il Policlinico Militare Celio, le infermerie di navi, le caserme, gli aeroporti delle forze armate, ma anche presso quelle dell’Arma dei carabinieri, del Corpo della guardia di finanza e del Corpo delle Capitanerie di porto, presterebbero servizio numerosi militari che eserciterebbero senza essere iscritti al relativo Albo professionale”, dice Luca Marco Comellini (sindacato dei militari), che ha presentato un esposto alla Procura di Roma chiedendo accertamenti. Ma il giudice Livio Sabatini (giugno 2020), su richiesta della pm Antonella Nespola, ha archiviato tutto, citando la “sanatoria” introdotta dalla finanziaria 2019 che “esclude la sussistenza del reato”.
“La sanatoria non riguarda gli infermieri e non riguarda neppure situazioni al di fuori di alcune professioni sanitarie (pochissime) per le quali a suo tempo non era stata richiesta iscrizione perché non esisteva nulla a cui iscriversi”, puntualizza la Mangiacavalli. Dello stesso avviso è l’infermiere militare Antonio Gentile (Associazione delle Professioni Sanitarie delle Forze Armate e di Polizia – Pro.San.Fap.): “La sanatoria non si riferisce alle professioni sanitarie infermieristiche, ma a quelle tecniche, come i tecnici di radiologia, ostetriche, gli educatori sanitari ed altri. Mi meraviglio che il magistrato nelle sue indagini si possa essere sbagliato, perché è lampante la svista, bastava chiedere a un perito, un consulente o alla Fnopi”.
Lo Stato Maggiore della Difesa ci fa sapere che è stata “integralmente recepita la norma” legislativa, “apportando le dovute modifiche al Codice militare”, ed è stata “effettuata una capillare attività informativa” e di azioni per mettere in regola “tutti i non iscritti”. Ma “è possibile, che alcuni di questi siano ancora in attesa di perfezionamento”, mentre “altri invece sono impiegati ormai da anni in attività non sanitarie”.
“Abbiamo chiesto più volte la costituzione di un tavolo Fnopi-ministero della Salute con il ministero della Difesa per trovare le strade giuste che risolvano la questione, non solo quella dell’iscrizione, ma anche alle problematiche legate allo sviluppo di carriera degli infermieri militari che, anche se laureati quinquennali, sono fermi al ruolo di sottufficiale – spiega la Mangiacavalli-. Gli infermieri militari devono avere gli stessi diritti, doveri e possibilità di sviluppo professionale e di carriera dei loro colleghi del servizio sanitario nazionale assieme ai quali hanno seguito studi e formazione”.