Addio a Lidia Menapace, morta a 96 anni dopo essere stata ricoverata a causa del Covid nel reparto di malattie infettive dell’ospedale di Bolzano. L’Italia perde oggi una delle sue partigiane combattenti. Se ne va una voce sempre libera, punto di riferimento della lotta per le donne, per i diritti di tutte e tutti, per la pace. “Lotta” e categoricamente mai “guerra”, parola che rifuggiva in tutte le sue implicazioni. Ci lascia oggi un’amante della politica fatta di azioni (e gesti) e mai di parole urlate. Fino all’ultimo assetata di partecipazione, perché è nel confronto che nascono le idee. Disse: “La lotta è ancora lunga” perché “quello che abbiamo ottenuto è ancora recente e fatica a durare”. E anche per questo, la sua assenza sarà ancora più dolorosa mentre il Paese cerca di immaginarsi un futuro fuori dalla pandemia. Ecco, forse, all’Italia più di tutto mancherà l’immaginazione di Lidia Menapace: lei che l’enciclopedia delle donne di Monica Lanfranco e Rosangela Pesenti definisce “l’anticipatrice“ e che è sempre stata in prima fila nell’immaginare il nuovo. Perché era nei suoi interventi, 60 anni fa come oggi, che all’improvviso diventavano possibili altre strade, altri mondi, altre soluzioni.
Lidia Brisca (Menapace è il cognome del marito Nene con cui ha condiviso la vita) nasce a Novara nel 1924 e da giovanissima diventa staffetta partigiana nella formazione della Val d’Ossola. Nome di battaglia: Bruna. “Anche se mai ho voluto toccare le armi”, ci teneva a dire. “Vengo alla fine ‘congedata’ col brevetto di ‘partigiano combattente’ (ovviamente al maschile) e col grado di sottotenente e divento furiosamente antimilitarista“, raccontò in un contributo pubblicato dalla Libera università delle donne. Della sua storia partigiana ha parlato fino al 25 aprile scorso, nell’ultima intervista a Gad Lerner trasmessa su Rai3: “Contesto l’idea che le donne potessero essere solo staffette perché la lotta di liberazione è una lotta complessa”. E “il Cnl del Piemonte mi disse che potevo essere partigiana combattente anche senza portare armi“. Di noi dicevano che “eravamo le donne, le ragazze, le puttane dei partigiani”. Ma “senza le donne che ricoveravano l’esercito italiano in fuga non avrebbe potuto esserci la resistenza“. E anche per questo, nonostante Togliatti avesse chiesto alle donne di non partecipare alla sfilata della Liberazione a Milano “perché il popolo non avrebbe capito”, lei Lidia Menapace quella sfilata la fece comunque. “Sono rimasta partigiana tutta la vita, perché farla è una scelta di vita“. Un racconto limpido che disarmava nel suo essere incontestabile. Ci provarono i renziani ai tempi del referendum sulla Costituzione ad aprire distinzioni tra “partigiani veri” che votavano a favore contro gli altri che si battevano in difesa della Carta. Lidia Menapace, intervistata a Di Martedì, ci rise sopra: “Devono ripassare un po’ la storia”. Non c’era molto altro da dire.
Lidia Menapace si laurea a 21 anni nel 1945 con il massimo dei voti in letteratura italiana. Come ricorda l’Enciclopedia delle donne, in occasione di un incontro a Genova nel 2011 racconta che il giorno della sua laurea un professore la lodò dicendo che il suo lavoro era “frutto di un ingegno davvero virile”. Naturalmente non gliela fece passare, ma alla sua replica venne bollata come “un’isterica”. Quella frase non l’ha mai dimenticata e fu, a suo modo, l’inizio di tante lotte. Dopo la guerra Lidia Menapace si impegna con la Fuci – Federazione Universitaria Cattolica Italiana e nel 1964 è stata la prima donna eletta nel Consiglio provinciale di Bolzano con la Democrazia cristiana insieme a Waltraud Deeg. In quella stessa legislatura diventa la prima donna ad entrare nella giunta provinciale, come assessora effettiva per affari sociali e sanità. Nel 1968 però, lascia la Democrazia cristiana e dopo esseri professata marxista perde ogni possibilità di fare carriera all’università Cattolica (dove insegnava). Nel 1969 è tra i fondatori nel primo nucleo de “Il Manifesto” per il quale ha scritto fino agli anni ’80. Nel 1973 è tra le promotrici del movimento Cristiani per il Socialismo. Dal 2006 al 2008 è senatrice di Rifondazione comunista. Avrebbe dovuto diventare presidente della commissione Difesa, ma perde il posto per le sue dichiarazioni contro le Frecce tricolori: “Solo in Italia vengono pagate con i fondi pubblici”, disse a Trieste. Bastò perché al suo posto andasse Sergio Di Gregorio dell’Italia dei valori. Finisce il suo impegno in Parlamento, ma non per questo interrompe l’attività politica. Nel 2011 entra nel Comitato Nazionale dell’Anpi. Nel 2013 viene lanciata una raccolta firme perché fosse nominata senatrice a vita. Tra le promotrici Monica Lanfranco che scrisse: “E’ probabilmente la miglior testimonianza di come il Paese nel suo complesso, e la sinistra in particolare, non sappia valorizzare i suoi talenti”. Senatrice a vita Lidia Menapace non lo diventerà mai. Ma il suo impegno in prima fila continua: dalla campagna per il no al referendum Renzi alla candidatura con Potere al popolo nel 2018.
Lidia Menapace è stata una femminista, in molti casi la prima a portare avanti temi che poi sarebbero diventati cruciali. “Nei paesi formalmente democratici, non si può più escludere un genere da alcuni diritti. Bisogna però stare attenti. Conviene buttarsi al massimo nelle lotte paritarie. Cominciare a protestare subito se le bambine hanno minor accesso all’istruzione o se si chiede alle donne di stare in casa a occuparsi della famiglia”, ha detto a ilfattoquotidiano.it nel 2013. Ma nella sua lotta c’era una consapevolezza che arrivava da lontano: “Mia mamma ha coniato un codice etico per le due figlie”, raccontò nel 2016 nel documentario “Non si può vivere senza una giacchetta lilla”. “Siate indipendenti economicamente e poi fate quello che volete. L’importante è che siate indipendenti per le calze. Non si può essere indipendenti per la testa e non nei piedi”. La libertà economica come punto di partenza imprescindibile per avere l’emancipazione delle donne: tutt’oggi le lotte femministe partono da quel semplice e ancora così fragile assunto. Ma non solo. E’ stata la prima Lidia Menapace, scrive sempre l’enciclopedia delle donne, a “mettere l’accento sull’importanza del linguaggio sessuato come strumento fondamentale contro il sessismo“. Anticipando, ancora una volta, lotte che sono oggi quanto mai attuali. Scrive nel 1993 nella prefazione di “Parole per giovani donne”: “Se è tanto poco, dicevo, perché non si fa? Non si fa perché il nome è potere, esistenza, possibilità di diventare memorabili, degne di memoria, degne di entrare nella storia in quanto donne, non come vivibilità, trasmettitrici della vita ad altri a prezzo della oscurità sulla propria”. La risposta per tutti coloro che ancora oggi si ostinano a non declinare al femminile sindaco, avvocato e ministro.
A lei si deve una delle definizioni più belle del Movimento femminista: lo ha chiamato “carsico”, come un fiume che “sprofonda” e riemerge in spazi e tempi apparentemente lontani. Lidia Menapace credeva nella potenza degli incontri, del “parlarsi di persona”, scambiare gesti ed espressioni. Comunicare guardandosi in faccia e capire andando a vedere. I suoi tour per l’Italia, la sua spinta continua a viaggiare fino all’ultimo per andare là dove veniva invitata. Perché l’immaginazione per avere sfogo ha bisogno di sensazioni ed emozioni raccolte in prima persona. Per trovare i suoi scritti bisogna cercare le tracce tra articoli (Marea, Liberazione, Il paese delle donne) e libri (da “Economia politica della differenza sessuale” a “Resisté, Il dito e la luna”). Ma la sua testimonianza è andata oltre la parola scritta ed è stata in prima linea ogni volta che lo ha ritenuto necessario: dal no dal Molin alle sardine fino alle lotte per il diritto delle donne a non avere figli (è tra le voci del documentario prezioso Lunàdigas). Lidia Menapace credeva nella politica, ma prima tutto credeva nella politica di pace. “Insieme ad altre ho dato vita a una Convenzione permanente di Donne contro le guerre che ha una articolazione teorica di nome Associazione “Rosa Luxemburg”, spiegò sempre nell’intervento per l’università delle donne, “vogliamo costruire una cultura politica che escluda la guerra come strumento per il governo dei conflitti. Rosa con i suoi scritti e la vita ci fornisce tracce di pensiero e pratiche di azione di grande respiro e attualità, anche per una ipotesi rivoluzionaria non leninista-militarista ma sociale e quasi senza stato. E anche molti suggerimenti di analisi economica. Rosa era ebrea, come si sa, e quando fuggì dalla Polonia nativa, che era sotto gli Zar, per andare in Germania fu preceduta dai suoi compagni del partito socialista polacco con una lettera ai compagni del partito socialdemocratico tedesco in cui si diceva: ‘arriverà da voi Rosa Luxemburg, non lasciatevi sedurre da quella ragazzotta ebrea polacca’: carini,no?”.
Ma di tante cose che ha scritto Menapace, più di tutto forse oggi vale la pena ricordare le parole per l’amico Alexander Langer, pubblicate sul Manifesto a luglio 1995: “Che vuole dirmi Alex Langer con la sua morte così “ostentatamente” celebrata? Non sopporterei lo spreco del suo gesto. E allora ripercorro qualche memoria di un’amicizia intensa, affettuosa, calda, anche se saltuaria, fatta spesso solo di incontri nelle stazioni dei treni per raggiungere riunioni, dibattiti”, è il suo attacco. E continua con parole che, ancora oggi, possiamo ritagliare e usare come fonte di ispirazione: “Si può reggere a lungo una solitudine politica aspra in momenti volgari, sciocchi, vani e pericolosissimi? Mentre le mediocri biografie di personaggi per lo più meschini occupano colonne e colonne di giornali? Voci e intrighi si svolgono intorno a qualsiasi vicenda, tutto è grigio e noioso? E strumento del dibattito politico diventa il pitale che misura la gettata del piscio?”. E allora chiude: “I pericoli ci sono e sono veri. Che ci vuole infine ancora per bucare le nebbie dei nostri cervelli, il lardo delle nostre coscienze?”.
Neanche dieci giorni fa abbiamo dovuto salutare Ibes Pioli, partigiana e anche lei tra le prime a battersi per i diritti delle donne in Italia. Oggi diciamo addio a Lidia Menapace. E come ha ricordato il capo dello Stato Sergio Mattarella, tra i pochi a parlare della grave perdita di anziani decimati dal Covid (“Punto di riferimento per i giovani”), le assenze si fanno sempre più pesanti.
Diritti
Addio a Lidia Menapace, la partigiana combattente che rifiutò le armi: femminista, pacifista e voce libera
Lidia Brisca è nata a Novara nel 1924 e da giovanissima è diventata staffetta partigiana (nome di battaglia Bruna) nella formazione della Val d'Ossola. Credeva nella politica, nella partecipazione e nella pace. Disse: "La lotta è ancora lunga" perché "quello che abbiamo ottenuto è ancora recente e fatica a durare". Fu anticipatrice di tante lotte, all'Italia mancherà più di tutto la sua immaginazione di altri mondi e altre strade
Addio a Lidia Menapace, morta a 96 anni dopo essere stata ricoverata a causa del Covid nel reparto di malattie infettive dell’ospedale di Bolzano. L’Italia perde oggi una delle sue partigiane combattenti. Se ne va una voce sempre libera, punto di riferimento della lotta per le donne, per i diritti di tutte e tutti, per la pace. “Lotta” e categoricamente mai “guerra”, parola che rifuggiva in tutte le sue implicazioni. Ci lascia oggi un’amante della politica fatta di azioni (e gesti) e mai di parole urlate. Fino all’ultimo assetata di partecipazione, perché è nel confronto che nascono le idee. Disse: “La lotta è ancora lunga” perché “quello che abbiamo ottenuto è ancora recente e fatica a durare”. E anche per questo, la sua assenza sarà ancora più dolorosa mentre il Paese cerca di immaginarsi un futuro fuori dalla pandemia. Ecco, forse, all’Italia più di tutto mancherà l’immaginazione di Lidia Menapace: lei che l’enciclopedia delle donne di Monica Lanfranco e Rosangela Pesenti definisce “l’anticipatrice“ e che è sempre stata in prima fila nell’immaginare il nuovo. Perché era nei suoi interventi, 60 anni fa come oggi, che all’improvviso diventavano possibili altre strade, altri mondi, altre soluzioni.
Lidia Brisca (Menapace è il cognome del marito Nene con cui ha condiviso la vita) nasce a Novara nel 1924 e da giovanissima diventa staffetta partigiana nella formazione della Val d’Ossola. Nome di battaglia: Bruna. “Anche se mai ho voluto toccare le armi”, ci teneva a dire. “Vengo alla fine ‘congedata’ col brevetto di ‘partigiano combattente’ (ovviamente al maschile) e col grado di sottotenente e divento furiosamente antimilitarista“, raccontò in un contributo pubblicato dalla Libera università delle donne. Della sua storia partigiana ha parlato fino al 25 aprile scorso, nell’ultima intervista a Gad Lerner trasmessa su Rai3: “Contesto l’idea che le donne potessero essere solo staffette perché la lotta di liberazione è una lotta complessa”. E “il Cnl del Piemonte mi disse che potevo essere partigiana combattente anche senza portare armi“. Di noi dicevano che “eravamo le donne, le ragazze, le puttane dei partigiani”. Ma “senza le donne che ricoveravano l’esercito italiano in fuga non avrebbe potuto esserci la resistenza“. E anche per questo, nonostante Togliatti avesse chiesto alle donne di non partecipare alla sfilata della Liberazione a Milano “perché il popolo non avrebbe capito”, lei Lidia Menapace quella sfilata la fece comunque. “Sono rimasta partigiana tutta la vita, perché farla è una scelta di vita“. Un racconto limpido che disarmava nel suo essere incontestabile. Ci provarono i renziani ai tempi del referendum sulla Costituzione ad aprire distinzioni tra “partigiani veri” che votavano a favore contro gli altri che si battevano in difesa della Carta. Lidia Menapace, intervistata a Di Martedì, ci rise sopra: “Devono ripassare un po’ la storia”. Non c’era molto altro da dire.
Lidia Menapace è stata una femminista, in molti casi la prima a portare avanti temi che poi sarebbero diventati cruciali. “Nei paesi formalmente democratici, non si può più escludere un genere da alcuni diritti. Bisogna però stare attenti. Conviene buttarsi al massimo nelle lotte paritarie. Cominciare a protestare subito se le bambine hanno minor accesso all’istruzione o se si chiede alle donne di stare in casa a occuparsi della famiglia”, ha detto a ilfattoquotidiano.it nel 2013. Ma nella sua lotta c’era una consapevolezza che arrivava da lontano: “Mia mamma ha coniato un codice etico per le due figlie”, raccontò nel 2016 nel documentario “Non si può vivere senza una giacchetta lilla”. “Siate indipendenti economicamente e poi fate quello che volete. L’importante è che siate indipendenti per le calze. Non si può essere indipendenti per la testa e non nei piedi”. La libertà economica come punto di partenza imprescindibile per avere l’emancipazione delle donne: tutt’oggi le lotte femministe partono da quel semplice e ancora così fragile assunto. Ma non solo. E’ stata la prima Lidia Menapace, scrive sempre l’enciclopedia delle donne, a “mettere l’accento sull’importanza del linguaggio sessuato come strumento fondamentale contro il sessismo“. Anticipando, ancora una volta, lotte che sono oggi quanto mai attuali. Scrive nel 1993 nella prefazione di “Parole per giovani donne”: “Se è tanto poco, dicevo, perché non si fa? Non si fa perché il nome è potere, esistenza, possibilità di diventare memorabili, degne di memoria, degne di entrare nella storia in quanto donne, non come vivibilità, trasmettitrici della vita ad altri a prezzo della oscurità sulla propria”. La risposta per tutti coloro che ancora oggi si ostinano a non declinare al femminile sindaco, avvocato e ministro.
A lei si deve una delle definizioni più belle del Movimento femminista: lo ha chiamato “carsico”, come un fiume che “sprofonda” e riemerge in spazi e tempi apparentemente lontani. Lidia Menapace credeva nella potenza degli incontri, del “parlarsi di persona”, scambiare gesti ed espressioni. Comunicare guardandosi in faccia e capire andando a vedere. I suoi tour per l’Italia, la sua spinta continua a viaggiare fino all’ultimo per andare là dove veniva invitata. Perché l’immaginazione per avere sfogo ha bisogno di sensazioni ed emozioni raccolte in prima persona. Per trovare i suoi scritti bisogna cercare le tracce tra articoli (Marea, Liberazione, Il paese delle donne) e libri (da “Economia politica della differenza sessuale” a “Resisté, Il dito e la luna”). Ma la sua testimonianza è andata oltre la parola scritta ed è stata in prima linea ogni volta che lo ha ritenuto necessario: dal no dal Molin alle sardine fino alle lotte per il diritto delle donne a non avere figli (è tra le voci del documentario prezioso Lunàdigas). Lidia Menapace credeva nella politica, ma prima tutto credeva nella politica di pace. “Insieme ad altre ho dato vita a una Convenzione permanente di Donne contro le guerre che ha una articolazione teorica di nome Associazione “Rosa Luxemburg”, spiegò sempre nell’intervento per l’università delle donne, “vogliamo costruire una cultura politica che escluda la guerra come strumento per il governo dei conflitti. Rosa con i suoi scritti e la vita ci fornisce tracce di pensiero e pratiche di azione di grande respiro e attualità, anche per una ipotesi rivoluzionaria non leninista-militarista ma sociale e quasi senza stato. E anche molti suggerimenti di analisi economica. Rosa era ebrea, come si sa, e quando fuggì dalla Polonia nativa, che era sotto gli Zar, per andare in Germania fu preceduta dai suoi compagni del partito socialista polacco con una lettera ai compagni del partito socialdemocratico tedesco in cui si diceva: ‘arriverà da voi Rosa Luxemburg, non lasciatevi sedurre da quella ragazzotta ebrea polacca’: carini,no?”.
Ma di tante cose che ha scritto Menapace, più di tutto forse oggi vale la pena ricordare le parole per l’amico Alexander Langer, pubblicate sul Manifesto a luglio 1995: “Che vuole dirmi Alex Langer con la sua morte così “ostentatamente” celebrata? Non sopporterei lo spreco del suo gesto. E allora ripercorro qualche memoria di un’amicizia intensa, affettuosa, calda, anche se saltuaria, fatta spesso solo di incontri nelle stazioni dei treni per raggiungere riunioni, dibattiti”, è il suo attacco. E continua con parole che, ancora oggi, possiamo ritagliare e usare come fonte di ispirazione: “Si può reggere a lungo una solitudine politica aspra in momenti volgari, sciocchi, vani e pericolosissimi? Mentre le mediocri biografie di personaggi per lo più meschini occupano colonne e colonne di giornali? Voci e intrighi si svolgono intorno a qualsiasi vicenda, tutto è grigio e noioso? E strumento del dibattito politico diventa il pitale che misura la gettata del piscio?”. E allora chiude: “I pericoli ci sono e sono veri. Che ci vuole infine ancora per bucare le nebbie dei nostri cervelli, il lardo delle nostre coscienze?”.
Neanche dieci giorni fa abbiamo dovuto salutare Ibes Pioli, partigiana e anche lei tra le prime a battersi per i diritti delle donne in Italia. Oggi diciamo addio a Lidia Menapace. E come ha ricordato il capo dello Stato Sergio Mattarella, tra i pochi a parlare della grave perdita di anziani decimati dal Covid (“Punto di riferimento per i giovani”), le assenze si fanno sempre più pesanti.
Articolo Precedente
Libano, la legge sulla tortura non funziona
Articolo Successivo
“500 pacchi in una sola ora”. L’iniziativa solidale delle Scatole di Natale fa il pieno: “Il Covid ha aiutato a sensibilizzare”
Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione
Mondo
Ucraina, scontro sul testo del G7. E gli Usa minacciano il veto all’Onu: “No emendamenti, Mosca e Kiev sostengano il nostro piano”. Dall’Ue nuove sanzioni
Mondo
Il presidente argentino Milei sotto indagine della procura per la truffa della criptovaluta $Libra
Economia & Lobby
Trump contro i Paesi che applicano web tax (come l’Italia): “Estorsione, risponderemo con misure punitive”
Roma, 24 feb. (Adnkronos Salute) - L'intervento e le cure per il tumore al seno possono avere un forte impatto sulla sfera emotiva e sessuale della donna; il bisogno di recuperare femminilità e intimità, così come il desiderio di maternità, sono molto sentiti dalle pazienti, che però non ne parlano. Lo confermano i dati di un'indagine condotta da Iqvia e promossa da Europa Donna Italia per comprendere l'impatto della malattia sull'identità femminile e la relazione di coppia. I risultati sono stati presentati nel corso del convegno scientifico 'Rəvolution in medicine', che si è tenuto sabato 22 febbraio all'università degli Studi di Milano.
Oltre il 90% delle donne riscontra problemi legati alla sfera sessuale in seguito a interventi e trattamenti per il tumore al seno, ma il 66% non ne parla con nessuno e il 42% rinuncia a gestirli, evidenzia la ricerca coordinata da Isabella Cecchini, responsabile del Centro studi Iqvia Italia, che ha coinvolto 382 donne con diagnosi di tumore al seno di diverse fasce di età e a diverso stadio di malattia. I risultati indicano che le tematiche relative a emozioni e sessualità sono percepite importanti per il 72% del campione, ma restano taciute non solo dalle donne stesse - principalmente per timore, vergogna, idea che siano aspetti secondari rispetto alle priorità dettate dalla malattia - ma anche dai medici.
"Rispetto agli esordi del mio essere oncologa - dichiara Manuelita Mazza, oncologa della Senologia medica dell'Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano e responsabile scientifica di 'Rəvolution in medicine' - la vita delle pazienti è cambiata. In poco più di vent'anni ho assistito a grandi passi avanti nella capacità di curare il tumore al seno, anche nelle forme metastatiche; tuttavia, se si guarisce sempre di più e l'aspettativa di vita è più lunga, non sono certa sia anche più larga, più piena, più densa di vita stessa. La salute sessuale è un aspetto puntualmente trascurato del benessere di chi ha una diagnosi impegnativa come il tumore al seno, specie se metastatico, ma è parte integrante del benessere di ciascuna donna e non può essere un argomento omesso a fronte di una diagnosi di tumore al seno".
"Fornire alla paziente informazioni chiare sugli effetti collaterali sessuali dei trattamenti e, se desiderato, includere il partner nelle discussioni cliniche può fare una grande differenza - prosegue Mazza - Questa apertura non solo supporta meglio la paziente, ma le permette di sentirsi compresa in una delle sfere più intime e vulnerabili della sua vita".
I dati presentati confermano quanto un cambio di passo sia necessario: appena il 22% delle donne intervistate ha un alto livello di consapevolezza dell'impatto delle terapie sulla propria sessualità, l'11% ha interrotto la relazione con il proprio partner dopo la diagnosi di tumore al seno e 2 coppie su 3 hanno interrotto i rapporti sessuali. Anche sul fronte della maternità emergono dati significativi: solo 3 pazienti su 4 parlano del desiderio di diventare madri con il proprio medico di riferimento, e la comunicazione risulta chiara e rassicurante appena per la metà di esse, con il risultato che troppo spesso si rinuncia al proprio progetto di vita perché non si sono ricevute informazioni adeguate.
"E' il momento di promuovere un cambiamento - commenta Rosanna D'Antona, presidente di Europa Donna Italia - e far sì che i problemi riscontrati dalle pazienti nella sfera emotiva e sessuale escano dal cono d’ombra del tabù. Le donne chiedono un supporto specifico da parte dei medici e vorrebbero essere affiancate anche dagli psiconcologi. L'impegno di Europa Donna in queste direzioni non mancherà. Già dal 2022 abbiamo avviato il progetto 'Come Prima', dedicato al recupero della femminilità e al desiderio di maternità delle donne con tumore del seno, coinvolgendo le pazienti, i loro partner e i medici con materiale informativo e appuntamenti dedicati, e proseguono i nostri sforzi per promuovere e normalizzare il dialogo tra pazienti e professionisti sanitari, medici in primis, anche su questi aspetti. Non dimentichiamo che la presa in carico delle pazienti deve prendere in considerazione non solo la malattia di per sé, ma la donna nella sua interezza, con i suoi bisogni fisici e psicologici".
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "La vicenda di attivisti e giornalisti spiati sta assumendo tratti sempre più inquietanti. Anche Don Mattia Ferrari, prete attivo con Mediterranea, è stato spiato con un software installato sul suo telefono". Lo dice la segretaria del Pd Elly Schlein.
"È urgente e necessario che il governo, e in particolare Giorgia Meloni, smetta di scappare e si impegni a chiarire al Paese chi sta spiando attivisti e giornalisti, perché qui sono a rischio le fondamenta dello stato di diritto. Abbiamo chiesto al governo di dirci quali entità statali hanno autorizzato l’installazione dei software di Paragon sui cellulari spiati, e il governo non sta dando queste risposte".
"Che cosa sta coprendo? Perché la Presidente del Consiglio trova il tempo di partecipare a ogni convention sovranista, ma non lo trova per fare chiarezza su questi fatti gravissimi e renderne conto al Parlamento? Le italiane e gli italiani meritano risposte ed è suo dovere fornirle. Da parte mia e di tutto il Partito democratico piena solidarietà e sostegno a Don Mattia Ferrari".
Milano, 24 feb. (Adnkronos) - Supportare e valorizzare le attività di alta formazione, ricerca e trasferimento tecnologico, attraverso iniziative di promozione e sostegno finanziario e strategie di cooperazione nazionale e internazionale, per contribuire alla crescita economica del Paese, mettendo in stretta connessione mondo accademico e produttivo. E' la mission della Fondazione Bicocca, il nuovo ente costituito dall'università di Milano-Bicocca presentato oggi nell’Aula Magna dell’ateneo, durante l’evento 'Connessioni per il futuro', alla presenza della rettrice Giovanna Iannantuoni, del presidente della Fondazione e prorettore vicario dell’ateneo Marco Orlandi, del sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei ministri Alessandro Morelli, dell’assessore allo Sviluppo economico di Regione Lombardia Guido Guidesi e dell’assessora allo Sviluppo economico e politiche del lavoro del Comune di Milano Alessia Cappello.
La Fondazione Bicocca è una fondazione di partecipazione, senza scopo di lucro, e nasce per favorire la partnership tra ateneo e soggetti esterni, la collaborazione tra pubblico e privato. Sue finalità principali sono il sostegno all’imprenditorialità accademica e alla valorizzazione della proprietà intellettuale, il supporto ai servizi per gli studenti e alle iniziative di orientamento e la partecipazione a progetti internazionali, europei e nazionali per attrarre finanziamenti a sostegno della ricerca e dell’innovazione.
Fondazione Bicocca avrà il suo quartier generale nella sede principale dell'università, nell'edificio U6 Agorà. A poca distanza, in Bim, il grande progetto di rigenerazione urbana promosso da Aermont Capital e Kervis Sgr che sta trasformando un iconico edificio di Vittorio Gregotti in una work destination all’avanguardia, troverà casa il Bicocca Pavilion, il nuovo innovation hub della Fondazione Bicocca, che mette in relazione le eccellenze dell'ateneo con il mondo delle imprese. Il pavilion, progettato da Piuarch e costruito al centro della piazza, immerso nel verde, è uno spazio polifunzionale dal design distintivo e flessibile, pensato per ospitare un ecosistema evoluto di imprese e professionisti, favorendo il dialogo e le sinergie. L’inaugurazione del Bicocca Pavilion avverrà il 14 aprile.
Nello specifico, la Fondazione opera nei seguenti ambiti: alta formazione, con la gestione e la promozione di tutti i master di I e II livello, corsi professionalizzanti, summer e winter school e convegni accademici, con l’obiettivo di aumentare del 10 per cento l’offerta formativa a partire dall’anno accademico 2025-2026; ricerca e trasferimento tecnologico, con la promozione e la valorizzazione dei risultati della ricerca universitaria attraverso il supporto alla brevettazione e alla partnership con imprese ed enti pubblici, con lo scopo di incrementare del 10 per cento i proventi da collaborazioni con aziende; eventi e public engagement, con il coordinamento e l'organizzazione di hackathon, workshop e conferenze per promuovere la ricerca, condividerne la conoscenza con il pubblico e attrarre sponsorizzazioni private.
E' prevista l’organizzazione di almeno 10 eventi sponsorizzati all’anno. "La creazione della Fondazione Bicocca rappresenta un passo strategico per il nostro ateneo -afferma la rettrice dell’Università di Milano-Bicocca Giovanna Iannantuoni- introducendo una serie di vantaggi operativi, gestionali e strategici che integrano e potenziano le attività già svolte. La Fondazione potenzia e amplifica l’impatto dell’Università sul territorio e nel panorama accademico nazionale e internazionale. Milano-Bicocca si pone all’avanguardia nella creazione di un ecosistema accademico-innovativo, in grado di rispondere alle sfide del futuro con strumenti più efficaci e competitivi".
"Grazie alla Fondazione -dichiara il presidente della Fondazione e prorettore vicario dell’ateneo, Marco Orlandi- potremo ottimizzare la gestione di iniziative chiave per la formazione, il trasferimento tecnologico e la valorizzazione della ricerca, consolidando il ruolo dell'università di Milano-Bicocca come polo di eccellenza. Vogliamo che la Fondazione diventi un punto di riferimento per la valorizzazione della conoscenza e dell’innovazione tecnologica, promuovendo sinergie con il mondo imprenditoriale e con le istituzioni pubbliche".
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "A tre anni dalla brutale aggressione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa, vanno ribadite vicinanza e solidarietà alla coraggiosa resistenza ucraina a difesa della propria indipendenza e della libertà delle sue scelte nazionali". Lo afferma il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
"La violazione delle più basilari norme di convivenza internazionale, infrangendo anche solenni impegni assunti nel 1994 tra le due parti, le centinaia di migliaia di vittime, anche tra la popolazione civile, la devastazione volutamente perseguita delle infrastrutture ucraine -aggiunge il Capo dello Stato- sollecitano, insieme a una severa condanna, la ricerca di rapido avvio di colloqui affinché le due parti pervengano alla definizione di una pace giusta, in linea con i principi dell’Onu, garantita da efficaci misure di sicurezza che la rendano effettiva e definitiva".
Montaione, 24 feb. (Adnkronos) - “Papa Francesco l’ho conosciuto, per due volte ho avuto la fortuna di stringergli la mano, quando sei davanti a lui, se ti metti in silenzio, riesci a sentire quella energia del suo modo di essere della persona che è. Sono uno che un po’, a modo suo, delle volte prega anche, e voglio dire una preghiera per Papa Francesco”. Anche il ct della Nazionale azzurra di calcio Luciano Spalletti, in un incontro con i giornalisti nella sua tenuta di Montaione, ha voluto dedicare un pensiero e una preghiera per la salute di Papa Francesco ricoverato da giorni al Gemelli.
Roma, 24 feb (Adnkronos) - Domani, martedì 25 febbraio, alle 16.30 presso la sala della Regina di Montecitorio, si svolge il convegno 'In ricordo di Luca Attanasio - Un uomo delle istituzioni che ha onorato l'Italia nel mondo'. Lo rende noto la Camera.
Saluti in apertura del Presidente della Camera, Lorenzo Fontana. Intervengono Zakia Seddiki Attanasio, Presidente della Fondazione Mama Sofia, Antonio Tajani, Ministro degli Esteri e della Cooperazione internazionale e Vicepresidente del Consiglio, Giuseppe Valditara, Ministro dell'Istruzione e del Merito, Orazio Schillaci, Ministro della Salute, Isabella Rauti, Sottosegretario alla Difesa, Fabio Marchese Ragona, giornalista e autore del libro "Luca Attanasio, storia di un ambasciatore di pace", che sarà commentato durante il convegno, Ettore Sequi, già Segretario generale del Ministero degli Esteri e della Cooperazione internazionale e Vicepresidente Sace. Coordina i lavori Maria Antonietta Spadorcia, vicedirettore del Tg2. L'appuntamento viene trasmesso in diretta webtv.
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "Tre anni fa Putin ha scelto la guerra, l’Ucraina ha scelto la resistenza. La storia non si riscrive: l’Europa deve stare dalla parte della libertà e della democrazia, o rischia di essere irrilevante e indifesa". Lo scrive sui social Debora Serracchiani del Pd.